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ABORYM
Dirty remix
Download (Stridulation Records)
Ultima
fatica degli Aborym, gruppo famoso nella scena black metal
degli esordi per la sua musica estremamente avanguardistica
e di piglio sfacciatamente industriale, come furono i Dødheimsgard
e i Mysticum nello stesso periodo. Nonostante il gruppo sia
di origine italiana, ha avuto ospiti illustri della scena
norvegese, come il cantante dei Mayhem Attila Csihar (che
tuttavia è ungherese), ed oggi Bård Eithun, ex batterista
degli Emperor di "In the nightside eclipse". Questo album,
fatto di remix non fa altro che spostare ancor di più l'asticella
verso la musica elettronica a scapito del black metal, tendenza
naturale vista l'evoluzione del gruppo. Questa compilation
non è altro che la riproposizione di brani, la quasi totalità
proveniente dall'ultimo full length "Dirty", con l'aggiunta
dell'inedito "A.T.W.A.". L'effetto dell'ascolto di quest'album
è come sempre straniante, perché oramai non c'è più nulla
che può ricordare il black metal, ma la band è ormai trasformata
in un progetto elettronico ed ha perso anche la cattiveria
primordiale, per lasciare spazio all'ossessività dei beat
techno. Quando sei una band di avanguardia, che in qualche
modo stabilisce la direzione da percorrere, non è facile essere
sempre un passo avanti e di questo va dato atto agli Aborym,
ma
d'altro canto non si può che registrare una trasformazione
pressoché compiuta in qualcosa di nuovo che si lascia alle
spalle ogni velleità di musica suonata alla vecchia maniera.
Sito web: http://www.aborym.it
(M/B'06)
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ATARAXIA
Spasms
CD
(Infinite fog)
Dopo
4 anni dall'uscita del loro album "Llyr" per Prikosnovenie gli
Ataraxia tornano e ci stupiscono ancora una volta con un altro
capolavoro, "Spasms" per l'etichetta Infinite fog. Come loro
lo definiscono "sarà il lato amaro e dolce di noi stessi? La
necessità umana della sopravvivenza, dove l'ironia è sempre
presente per esorcizzare la paura del decadimento e della morte.
Siamo solo dei musicisti che suonano note che vi fanno piangere
e ridere nello stesso tempo" Il titolo dell'album probabilmente
fa riferimento ai poeti vittoriani spasmodici con intenzioni
umoristiche e satiriche.
"Spasms"
è musica oscura, occulta, ironica, un mix di suoni folk,
metal, celtico, gotico, fiabesco, fantastico, magico, dove antichi
suoni lontani coesistono con note mondane e cittadine della
Parigi dell'inizio '900 con un tocco di ironia e cinismo, cabaret
teatrale, ossessivo e psichedelico. "Spasms" è la continuità
di "Paris Spleen". Ogni pezzo, come ci hanno abituato gli Ataraxia,
crea nel nostro immaginario ambienti e paesaggi visivi che ci
portano lontano.
This
is no Country for old Men: è il primo pezzo della track
list, che si apre con la voce unica di Francesca Nicoli insieme
al piano di Giovanni Pagliari, voce e piano che si ripetono,
con sussurri ossessivi e voci sovrapposte, con note basse e
gravi, sembra una canzone del lontano passato, antico e sacro,
silenzioso e profondo. Sfumature metal e fantasy ci riportano
al gotico dei racconti fantastici, l'oscurità è colorata di
magia. Una litania che si ripete in ciclo.
Gloomy Sunday: La canzone originariamente ungherese musicata
da Seress in una triste domenica cupa a Parigi, è stata associata
alle circostanze misteriose di ripetuti suicidi che coinvolgevano
coloro che ascoltavano il pezzo. Conosciamo molte versioni di
questo pezzo delle quali ricordiamo quelle di Billie Holiday,
Norma Bruni, Bjork e della dama delle tenebre Diamanda Galàs.
La versione italiana degli Ataraxia propone un pezzo poetico
e romantico, profondo e grave, la voce della Nicoli ricorda
molto le timbriche gravi di Diamanda Galàs e il suo pathos,
mentre la lingua italiana veste il pezzo del mantello e del
fardello oscuro che ci porta negli abissi più profondi della
terra, nel vuoto della gravità che ci circonda all'infinito.
Un pezzo meraviglioso di amore, tristezza, vuoto, solitudine,
depressione, connota il tempo che passa in una triste domenica
e la nostra incapacità di fermarlo. Il pezzo si conclude con
la forte espressione in inglese della Nicoli, forse per sfidare
la sorte maledetta del pezzo.
