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ABORYM
Dirty remix
Download (Stridulation Records)

Ultima fatica degli Aborym, gruppo famoso nella scena black metal degli esordi per la sua musica estremamente avanguardistica e di piglio sfacciatamente industriale, come furono i Dødheimsgard e i Mysticum nello stesso periodo. Nonostante il gruppo sia di origine italiana, ha avuto ospiti illustri della scena norvegese, come il cantante dei Mayhem Attila Csihar (che tuttavia è ungherese), ed oggi Bård Eithun, ex batterista degli Emperor di "In the nightside eclipse". Questo album, fatto di remix non fa altro che spostare ancor di più l'asticella verso la musica elettronica a scapito del black metal, tendenza naturale vista l'evoluzione del gruppo. Questa compilation non è altro che la riproposizione di brani, la quasi totalità proveniente dall'ultimo full length "Dirty", con l'aggiunta dell'inedito "A.T.W.A.". L'effetto dell'ascolto di quest'album è come sempre straniante, perché oramai non c'è più nulla che può ricordare il black metal, ma la band è ormai trasformata in un progetto elettronico ed ha perso anche la cattiveria primordiale, per lasciare spazio all'ossessività dei beat techno. Quando sei una band di avanguardia, che in qualche modo stabilisce la direzione da percorrere, non è facile essere sempre un passo avanti e di questo va dato atto agli Aborym,

ma d'altro canto non si può che registrare una trasformazione pressoché compiuta in qualcosa di nuovo che si lascia alle spalle ogni velleità di musica suonata alla vecchia maniera.
Sito web: http://www.aborym.it
(M/B'06)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ATARAXIA
Spasms
CD (Infinite fog)