Dragged by the mood: la voce sublime e grave della Nicoli,
con le sue timbriche particolari e inconfondibili, insieme al
piano di Pagliari, la batteria di Riccardo Spaggiari e le chitarre
di Vittorio Vandelli propongono un pezzo Jazz oscuro, con cinismo
e cabaret teatrale, come un musical degli anni '30. Il pezzo
si evolve nella sua parte finale, con la follia e il delirio
psichedelico ossessivo, 'bye demon…' un pezzo semplice e pulito
con un ritornello movimentato.
Whiskey bar: Pezzo sublime scritto da Kurt Weill con
la versione molto conosciuta dei Doors. Qui si tratta di un
altro pezzo cabaret teatrale, ironico e cinico, che ci riporta
nelle sue sonorità in un ambiente circense e surreale, la voce
della Nicoli caratterizza il pezzo in un tocco fiabesco, una
versione molto veloce, allegra e noir nello stesso tempo, gioca
sull'alternanza si rallenta e si velocizza. Si tratta forse
di un ridere per non piangere. I sospiri e la voce grave della
Nicoli, e il suo timbro rendono il pezzo originale con un tocco
personale. Sembra quasi un giocattolo rotto che prende vita,
si mette a ballare, come un carillon con la molla rotta che
ha perso il controllo.
L. Lazzarus: Una poesia di Silvia Plath , la regina che
ha esplorato tutti gli aspetti della Follia, che ha trasformato
la sua sofferenza, il suo delirio in Arte. La voce sempre sublime
della Nicolin rende omaggio alla poeta; un pezzo con ritornelli
e strofe che alternano momenti lenti a quelli più movimentati,
come in uno scatto di follia, un pezzo con un ritornello ritmato
accentuato dalla batteria di Spaggiari.
Sous la coupole spleenetique du ciel : "vita di gitani,
di boemi, il freddo paralizza la testa e il pensiero, il freddo
non è detto che è pulito", pezzo francese che suscita il romanticismo
poetico di Charles Baudelaire, il suo modo di vivere da dandy,
da artista di strada. "Il freddo è sporco, se ti muovi sei vivo,
esisti, senti il calore" Il pianoforte di Pagliari accompagna
con maestosità la voce sussurrata della Nicoli che racconta
una storia, che recita una poesia onirica. "La polvere con il
tempo ti copre, ti trasformi in una statua di ghiaccio colore
del fumo, grigia…" Come spiegano gli Ataraxia di questo pezzo,
la vita degli artisti è difficile, la vita di strada contiene
sofferenza, ma è meglio seguire i propri sogni, il suono della
musica, che perdere la propria anima svuotandosi in una statua
anonima, grigia e vuota. I ritornelli ricchi di piano e tamburo
evocano ambienti circensi, in una vita mondana deliziosa con
pasticceria e dolci. La voce narrante dice : "chiudo gli occhi,
ascolto la musica, apro i miei occhi nella citta magica ed elegante
della luce". Un pezzo fatto di parole, sospiri e storia, fantastica.
Zut: canzone francese cinica, la voce effettata della
Nicoli che ripete i cantati rende il pezzo ancora più ironico
e grottesco. Un pezzo che forse denuncia l'eccesso e vorrebbe
in qualche modo proteggere la natura che viene abusata. " La
carta viene dagli alberi."
Andy Laverine : canzone ancora una volta in francese
con un ritmo jazz, "cari fratelli non dimenticate il progresso
della luce". È una musica semplice che ci penetra dentro e corre
come l'acqua, scorre come il sangue nelle nostre vene. La lingua
francese ci colloca in un teatro parigino, dove gli spettatori
forse sono i manichini privi di vita, o forse ci troviamo all'interno
di un circo abbandonato, oscuro e decadente, in un archeologia
urbana. "Signore abbiate pietà dei folli" La follia è la forma
pura dell'espressione libera, dell'arte; spesso, nel passato,
artisti sono stati associati alla follia, arte e follia vanno
in parallelo. Forse ci troviamo dentro un manicomio dove ogni
spettacolo è apprezzato in pieno da persone che vogliono divertirsi,
che ridono cosi forte tanto per coprire le loro sofferenze e
l'oscurità che li perseguita. Una giostra che gira all'infinito,
un nastro di musica sospeso nel tempo. I parlati si alternano
con i cantati, tastiere e chitarre mantengono sempre la voce
in primo piano. Anche il bere è una forma di libera espressione
"voi che bevete diverse essenze". Il progresso della luce è
la sacralità della natura invincibile.