Dopo 4 anni dall'uscita del loro album "Llyr" per Prikosnovenie gli Ataraxia tornano e ci stupiscono ancora una volta con un altro capolavoro, "Spasms" per l'etichetta Infinite fog. Come loro lo definiscono "sarà il lato amaro e dolce di noi stessi? La necessità umana della sopravvivenza, dove l'ironia è sempre presente per esorcizzare la paura del decadimento e della morte. Siamo solo dei musicisti che suonano note che vi fanno piangere e ridere nello stesso tempo" Il titolo dell'album probabilmente fa riferimento ai poeti vittoriani spasmodici con intenzioni umoristiche e satiriche.
"Spasms" è musica oscura, occulta, ironica, un mix di suoni folk, metal, celtico, gotico, fiabesco, fantastico, magico, dove antichi suoni lontani coesistono con note mondane e cittadine della Parigi dell'inizio '900 con un tocco di ironia e cinismo, cabaret teatrale, ossessivo e psichedelico. "Spasms" è la continuità di "Paris Spleen". Ogni pezzo, come ci hanno abituato gli Ataraxia, crea nel nostro immaginario ambienti e paesaggi visivi che ci portano lontano.
This is no Country for old Men: è il primo pezzo della track list, che si apre con la voce unica di Francesca Nicoli insieme al piano di Giovanni Pagliari, voce e piano che si ripetono, con sussurri ossessivi e voci sovrapposte, con note basse e gravi, sembra una canzone del lontano passato, antico e sacro, silenzioso e profondo. Sfumature metal e fantasy ci riportano al gotico dei racconti fantastici, l'oscurità è colorata di magia. Una litania che si ripete in ciclo.
Gloomy Sunday: La canzone originariamente ungherese musicata da Seress in una triste domenica cupa a Parigi, è stata associata alle circostanze misteriose di ripetuti suicidi che coinvolgevano coloro che ascoltavano il pezzo. Conosciamo molte versioni di questo pezzo delle quali ricordiamo quelle di Billie Holiday, Norma Bruni, Bjork e della dama delle tenebre Diamanda Galàs. La versione italiana degli Ataraxia propone un pezzo poetico e romantico, profondo e grave, la voce della Nicoli ricorda molto le timbriche gravi di Diamanda Galàs e il suo pathos, mentre la lingua italiana veste il pezzo del mantello e del fardello oscuro che ci porta negli abissi più profondi della terra, nel vuoto della gravità che ci circonda all'infinito. Un pezzo meraviglioso di amore, tristezza, vuoto, solitudine, depressione, connota il tempo che passa in una triste domenica e la nostra incapacità di fermarlo. Il pezzo si conclude con la forte espressione in inglese della Nicoli, forse per sfidare la sorte maledetta del pezzo.
Dragged by the mood: la voce sublime e grave della Nicoli, con le sue timbriche particolari e inconfondibili, insieme al piano di Pagliari, la batteria di Riccardo Spaggiari e le chitarre di Vittorio Vandelli propongono un pezzo Jazz oscuro, con cinismo e cabaret teatrale, come un musical degli anni '30. Il pezzo si evolve nella sua parte finale, con la follia e il delirio psichedelico ossessivo, 'bye demon…' un pezzo semplice e pulito con un ritornello movimentato.
Whiskey bar: Pezzo sublime scritto da Kurt Weill con la versione molto conosciuta dei Doors. Qui si tratta di un altro pezzo cabaret teatrale, ironico e cinico, che ci riporta nelle sue sonorità in un ambiente circense e surreale, la voce della Nicoli caratterizza il pezzo in un tocco fiabesco, una versione molto veloce, allegra e noir nello stesso tempo, gioca sull'alternanza si rallenta e si velocizza. Si tratta forse di un ridere per non piangere. I sospiri e la voce grave della Nicoli, e il suo timbro rendono il pezzo originale con un tocco personale. Sembra quasi un giocattolo rotto che prende vita, si mette a ballare, come un carillon con la molla rotta che ha perso il controllo.
L. Lazzarus: Una poesia di Silvia Plath , la regina che ha esplorato tutti gli aspetti della Follia, che ha trasformato la sua sofferenza, il suo delirio in Arte. La voce sempre sublime della Nicolin rende omaggio alla poeta; un pezzo con ritornelli e strofe che alternano momenti lenti a quelli più movimentati, come in uno scatto di follia, un pezzo con un ritornello ritmato accentuato dalla batteria di Spaggiari.