Donc je dois être morte: una canzone dolcissima che inizia
con l'arpeggio della chitarra di Vandelli e la voce dolce, melanconica,
triste e narrante di Francesca, la voce sussurrante ricorda
l'influenza delle canzoni francesi. Questo è il ciclo della
vita e della morte, della natura che si rigenera, che muore
ogni volta per rinascere, l'oscurità che inizia a vedere la
luce. "Il cielo, il sole, il fuoco, è primavera allora dovrei
essere morta, l'inverno mi ha presa, dove sono, chi sono, dove
andrò, poco importa, notte, sonno, fame apparente, conosco questo
luogo, lo conosco, ci sono stata più volte ed è per quello che
ci sono ritornata, la forza del pensiero e dei ricordi, e allora
sono morta, non mi ricordo ma sarà cosi, ma poco importa." Si
tratta di un canto lirico lontano onirico ed etereo … un sogno
antico che si ripete…. "E adesso sono lassù, sarò rigenerata,
puoi immaginare il tuo percorso al contrario dal mare al cielo,
potresti immaginare il tuo percorso adesso che penso, che mi
ricordo dell'ultima sera magica, un dono, camminando nella notte,
ho visto, dietro le nuvole c'era la luna piena fluorescente,
potresti esprimere tanti desideri quanti vuoi, uno, due, tre,
dieci , cento, quanti desideri ho espresso, la quantità vibrante
dei desideri che determina il tempo, la luna me l'ha insegnato…"
Una musica lontana, antica e sacra, un rituale, la voce che
sussurra insieme alla voce che grida, che canta e ulula alla
luna, il ballo dei lupi. Una canzone sublime da brividi con
un messaggio molto nobile che il pezzo trasmette; il tempo è
determinato dai nostri desideri, dai nostri ricordi, possiamo
ritornare con la forza del pensiero in ogni luogo che desideriamo,
in ogni tempo, con chi vogliamo, il passato, il presente e il
futuro è tutt'uno, come dicono gli stessi Ataraxia. Un pezzo
che si conclude tribale, rituale, antico, sacro e pagano, un
pezzo che ci collega alla terra, alla natura, al suono, al sole,
al fuoco, all'acqua e al vento. Questo pezzo è forse già un
anticipo del loro prossimo album 'The Wind at Mount Elo'…
(Rita Tekeyan) |
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MAURIZIO
BIANCHI / PHARMAKUSTIK
Metaplasie
CDr (Naked Lunch Records)
La
metaplasia, nella sua accezione medica, é la trasformazione
reversibile e talvolta irreversibile di un tessuto cellulare
in un altro avente la medesima origine embriologica. Il maestro
Maurizio Bianchi, o se preferite MB, incontra l'amico teutonico
Siegmar Fricke (attivo dal 2009 anche sotto il moniker di
Pharmakustik) ed applica alla perfezione il verbo medico-scientifico
all'ambito (non)musicale, trasformando e deframmentando tessuti
sonori convenzionali fino a sconvolgerne completamente la
natura originaria. Le tre suites di ‘Metaplasie', di circa
20 minuti l'una, il risultato finale del lavoro di destrutturazione
della coppia italo-tedesca, che ci proietta in questa lunga
immersione tra i vortici di quella che lo stesso Bianchi definisce
in maniera appropriata e calzante come una vera e propria
'meditazione metaplasica'. Del resto furono i Tangerine Dream
a parlare per primi di 'Electronic meditation', e se é vero
che anche e soprattutto in campo musicale i corsi e ricorsi
storici tendono a rinnovarsi, non é arduo rilevare come i
semi del krautrock di derivazione maggiormente elettronica
vivano nuova linfa in dischi come ‘Metaplasie'. Un' uscita
di gran livello per questa piccola label di Grado gestita
con cura e passione da Jacopo Fanó. Seguitela e supportatela,
il presente ed il futuro dei suoni che amiamo vivono piú che
mai tra le mura di realtá come la Naked Lunch.
Info: http://nakedlunchrecords.wix.com/nakedlunchrecordings
(Oflorenz)
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CAVAVERMAN
James
dead again
Download (autoprodotto)
Debutto
per questa formazione punk che si ispira a gruppi come Misfits,
Ramones e Alkaline Trio. Per la precisione, il genere trattato
è zombiepunk per le masse, per certi versi un ossimoro, che
chiarisce sin dal principio l'attitudine ironica e canzonatoria
tipicamente punk della band, ma anche la "sete di sangue"
del gruppo, che elenca tramite le singole tracce tutta una
serie di stereotipi horror, trascinando l'ascoltatore con
melodie orecchiabili, piuttosto ripetitive, datate e scontate,
segnate dall'immobilismo della stessa scena punk. I singoli
brani si succedono senza guizzi, quasi un sottofondo non disprezzabile,
ma destinato a fan sfegatati.
Sito web: https://www.facebook.com/Cavaverman
(M/B'06)
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COLLOQUIO
Io e l'Altro
CD (Sad Sun Music)
Non è un caso che la label indipendente Sad Sun Music, così
dedita nei suoi primi vagiti a propinare sonorità oscure ed
esoteriche (almeno ad un primo colpo d'occhio), abbia deciso
di riproporre nell'anno corrente l'opera cardine del progetto
bolognese Colloquio, ultima tape di commiato dell'ormai lontano
1995 che recideva i legami con gli albori autoprodotti di
Gianni Pedretti (mente, cuore ed anima della creatura minimal
electro-wave nata dai suoi deliri verbali e musicali) per
lanciarlo nel nuovo marasma più patinato fatto di nuovi supporti
e collaborazioni delle più svariate. Rispolverata così dai
meandri più oscuri del progetto, questo opus magnus che è
lo specchio stesso (incrinato e distorto) di quell'arte viscerale
romanzata da Pedretti, torna con una veste nuova (il Nosferatu
senza volto sulla copertina della tape viene qui sostituito
dal Nostro trasformatosi in una sorta di manichino ben vestito,
impegnato in un urlo che spalanca disumanamente le sue fauci
occluse, però, da una prigione gommosa che ne attanaglia il
volto grottesco, la rappresentazione di un urlo interiore
che tale rimane, di una disperazione viscerale che sarà il
perno sul quale roteano le oscure avventure delle quali udiremo
il racconto), ma con lo stesso alone di disperazione intrinseca
che la permea, quel dualismo psicotico lucidamente folle che
irrompe e dilania l'ego stesso del protagonista, in un'auto-chirurgia
malsana che fa da filo conduttore tra le numerose tracce che
compongono questo puzzle mentale sull'orlo del collasso imminente.
L'ascoltatore viene subito immerso nel mondo scontornato e
pullulante di pericoli del nostro eroe perennemente in conflitto
con la sua condizione schizofrenica, un moderno Dr. Jekyll
che a stento contiene la sua controparte assassina in una
lotta quotidiana contro se stesso. La figura metaforica della
"mosca rossa", che apre e chiude il percorso psicotico dell'album,
è una raffigurazione dell'incontrollabile rush adrenalinico
al quale conduce questo divenire "altro", simbolicamente raccontato
a due voci prima e ad una voce poi, in un chiaro quadro di
vittoria che arride al subdolo ospite indesiderato, dalla
voce acidula e in reverse che si insinua tra le pieghe di
quella più cupa ed oscura dell'involucro umano al quale si
è ridotto il nostro protagonista. L'intro è una marcia distorta
dispersa tra svolazzi di trombe e pestaggi ritmici sui quali
si abbarbicano i dialoghi extraterrestri di Pedretti, quasi
lynchani nel loro contrasto uomo-bestia già accennato in precedenza.
Lunghi respiri di synth a braccetto con percussioni cristalline
e vibranti colpi di cassa segnano buona parte del secondo
pezzo, "Io e l'altro (prima parte)", che va poi a disperdersi
in baluginii chiaroscurali assieme ai quali ritorna la voce
di Pedretti, questa volta senza distorsioni di sorta, che
ci racconta in chiave ermetica come la sua persona sia costretta
all'isolamento, ad una fobia sociale che lo rinchiude nelle
quattro mura di casa in attesa di un qualche cambiamento nella
corrente statica dell'esistenza, mentre squilli di tromba
riverberano sempre più distanti. Si tratta del primo dei tre
"scontri aperti" con la sua controparte maligna che possiamo
trovare all'interno dei sessantasei minuti dell'album. Si
continua poi con "Si chiude il sipario": qui l'elettronica
minimale che fa da cardine vorticoso al pezzo lascia libero
sfogo ai dialoghi esistenzialisti del cervello di questo oscuro
progetto bolognese, parole che si nutrono della malinconia
instillata sia dal tono rassegnato con la quale sono pronunciate,
sia dal tappeto dance sulla quale vibrano e imperano. Con
"L'attesa" tornano gli acuti tintinnii ambient avvolti in
oscuri gorghi sospesi nello spazio-tempo, mentre la voce nuovamente
distorta e cavernosa evoca visioni lisergiche di lucida follia.