Sous la coupole spleenetique du ciel : "vita di gitani, di boemi, il freddo paralizza la testa e il pensiero, il freddo non è detto che è pulito", pezzo francese che suscita il romanticismo poetico di Charles Baudelaire, il suo modo di vivere da dandy, da artista di strada. "Il freddo è sporco, se ti muovi sei vivo, esisti, senti il calore" Il pianoforte di Pagliari accompagna con maestosità la voce sussurrata della Nicoli che racconta una storia, che recita una poesia onirica. "La polvere con il tempo ti copre, ti trasformi in una statua di ghiaccio colore del fumo, grigia…" Come spiegano gli Ataraxia di questo pezzo, la vita degli artisti è difficile, la vita di strada contiene sofferenza, ma è meglio seguire i propri sogni, il suono della musica, che perdere la propria anima svuotandosi in una statua anonima, grigia e vuota. I ritornelli ricchi di piano e tamburo evocano ambienti circensi, in una vita mondana deliziosa con pasticceria e dolci. La voce narrante dice : "chiudo gli occhi, ascolto la musica, apro i miei occhi nella citta magica ed elegante della luce". Un pezzo fatto di parole, sospiri e storia, fantastica.
Zut: canzone francese cinica, la voce effettata della Nicoli che ripete i cantati rende il pezzo ancora più ironico e grottesco. Un pezzo che forse denuncia l'eccesso e vorrebbe in qualche modo proteggere la natura che viene abusata. " La carta viene dagli alberi."
Andy Laverine : canzone ancora una volta in francese con un ritmo jazz, "cari fratelli non dimenticate il progresso della luce". È una musica semplice che ci penetra dentro e corre come l'acqua, scorre come il sangue nelle nostre vene. La lingua francese ci colloca in un teatro parigino, dove gli spettatori forse sono i manichini privi di vita, o forse ci troviamo all'interno di un circo abbandonato, oscuro e decadente, in un archeologia urbana. "Signore abbiate pietà dei folli" La follia è la forma pura dell'espressione libera, dell'arte; spesso, nel passato, artisti sono stati associati alla follia, arte e follia vanno in parallelo. Forse ci troviamo dentro un manicomio dove ogni spettacolo è apprezzato in pieno da persone che vogliono divertirsi, che ridono cosi forte tanto per coprire le loro sofferenze e l'oscurità che li perseguita. Una giostra che gira all'infinito, un nastro di musica sospeso nel tempo. I parlati si alternano con i cantati, tastiere e chitarre mantengono sempre la voce in primo piano. Anche il bere è una forma di libera espressione "voi che bevete diverse essenze". Il progresso della luce è la sacralità della natura invincibile.
Donc je dois être morte: una canzone dolcissima che inizia con l'arpeggio della chitarra di Vandelli e la voce dolce, melanconica, triste e narrante di Francesca, la voce sussurrante ricorda l'influenza delle canzoni francesi. Questo è il ciclo della vita e della morte, della natura che si rigenera, che muore ogni volta per rinascere, l'oscurità che inizia a vedere la luce. "Il cielo, il sole, il fuoco, è primavera allora dovrei essere morta, l'inverno mi ha presa, dove sono, chi sono, dove andrò, poco importa, notte, sonno, fame apparente, conosco questo luogo, lo conosco, ci sono stata più volte ed è per quello che ci sono ritornata, la forza del pensiero e dei ricordi, e allora sono morta, non mi ricordo ma sarà cosi, ma poco importa." Si tratta di un canto lirico lontano onirico ed etereo … un sogno antico che si ripete…. "E adesso sono lassù, sarò rigenerata, puoi immaginare il tuo percorso al contrario dal mare al cielo, potresti immaginare il tuo percorso adesso che penso, che mi ricordo dell'ultima sera magica, un dono, camminando nella notte, ho visto, dietro le nuvole c'era la luna piena fluorescente, potresti esprimere tanti desideri quanti vuoi, uno, due, tre, dieci , cento, quanti desideri ho espresso, la quantità vibrante dei desideri che determina il tempo, la luna me l'ha insegnato…" Una musica lontana, antica e sacra, un rituale, la voce che sussurra insieme alla voce che grida, che canta e ulula alla luna, il ballo dei lupi. Una canzone sublime da brividi con un messaggio molto nobile che il pezzo trasmette; il tempo è determinato dai nostri desideri, dai nostri ricordi, possiamo ritornare con la forza del pensiero in ogni luogo che desideriamo, in ogni tempo, con chi vogliamo, il passato, il presente e il futuro è tutt'uno, come dicono gli stessi Ataraxia. Un pezzo che si conclude tribale, rituale, antico, sacro e pagano, un pezzo che ci collega alla terra, alla natura, al suono, al sole, al fuoco, all'acqua e al vento. Questo pezzo è forse già un anticipo del loro prossimo album 'The Wind at Mount Elo'…
(Rita Tekeyan)

 

 

 

 

MAURIZIO BIANCHI / PHARMAKUSTIK
Metaplasie
CDr (Naked Lunch Records)

La metaplasia, nella sua accezione medica, é la trasformazione reversibile e talvolta irreversibile di un tessuto cellulare in un altro avente la medesima origine embriologica. Il maestro Maurizio Bianchi, o se preferite MB, incontra l'amico teutonico Siegmar Fricke (attivo dal 2009 anche sotto il moniker di Pharmakustik) ed applica alla perfezione il verbo medico-scientifico all'ambito (non)musicale, trasformando e deframmentando tessuti sonori convenzionali fino a sconvolgerne completamente la natura originaria. Le tre suites di ‘Metaplasie', di circa 20 minuti l'una, il risultato finale del lavoro di destrutturazione della coppia italo-tedesca, che ci proietta in questa lunga immersione tra i vortici di quella che lo stesso Bianchi definisce in maniera appropriata e calzante come una vera e propria 'meditazione metaplasica'. Del resto furono i Tangerine Dream a parlare per primi di 'Electronic meditation', e se é vero che anche e soprattutto in campo musicale i corsi e ricorsi storici tendono a rinnovarsi, non é arduo rilevare come i semi del krautrock di derivazione maggiormente elettronica vivano nuova linfa in dischi come ‘Metaplasie'. Un' uscita di gran livello per questa piccola label di Grado gestita con cura e passione da Jacopo Fanó. Seguitela e supportatela, il presente ed il futuro dei suoni che amiamo vivono piú che mai tra le mura di realtá come la Naked Lunch.
Info: http://nakedlunchrecords.wix.com/nakedlunchrecordings
(Oflorenz)

 

CAVAVERMAN
James dead again
Download (autoprodotto)

Debutto per questa formazione punk che si ispira a gruppi come Misfits, Ramones e Alkaline Trio. Per la precisione, il genere trattato è zombiepunk per le masse, per certi versi un ossimoro, che chiarisce sin dal principio l'attitudine ironica e canzonatoria tipicamente punk della band, ma anche la "sete di sangue" del gruppo, che elenca tramite le singole tracce tutta una serie di stereotipi horror, trascinando l'ascoltatore con melodie orecchiabili, piuttosto ripetitive, datate e scontate, segnate dall'immobilismo della stessa scena punk. I singoli brani si succedono senza guizzi, quasi un sottofondo non disprezzabile, ma destinato a fan sfegatati.
Sito web: https://www.facebook.com/Cavaverman
(M/B'06)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COLLOQUIO
Io e l'Altro
CD (Sad Sun Music)