Il secondo round contro questo "altro" divoratore acutizza
il conflitto tra Pedretti ed il suo doppelganger, evocando
disperatamente un sollievo oscuro e definitivo da questo dualismo
che corrode e consuma, vissuto su marcianti percussioni cadenzate
e le solite trombe dal trillo luminoso che si innalzano sulla
precisione caotica del resto. "Lui è dentro", titolo quanto
mai profetico ed inquietante, rimbomba di oscure ondate dark
ambient che scavano profondamente nell'ego dilaniato del nostro
protagonista, all'interno del quale "lui" ha trovato la sua
dimora viscerale, dove Lui ride quando il nostro piange, e
piange quando il nostro ride. L'ultimo atto di una lotta impari
descritta brillantemente dalle oscure sonorità sino ad ora
innestate nell'ascoltatore dipinge due entità ormai succubi
l'una dell'altra, delle quali sentiamo la voce di una commista
a quella diabolica dell'altra che arrancano su vortici elettronici
effettati, che esplodono verso la fine con frustate percussive
sconquassanti, un tira e molla sonico che non lascia intuire
chi sia il vincitore e chi il vinto in questa aspra battaglia
contro se stessi. Da qui in avanti l'album entra in una fase
differente, più lucente e salvifica rispetto alle buie atmosfere
sino a qui patite. "L'uomo in fondo" è una sorta di ripresa
di fiato ambient, eterea e limpida; "Volo anch'io" si propone
come malinconica suite esistenzialista in punta di synth,
che rotea e riverbera incessantemente tra attufate sonorità
iridescenti e testi strazianti, fino a colmare l'amaro calice
con le solite trombe squillanti, che accompagnano una marcia
elettro-wave davvero evocativa, intrisa di dualismo felicità-tristezza
in ogni suo arrangiamento. "Il buon ritorno" pesta su di un
clavicembalo quasi distorto, mentre positive vibrazioni traslucide
si avvicendano a formare una copiosa pioggia di formicolii
elettronici. La successiva "Sogno" riprende sia il dualismo
del nostro protagonista, sia quello musicale del progetto,
tra escavazioni nell'animo straziato di Pedretti che si avvicendano
attorno ad uno scontro di sottofondo che vede protagonisti
gravi atmosfere sonore e cristallini suoni di ottoni che vibrano
e si innalzano verso le luminose sfere celesti di un animo
umano che abbandona questo freddo e triste mondo. In "Per
quello che ho fatto", infine, continuano le atmosfere più
eteree e rassicuranti, macchiate però dal parlato disperato
e senza speranza del nostro sfortunato protagonista, che si
crogiola nel suo dolore tra i claustrofobici echi delle percussioni
che vanno scemando pian piano sino alla conclusione di questo
viaggio nell'io sordido e pericolosamente articolato di un
artista dall'ego mastodontico e ferocemente complesso, dimora
schizofrenica di demoni interiori ed altalenanti istantanee
chiaroscurali. Un'ultima menzione per la bonus track aggiuntiva
di questa ristampa, "Nelle mie stanze mute", inserita sapientemente
alla fine del viaggio originario e che suona come una speranza
danzante sulle note wave che colorano il grigiore fino ad
ora vissuto, una sorta di lieto fine donato agli ascoltatori
della reissue per lasciarli con un commiato più luminoso dell'oscura
vittoria dell'Altro che invece sigillava la vecchia tape.
Opera unica ed irraggiungibile, "Io e l'altro" è un affresco
dark subdolo ed incantatore, che può essere spiegato (almeno
superficialmente) dalle parole dell'autore stesso: "l'album
scaturisce da uno stato di malattia cronica. Una storia senza
un lieto fine. Gli attacchi di panico sono capaci di cambiare
una vita. La forma di una persona è sempre la stessa, ma il
suo essere è devastato." Un'interazione malsana musicata tra
due mondi diametralmente opposti, eppure parte integrante
dello stesso piccolo, grande uomo che suggellava così, in
un'Italia ammantata dalle più svariate sonorità allegre del
decennio, un patto con il diavolo sentito, oscuro e complesso.
Sito Web: http://www.colloquio.eu/
(Lorenzo Nobili)
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CONTREPOISON
I keep on searching
EP vinile (Avant! Records, Sans Issue)
Avant!
e Sans Issue curano la stampa limitata a 500 copie su 12"
dell'ep uscito solo in formato digitale nel 2012, per il canadese
Marc Tremblay, che possiede la seconda etichetta citata ed
agisce sotto il moniker Contrepoison in quest'occasione. Quattro
tracce di musica sporca e geniale, a metà tra synth-pop, industrial
e cold-wave, che trova la sua perfetta concretizzazione su
supporto vinilico. Si parte con la opener strumentale "Every
Dream I Have Is About You", fatta di beat ipnotici e tastiere
evocative che introducono la malinconica title track che rievoca
atmosfere anni 70, con suoni eighties ed il rumorismo proprio
degli anni 90. "No need to dream" è semplicemente superlativa,
coi suoi sfrequenzamenti su incedere cadenzato fatto di beat
sotterranei e voce incalzante. Chiude sulla stessa onda "Nectar
of destiny". Manca sempre la prova del nove del full length,
che auspicabilm ente non si farà attendere troppo.