Non è un caso che la label indipendente Sad Sun Music, così dedita nei suoi primi vagiti a propinare sonorità oscure ed esoteriche (almeno ad un primo colpo d'occhio), abbia deciso di riproporre nell'anno corrente l'opera cardine del progetto bolognese Colloquio, ultima tape di commiato dell'ormai lontano 1995 che recideva i legami con gli albori autoprodotti di Gianni Pedretti (mente, cuore ed anima della creatura minimal electro-wave nata dai suoi deliri verbali e musicali) per lanciarlo nel nuovo marasma più patinato fatto di nuovi supporti e collaborazioni delle più svariate. Rispolverata così dai meandri più oscuri del progetto, questo opus magnus che è lo specchio stesso (incrinato e distorto) di quell'arte viscerale romanzata da Pedretti, torna con una veste nuova (il Nosferatu senza volto sulla copertina della tape viene qui sostituito dal Nostro trasformatosi in una sorta di manichino ben vestito, impegnato in un urlo che spalanca disumanamente le sue fauci occluse, però, da una prigione gommosa che ne attanaglia il volto grottesco, la rappresentazione di un urlo interiore che tale rimane, di una disperazione viscerale che sarà il perno sul quale roteano le oscure avventure delle quali udiremo il racconto), ma con lo stesso alone di disperazione intrinseca che la permea, quel dualismo psicotico lucidamente folle che irrompe e dilania l'ego stesso del protagonista, in un'auto-chirurgia malsana che fa da filo conduttore tra le numerose tracce che compongono questo puzzle mentale sull'orlo del collasso imminente. L'ascoltatore viene subito immerso nel mondo scontornato e pullulante di pericoli del nostro eroe perennemente in conflitto con la sua condizione schizofrenica, un moderno Dr. Jekyll che a stento contiene la sua controparte assassina in una lotta quotidiana contro se stesso. La figura metaforica della "mosca rossa", che apre e chiude il percorso psicotico dell'album, è una raffigurazione dell'incontrollabile rush adrenalinico al quale conduce questo divenire "altro", simbolicamente raccontato a due voci prima e ad una voce poi, in un chiaro quadro di vittoria che arride al subdolo ospite indesiderato, dalla voce acidula e in reverse che si insinua tra le pieghe di quella più cupa ed oscura dell'involucro umano al quale si è ridotto il nostro protagonista. L'intro è una marcia distorta dispersa tra svolazzi di trombe e pestaggi ritmici sui quali si abbarbicano i dialoghi extraterrestri di Pedretti, quasi lynchani nel loro contrasto uomo-bestia già accennato in precedenza. Lunghi respiri di synth a braccetto con percussioni cristalline e vibranti colpi di cassa segnano buona parte del secondo pezzo, "Io e l'altro (prima parte)", che va poi a disperdersi in baluginii chiaroscurali assieme ai quali ritorna la voce di Pedretti, questa volta senza distorsioni di sorta, che ci racconta in chiave ermetica come la sua persona sia costretta all'isolamento, ad una fobia sociale che lo rinchiude nelle quattro mura di casa in attesa di un qualche cambiamento nella corrente statica dell'esistenza, mentre squilli di tromba riverberano sempre più distanti. Si tratta del primo dei tre "scontri aperti" con la sua controparte maligna che possiamo trovare all'interno dei sessantasei minuti dell'album. Si continua poi con "Si chiude il sipario": qui l'elettronica minimale che fa da cardine vorticoso al pezzo lascia libero sfogo ai dialoghi esistenzialisti del cervello di questo oscuro progetto bolognese, parole che si nutrono della malinconia instillata sia dal tono rassegnato con la quale sono pronunciate, sia dal tappeto dance sulla quale vibrano e imperano. Con "L'attesa" tornano gli acuti tintinnii ambient avvolti in oscuri gorghi sospesi nello spazio-tempo, mentre la voce nuovamente distorta e cavernosa evoca visioni lisergiche di lucida follia. Il secondo round contro questo "altro" divoratore acutizza il conflitto tra Pedretti ed il suo doppelganger, evocando disperatamente un sollievo oscuro e definitivo da questo dualismo che corrode e consuma, vissuto su marcianti percussioni cadenzate e le solite trombe dal trillo luminoso che si innalzano sulla precisione caotica del resto. "Lui è dentro", titolo quanto mai profetico ed inquietante, rimbomba di oscure ondate dark ambient che scavano profondamente nell'ego dilaniato del nostro protagonista, all'interno del quale "lui" ha trovato la sua dimora viscerale, dove Lui ride quando il nostro piange, e piange quando il nostro ride. L'ultimo atto di una lotta impari descritta brillantemente dalle oscure sonorità sino ad ora innestate nell'ascoltatore dipinge due entità ormai succubi l'una dell'altra, delle quali sentiamo la voce di una commista a quella diabolica dell'altra che arrancano su vortici elettronici effettati, che esplodono verso la fine con frustate percussive sconquassanti, un tira e molla sonico che non lascia intuire chi sia il vincitore e chi il vinto in questa aspra battaglia contro se stessi. Da qui in avanti l'album entra in una fase differente, più lucente e salvifica rispetto alle buie atmosfere sino a qui patite. "L'uomo in fondo" è una sorta di ripresa di fiato ambient, eterea e limpida; "Volo anch'io" si propone come malinconica suite esistenzialista in punta di synth, che rotea e riverbera incessantemente tra attufate sonorità iridescenti e testi strazianti, fino a colmare l'amaro calice con le solite trombe squillanti, che accompagnano una marcia elettro-wave davvero evocativa, intrisa di dualismo felicità-tristezza in ogni suo arrangiamento. "Il buon ritorno" pesta su di un clavicembalo quasi distorto, mentre positive vibrazioni traslucide si avvicendano a formare una copiosa pioggia di formicolii elettronici. La successiva "Sogno" riprende sia il dualismo del nostro protagonista, sia quello musicale del progetto, tra escavazioni nell'animo straziato di Pedretti che si avvicendano attorno ad uno scontro di sottofondo che vede protagonisti gravi atmosfere sonore e cristallini suoni di ottoni che vibrano e si innalzano verso le luminose sfere celesti di un animo umano che abbandona questo freddo e triste mondo. In "Per quello che ho fatto", infine, continuano le atmosfere più eteree e rassicuranti, macchiate però dal parlato disperato e senza speranza del nostro sfortunato protagonista, che si crogiola nel suo dolore tra i claustrofobici echi delle percussioni che vanno scemando pian piano sino alla conclusione di questo viaggio nell'io sordido e pericolosamente articolato di un artista dall'ego mastodontico e ferocemente complesso, dimora schizofrenica di demoni interiori ed altalenanti istantanee chiaroscurali. Un'ultima menzione per la bonus track aggiuntiva di questa ristampa, "Nelle mie stanze mute", inserita sapientemente alla fine del viaggio originario e che suona come una speranza danzante sulle note wave che colorano il grigiore fino ad ora vissuto, una sorta di lieto fine donato agli ascoltatori della reissue per lasciarli con un commiato più luminoso dell'oscura vittoria dell'Altro che invece sigillava la vecchia tape. Opera unica ed irraggiungibile, "Io e l'altro" è un affresco dark subdolo ed incantatore, che può essere spiegato (almeno superficialmente) dalle parole dell'autore stesso: "l'album scaturisce da uno stato di malattia cronica. Una storia senza un lieto fine. Gli attacchi di panico sono capaci di cambiare una vita. La forma di una persona è sempre la stessa, ma il suo essere è devastato." Un'interazione malsana musicata tra due mondi diametralmente opposti, eppure parte integrante dello stesso piccolo, grande uomo che suggellava così, in un'Italia ammantata dalle più svariate sonorità allegre del decennio, un patto con il diavolo sentito, oscuro e complesso.
Sito Web: http://www.colloquio.eu/
(Lorenzo Nobili)

 

 

CONTREPOISON
I keep on searching
EP vinile (Avant! Records, Sans Issue)

Avant! e Sans Issue curano la stampa limitata a 500 copie su 12" dell'ep uscito solo in formato digitale nel 2012, per il canadese Marc Tremblay, che possiede la seconda etichetta citata ed agisce sotto il moniker Contrepoison in quest'occasione. Quattro tracce di musica sporca e geniale, a metà tra synth-pop, industrial e cold-wave, che trova la sua perfetta concretizzazione su supporto vinilico. Si parte con la opener strumentale "Every Dream I Have Is About You", fatta di beat ipnotici e tastiere evocative che introducono la malinconica title track che rievoca atmosfere anni 70, con suoni eighties ed il rumorismo proprio degli anni 90. "No need to dream" è semplicemente superlativa, coi suoi sfrequenzamenti su incedere cadenzato fatto di beat sotterranei e voce incalzante. Chiude sulla stessa onda "Nectar of destiny". Manca sempre la prova del nove del full length, che auspicabilm ente non si farà attendere troppo.
Sito web: http://contrepoison.tumblr.com
(M/B'06)

 

 

 

LE COSE BIANCHE
Ferox Forcipe (Past Six years to say No)
DOUBLE TAPE BOX (Custom Body Records)

Tenere tra le mani una registrazione di Le Cose Bianche ha quel sapore genuino che aveva un tempo ricevere nella cassetta delle lettere un nastro della Slaughter di Marco Corbelli, o magari qualcuna delle vecchie mitiche cassette della Bloodlust! o della Broken Flag. Del resto la scuola é quella, e non intendo solo stilisticamente e musicalmente, ma anche culturalmente, con quell’approccio viscerale senza compromessi alla materia sonora estrema ed al giusto supporto per diffonderla tra quei (pochi) fortunati che se sapranno cogliere ed apprezzare le virtù. Tra le numerose uscite di Giovanni Mori, questo inquietante box di colore giallo pallido contenente due nastri accompagnati da alcuni inserti cartacei e non solo, é in qualche maniera la summa estetica e “feticistica” di quanto appena detto. Se il primo nastro contiene interamente materiale inedito registrato di getto il 19 maggio di quest’anno (tra cui la title-track di ben 22 minuti!), il secondo ci propone una succosa raccolta di tracce estratte dalla vasta produzione passata ed uscite esclusivamente sui supporti originali, per cui non reperibili in alcuna forma on line. “San Sabba”, “Metacarnale”, “Parabused” e “Power Weird” sono stati solo alcuni tra i vecchi dischi di riferimento per la selezione delle tracce, ed é quasi superfluo puntualizzare la radicale natura analogica dell’intera set-list, nella miglior tradizione LCB. Trattandosi di box limitato a soli 33 esemplari autoprodotti dal nostro tramite la propria label Custom Body Records, direi che se non vi affrettate ad accaparrarvi una copia di “Ferox Forcipe” ve ne potrete pentire amaramente in seguito, e non dimenticate mai che in fondo, come recita la back cover del box, that’s “only noise. No induction”.
Info: http://www.lecosebianche.org
(Oflorenz)

 

 

LE COSE BIANCHE - LYKE WAKE
Exhale
TAPE (Custom Body Records)

La Custom Body Records di Giovanni Mori - Le Cose Bianche per chi ancora non lo conoscesse - ci sta abituando ad una nutrita serie di chicche ormai divenute gustosa delizia per ogni appassionato e collezionista di materia industriale-power electronics; ecco a voi l’ultima, freschissima uscita, una collaborazione a 4 mani tra LCB e Lyke Wake, storico progetto capitolino facente capo a Stefano Di Serio ed attivo sin dal lontano 1984. Sorprendente come le sonorità tipicamente noise ed abrasive tipiche della nostrana old school power-electronics di LCB riescano a fondersi nelle melodiche trame cosmiche ed ambientali di Lyke Wake, eppure le due lunghe tracce di circa mezz’ora che occupano i due lati del nastro non finiscono mai di sorprenderci. L’ascolto maggiormente godibile sarà proprio destinato a chi già conosca le produzioni di Stefano e Giovanni: immaginate un collage sonoro ove le spirali di “The long last dream” vengano “disturbate” dalle interferenze analogiche di “Power weird” o “Parabused”, con quest’ultime a tentare di prevalere prepotentemente senza mai riuscire ad avere il sopravvento…compito non agevole forse? In tal caso non resta che recuperare una delle copie di questo nastro custodito internamente in una candida garza ed esternamente in una leggera velina in alluminio dorato, divenendone uno dei pochi, fortunati possessori.
Info:
www.lecosebianche.org
http://lykewake.wix.com/lyke-wake
(Oflorenz)

 

 

 

 

 

 

CRAESHER
?oise (self-incestuous noise inception)
Download (Stridulation Records)