Sito web: http://contrepoison.tumblr.com
(M/B'06)
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LE
COSE BIANCHE
Ferox Forcipe (Past Six years to say No)
DOUBLE TAPE BOX (Custom Body Records)
Tenere
tra le mani una registrazione di Le Cose Bianche ha quel sapore
genuino che aveva un tempo ricevere nella cassetta delle lettere
un nastro della Slaughter di Marco Corbelli, o magari qualcuna
delle vecchie mitiche cassette della Bloodlust! o della Broken
Flag. Del resto la scuola é quella, e non intendo solo stilisticamente
e musicalmente, ma anche culturalmente, con quell’approccio
viscerale senza compromessi alla materia sonora estrema ed
al giusto supporto per diffonderla tra quei (pochi) fortunati
che se sapranno cogliere ed apprezzare le virtù. Tra le numerose
uscite di Giovanni Mori, questo inquietante box di colore
giallo pallido contenente due nastri accompagnati da alcuni
inserti cartacei e non solo, é in qualche maniera la summa
estetica e “feticistica” di quanto appena detto. Se il primo
nastro contiene interamente materiale inedito registrato di
getto il 19 maggio di quest’anno (tra cui la title-track di
ben 22 minuti!), il secondo ci propone una succosa raccolta
di tracce estratte dalla vasta produzione passata ed uscite
esclusivamente sui supporti originali, per cui non reperibili
in alcuna forma on line. “San Sabba”, “Metacarnale”, “Parabused”
e “Power Weird” sono stati solo alcuni tra i vecchi dischi
di riferimento per la selezione delle tracce, ed é quasi superfluo
puntualizzare la radicale natura analogica dell’intera set-list,
nella miglior tradizione LCB. Trattandosi di box limitato
a soli 33 esemplari autoprodotti dal nostro tramite la propria
label Custom Body Records, direi che se non vi affrettate
ad accaparrarvi una copia di “Ferox Forcipe” ve ne potrete
pentire amaramente in seguito, e non dimenticate mai che in
fondo, come recita la back cover del box, that’s “only noise.
No induction”.
Info: http://www.lecosebianche.org
(Oflorenz)
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LE
COSE BIANCHE - LYKE WAKE
Exhale
TAPE (Custom Body Records)
La
Custom Body Records di Giovanni Mori - Le Cose Bianche per
chi ancora non lo conoscesse - ci sta abituando ad una nutrita
serie di chicche ormai divenute gustosa delizia per ogni appassionato
e collezionista di materia industriale-power electronics;
ecco a voi l’ultima, freschissima uscita, una collaborazione
a 4 mani tra LCB e Lyke Wake, storico progetto capitolino
facente capo a Stefano Di Serio ed attivo sin dal lontano
1984. Sorprendente come le sonorità tipicamente noise ed abrasive
tipiche della nostrana old school power-electronics di LCB
riescano a fondersi nelle melodiche trame cosmiche ed ambientali
di Lyke Wake, eppure le due lunghe tracce di circa mezz’ora
che occupano i due lati del nastro non finiscono mai di sorprenderci.
L’ascolto maggiormente godibile sarà proprio destinato a chi
già conosca le produzioni di Stefano e Giovanni: immaginate
un collage sonoro ove le spirali di “The long last dream”
vengano “disturbate” dalle interferenze analogiche di “Power
weird” o “Parabused”, con quest’ultime a tentare di prevalere
prepotentemente senza mai riuscire ad avere il sopravvento…compito
non agevole forse? In tal caso non resta che recuperare una
delle copie di questo nastro custodito internamente in una
candida garza ed esternamente in una leggera velina in alluminio
dorato, divenendone uno dei pochi, fortunati possessori.