Marc Urselli, produttore newyorkese di alto livello, come si evince non solo dai Grammy vinti, dà sfogo al suo talento ed al lato più sperimentale e scientifico della sua anima con questo lavoro. Craesher è un progetto fondato sulla ricerca della genesi ultima del rumore nei suoi lati scientifico ed artistico, attraverso la manipolazione della sua base essenziale che è l'onda sinusoidale: insomma appare più un esperimento scientifico che artistico, ricalcando concettualmente le idee che possono ricordare gruppi come i T.A.G.C. Il pi greco è stato preso come simbolo ideale di questo processo in quanto numero irrazionale e trascendente: "[?]oise (self-incestuous noise inception)" è quindi un concept album incentrato sull'autogenerazione di rumore senza intervento umano, in base alla programmazione tramite algoritmi (questi sì creati dall'uomo) ed all'elaborazione di un segnale. Già dalla confezione si intuisce che ci troviamo di fronte a qualcosa di estremamente inusuale ed allo stesso tempo molto accurato: legno di bambù con un foro centrale a forma di pi greco inciso tramite laser, con la lettera greca che si ritrova all'interno della confezione a fungere da "ferma cd", per non sprecare materiale e creare rifiuti. Stessa logica per il libretto fatto di carta riciclata, stampato utilizzando oli vegetali senza uso di plastica. Ritroviamo la medesima attenzione anche nella data di uscita del cd, ovvero il 14 marzo, in onore del valore numerico del pi greco, ossia 3,14, e nelle dodici tracce che hanno lunghezze oscillanti tra i 3'44" ed i 4'14", ma che mostrano una durata di 3'14" grazie ad un processo di cross-fading. Tuttavia, contrariamente a quanto ci si possa aspettare da una generazione random di varianti su una singola onda sonora di partenza, i singoli brani non appaiono freddi e meccanici, ma riesce comunque ad emergere la sensazione di una mano umana dietro a tutto questo, circostanza che odora in fondo di eterogenesi dei finie di grande maestria di Urselli, persona di grande genio che ha speso tutta la sua vita dietro alla musica.
Sito web: http://www.marcurselli.com
(M/B'06)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DORNENREICH
"Freiheit"
CD (Prophecy Productions)

Ebbi già l'occasione di ascoltare questo progetto austriaco dall'approccio folk molto singolare nella stupenda raccolta "Whom The Moon A Nightsong Sings", nella quale la mitica Prophecy schierava come bravi soldatini le migliori proposte della sua scuderia. Il pezzo era "Dem Wind Geboren", una classica quanto particolare ballata in punta di violino, commista ad improvvisi scatti d'ira chitarristici e da svolte di calma piatta segnate dai larghi respiri virtuosistici di un archetto e del suo fido compagno a quattro corde. Un approccio decisamente insolito a quello che è il folk moderno, che celava sicuramente un qualche passato più brutale nel quale la band affondava le sue radici primordiali. In effetti si tratta, parlando dei Dornenreich, di un progetto nato nella grande famiglia del black metal, dalla quale poi molti virgulti smettono di succhiare l'amaro latte materno e decidono di staccarvisi propendendo verso lidi più tranquilli quali appunto il folk moderno. In una sorta di atavico attaccamento alle origini, il folk dei Dornenreich (il "regno di spine" in lingua tedesca, concetto insidioso come insidiosa è la proposta musicale propinata) si invola soltanto in parte nelle ampie e tranquille acque dagli sciabordii luccicanti di strumentazioni acustiche e classicheggianti, portando con sé un pesante fardello tenuto imbrigliato a fatica come una bestia scalciante che vuole sfogare la sua rabbia repressa. Questa lotta continua col passato brutale è la spina dorsale che fa da percorso esplorativo di questa uscita risalente ai primi giorni di maggio del corrente anno, "Freiheit", monumento ineluttabile al folk spinoso e ricco di insidie che ben si adattata alla mutevolezza stilistica del trio. L'apertura viene affidata a "Im Ersten Aller Spiele", sussurrata su chiaroscuri arpeggiati, fatta poi esplodere nella classica schizofrenia, marchio di fabbrica del gruppo, che vede l'alternanza tra colpi di plettro rabbiosi e lunghe pause riflessive create dall'immancabile violino e dai sussurri perigliosi di Eviga. La bestia è domata, per ora, anche se fa capolino tra gli squarci di una chitarra spasmodicamente usurata da violenti accessi iracondi. Questi ultimi sono ancora più udibili nel secondo pezzo, "Von Kraft Und Wunsch Und Jungen Federn", dove anche la voce comincia a distorcersi e a trasformarsi in uno pseudo growl fortunatamente trattenuto da legacci sviolinati portatori di pacifiche visioni ariose che sempre più devono impegnarsi a lottare contro la fagocitante belva che oramai strattona, lacera e attacca inaspettatamente il labile velo del rozzo folk strumentale. Un salvifico finale paganamente danzante ci accompagna alla terza traccia, "Des Meeres Atmen", con la solita marcia soffiata e vorticosamente ovattata di violino e chitarra, guidata dai cattivi presagi sussurrati dalla voce entropica del cantante. Un susseguirsi, questo, di svolte sonore intrecciate alla perfezione, brezze soniche appena accennate e mulinelli che ci sfiorano il viso, subdoli e inesorabili compagni di viaggio dei quali non sappiamo se fidarci o meno. Cullati dalle onde e dalla brezza marina, non ci accorgiamo di essere caduti in trappola, né della bestia che oramai ha strappato il suo velo incantatore tra arpeggi e sviolinate e prorompe senza ritegno e senza possibilità di fuga nel pezzo successivo, "Das Licht Vertraut Der Nacht", nel quale il cantante finalmente grida la propria rabbia e l'elettrica fa da sua fida compagna, combattendo contro armate acustiche che tentano di prevalere sulla sua marcia inarrestabile che tutto schiaccia e che tutto sporca. Tra esplosioni metal, violini combattivi, sussurri e urla, la commistione è talmente azzardata che funziona perfettamente, un puzzle perfettamente vario e dai pezzi talmente differenti tra loro da costringerli ad una metamorfosi obbligata per continuare a braccetto quella che prima era una guerra all'ultimo sangue. Ed ecco il risultato di quest'alleanza inaspettata nel pezzo che segue, "Aus Mut Gewirkt", stupenda ballata metal nella quale ogni elemento classicheggiante trova una sua precisa postazione tattica: i violini fungono da meraviglioso tappeto armonico assieme alle ondate soniche delle chitarre elettriche, la ritmica esagitata viene egregiamente spalleggiata dalla chitarra acustica smembrata dalla violenza delle plettrate subite, la voce è un sussurro growl altalenante, a compimento di un mosaico talmente intricato e diversificato nelle sue singole parti da risultare piacevole oltre ogni aspettativa. Come la quiete dopo la tempesta arriva "Im Fluss Die Flammen", con i suoi accenni a qualche ispanica usanza, profondamene assopita e riflessiva, quasi una ripresa di fiato dopo uno sforzo fisico che supera i limiti della normale resistenza. Anche la chitarra elettrica sembra riposarsi, cullata dai virtuosismi arpeggiati della compagna acustica e portatrice di sussurrate note prolungate di natura quasi new wave, una bestia sopita dopo tanto dimenarsi che cerca riposo e tranquillità in qualche anfratto dimenticato dall'uomo. Ed eccolo, il sonno della besta. "Traumestraum", commovente ballata in punta di plettro portatrice di serena letizia, un volo ascensionale verso pianure sconfinate finalmente libere da un'incombente minaccia nera, nelle quali la vita riprende, scorre leggiadra come le note vittoriose che fomentano il delicato sottobosco accarezza-corde con rimasugli di volumi più alti, come onde che si infrangono a tratti su lidi vittoriosi e sopravvissuti. L'ultimo brano è la degna conclusione virtuosistica di tutte le insidiose prove affrontate fino ad ora: un semplice duetto chitarra-violino struggente e malinconico, senza fronzoli, puro folk che quasi rimembra ai disattenti ascoltatori che quello che hanno appena vissuto è il lavoro di un progetto che sta faticosamente cercando di distaccarsi da un passato metal che li bracca, sforzo che fa da intermediario ad un risultato accattivante di una band tremendamente pirotecnica e inaspettatamente mutevole, che mostra la sua doppia faccia natural-pagana e metalleggiante in una guerra intestina che non ha né vincitori né vinti, ma dalla quale scaturisce soltanto un lavoro eccezionale, un album completo sotto ogni punto di vista che va ripetutamente analizzato con perizia e una buona dose di coraggio, spinoso, accattivante, periglioso e rassicurante assieme. Un dualismo visceralmente musicato davvero unico nel suo genere, per un'esperienza neofolk diversa e rara da scovare.
Info:
http://www.prophecy.de/
http://www.flammentriebe.com/
(Lorenzo Nobili)