Info:
www.lecosebianche.org
http://lykewake.wix.com/lyke-wake
(Oflorenz)
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CRAESHER
?oise (self-incestuous noise inception)
Download (Stridulation Records)
Marc
Urselli, produttore newyorkese di alto livello, come si evince
non solo dai Grammy vinti, dà sfogo al suo talento ed al lato
più sperimentale e scientifico della sua anima con questo
lavoro. Craesher è un progetto fondato sulla ricerca della
genesi ultima del rumore nei suoi lati scientifico ed artistico,
attraverso la manipolazione della sua base essenziale che
è l'onda sinusoidale: insomma appare più un esperimento scientifico
che artistico, ricalcando concettualmente le idee che possono
ricordare gruppi come i T.A.G.C. Il pi greco è stato preso
come simbolo ideale di questo processo in quanto numero irrazionale
e trascendente: "[?]oise (self-incestuous noise inception)"
è quindi un concept album incentrato sull'autogenerazione
di rumore senza intervento umano, in base alla programmazione
tramite algoritmi (questi sì creati dall'uomo) ed all'elaborazione
di un segnale. Già dalla confezione si intuisce che ci troviamo
di fronte a qualcosa di estremamente inusuale ed allo stesso
tempo molto accurato: legno di bambù con un foro centrale
a forma di pi greco inciso tramite laser, con la lettera greca
che si ritrova all'interno della confezione a fungere da "ferma
cd", per non sprecare materiale e creare rifiuti. Stessa logica
per il libretto fatto di carta riciclata, stampato utilizzando
oli vegetali senza uso di plastica. Ritroviamo la medesima
attenzione anche nella data di uscita del cd, ovvero il 14
marzo, in onore del valore numerico del pi greco, ossia 3,14,
e nelle dodici tracce che hanno lunghezze oscillanti tra i
3'44" ed i 4'14", ma che mostrano una durata di 3'14" grazie
ad un processo di cross-fading. Tuttavia, contrariamente a
quanto ci si possa aspettare da una generazione random di
varianti su una singola onda sonora di partenza, i singoli
brani non appaiono freddi e meccanici, ma riesce comunque
ad emergere la sensazione di una mano umana dietro a tutto
questo, circostanza che odora in fondo di eterogenesi dei
finie di grande maestria di Urselli, persona di grande genio
che ha speso tutta la sua vita dietro alla musica.
Sito web: http://www.marcurselli.com
(M/B'06)
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DORNENREICH
"Freiheit"
CD (Prophecy Productions)
Ebbi
già l'occasione di ascoltare questo progetto austriaco dall'approccio
folk molto singolare nella stupenda raccolta "Whom The Moon
A Nightsong Sings", nella quale la mitica Prophecy schierava
come bravi soldatini le migliori proposte della sua scuderia.
Il pezzo era "Dem Wind Geboren", una classica quanto particolare
ballata in punta di violino, commista ad improvvisi scatti
d'ira chitarristici e da svolte di calma piatta segnate dai
larghi respiri virtuosistici di un archetto e del suo fido
compagno a quattro corde. Un approccio decisamente insolito
a quello che è il folk moderno, che celava sicuramente un
qualche passato più brutale nel quale la band affondava le
sue radici primordiali. In effetti si tratta, parlando dei
Dornenreich, di un progetto nato nella grande famiglia del
black metal, dalla quale poi molti virgulti smettono di succhiare
l'amaro latte materno e decidono di staccarvisi propendendo
verso lidi più tranquilli quali appunto il folk moderno. In
una sorta di atavico attaccamento alle origini, il folk dei
Dornenreich (il "regno di spine" in lingua tedesca, concetto
insidioso come insidiosa è la proposta musicale propinata)
si invola soltanto in parte nelle ampie e tranquille acque
dagli sciabordii luccicanti di strumentazioni acustiche e
classicheggianti, portando con sé un pesante fardello tenuto
imbrigliato a fatica come una bestia scalciante che vuole
sfogare la sua rabbia repressa. Questa lotta continua col
passato brutale è la spina dorsale che fa da percorso esplorativo
di questa uscita risalente ai primi giorni di maggio del corrente
anno, "Freiheit", monumento ineluttabile al folk spinoso e
ricco di insidie che ben si adattata alla mutevolezza stilistica
del trio. L'apertura viene affidata a "Im Ersten Aller Spiele",
sussurrata su chiaroscuri arpeggiati, fatta poi esplodere
nella classica schizofrenia, marchio di fabbrica del gruppo,
che vede l'alternanza tra colpi di plettro rabbiosi e lunghe
pause riflessive create dall'immancabile violino e dai sussurri
perigliosi di Eviga. La bestia è domata, per ora, anche se
fa capolino tra gli squarci di una chitarra spasmodicamente
usurata da violenti accessi iracondi. Questi ultimi sono ancora
più udibili nel secondo pezzo, "Von Kraft Und Wunsch Und Jungen
Federn", dove anche la voce comincia a distorcersi e a trasformarsi
in uno pseudo growl fortunatamente trattenuto da legacci sviolinati
portatori di pacifiche visioni ariose che sempre più devono
impegnarsi a lottare contro la fagocitante belva che oramai
strattona, lacera e attacca inaspettatamente il labile velo
del rozzo folk strumentale. Un salvifico finale paganamente
danzante ci accompagna alla terza traccia, "Des Meeres Atmen",
con la solita marcia soffiata e vorticosamente ovattata di
violino e chitarra, guidata dai cattivi presagi sussurrati
dalla voce entropica del cantante. Un susseguirsi, questo,
di svolte sonore intrecciate alla perfezione, brezze soniche
appena accennate e mulinelli che ci sfiorano il viso, subdoli
e inesorabili compagni di viaggio dei quali non sappiamo se
fidarci o meno. Cullati dalle onde e dalla brezza marina,
non ci accorgiamo di essere caduti in trappola, né della bestia
che oramai ha strappato il suo velo incantatore tra arpeggi
e sviolinate e prorompe senza ritegno e senza possibilità
di fuga nel pezzo successivo, "Das Licht Vertraut Der Nacht",
nel quale il cantante finalmente grida la propria rabbia e
l'elettrica fa da sua fida compagna, combattendo contro armate
acustiche che tentano di prevalere sulla sua marcia inarrestabile
che tutto schiaccia e che tutto sporca. Tra esplosioni metal,
violini combattivi, sussurri e urla, la commistione è talmente
azzardata che funziona perfettamente, un puzzle perfettamente
vario e dai pezzi talmente differenti tra loro da costringerli
ad una metamorfosi obbligata per continuare a braccetto quella
che prima era una guerra all'ultimo sangue. Ed ecco il risultato
di quest'alleanza inaspettata nel pezzo che segue, "Aus Mut
Gewirkt", stupenda ballata metal nella quale ogni elemento
classicheggiante trova una sua precisa postazione tattica:
i violini fungono da meraviglioso tappeto armonico assieme
alle ondate soniche delle chitarre elettriche, la ritmica
esagitata viene egregiamente spalleggiata dalla chitarra acustica
smembrata dalla violenza delle plettrate subite, la voce è
un sussurro growl altalenante, a compimento di un mosaico
talmente intricato e diversificato nelle sue singole parti
da risultare piacevole oltre ogni aspettativa. Come la quiete
dopo la tempesta arriva "Im Fluss Die Flammen", con i suoi
accenni a qualche ispanica usanza, profondamene assopita e
riflessiva, quasi una ripresa di fiato dopo uno sforzo fisico
che supera i limiti della normale resistenza. Anche la chitarra
elettrica sembra riposarsi, cullata dai virtuosismi arpeggiati
della compagna acustica e portatrice di sussurrate note prolungate
di natura quasi new wave, una bestia sopita dopo tanto dimenarsi
che cerca riposo e tranquillità in qualche anfratto dimenticato
dall'uomo. Ed eccolo, il sonno della besta. "Traumestraum",
commovente ballata in punta di plettro portatrice di serena
letizia, un volo ascensionale verso pianure sconfinate finalmente
libere da un'incombente minaccia nera, nelle quali la vita
riprende, scorre leggiadra come le note vittoriose che fomentano
il delicato sottobosco accarezza-corde con rimasugli di volumi
più alti, come onde che si infrangono a tratti su lidi vittoriosi
e sopravvissuti. L'ultimo brano è la degna conclusione virtuosistica
di tutte le insidiose prove affrontate fino ad ora: un semplice
duetto chitarra-violino struggente e malinconico, senza fronzoli,
puro folk che quasi rimembra ai disattenti ascoltatori che
quello che hanno appena vissuto è il lavoro di un progetto
che sta faticosamente cercando di distaccarsi da un passato
metal che li bracca, sforzo che fa da intermediario ad un
risultato accattivante di una band tremendamente pirotecnica
e inaspettatamente mutevole, che mostra la sua doppia faccia
natural-pagana e metalleggiante in una guerra intestina che
non ha né vincitori né vinti, ma dalla quale scaturisce soltanto
un lavoro eccezionale, un album completo sotto ogni punto
di vista che va ripetutamente analizzato con perizia e una
buona dose di coraggio, spinoso, accattivante, periglioso
e rassicurante assieme. Un dualismo visceralmente musicato
davvero unico nel suo genere, per un'esperienza neofolk diversa
e rara da scovare.
Info:
http://www.prophecy.de/
http://www.flammentriebe.com/
(Lorenzo Nobili)
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