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 UK DECAY + AGENT ORANGE

30 aprile 2009, Milano, "Musicdrome"

Testo e foto di Fabio Degiorgi 

Per cause di forza maggiore, vale a dire la chiusura dell’All Blacks di Bovisio Masciago, dove era originariamente previsto il concerto degli Agent Orange, e grazie all’ospitalità di MI-Decay, questa sera al Musicdrome si trovano riuniti due nomi davvero di culto, rispettivamente per la prima scena post-punk inglese e per quella punk/hardcore melodica californiana degli anni ‘80.
L’ingresso al locale è possibile solo intorno alle 22, fuori non c’è una gran folla che preme, e dei tre gruppi locali previsti di spalla, per questioni di ritardo – presumo nel soundcheck – suonano solo i Dirty Pulp Theatre, i quali propongono un innocuo e acerbo punkettino, ancora da raffinare.
Pochi dei lettori di Rosa Selvaggia conosceranno gli AGENT ORANGE (foto sotto), esistenti fin dalla fine degli anni ’70 e nelle cui fila militò pure il bassista Steve Soto, prima di unirsi ai fratelli Agnew negli Adolescents. Il trio guidato da Mike Palm, in gran forma e dall’aspetto davvero giovanile nonostante le tre decadi attraversate, sforna una raffica di brani storici, in particolare dall’ottimo e secondo album “This Is The Voice” del 1986, con la grave assenza dell’anthemThis Is Not The End”, e infila pure parecchie cover, fra le quali classici del surf come “Misirlou” e “Pipeline”, una “Secret Agent Man” rifatta dalla gente più disparata (vedi i Devo) e la “Somebody to Love” dei Jefferson Airplane.
Show accattivante e coinvolgente nel complesso, il pubblico non particolarmente numeroso si concentra sulle prime file e partecipa in modo caloroso e piuttosto tranquillo considerando il genere.

Ore 00:15, dopo una spasmodica attesa da parte mia e un ulteriore sfoltimento dei presenti (diversi fans degli Agent Orange se ne sono andati definitivamente alla fine del loro show), iniziano gli UK DECAY, con la lunga “Werewolf” tratta dall’EP “Rising From The Dead”, e la magia ricomincia dopo 27 anni. Inutile stare a dilungarmi su chi erano, chi sono e cosa hanno rappresentato nella nascita del post-punk in senso stretto, in particolare di quella corrente che, partita da sonorità e ideali prettamente punk, è divenuta poi un capitolo fondamentale fra le varie sfaccettature del variegato universo ‘dark’. Molti di voi già lo sapranno, su internet si trovano tutte le informazioni necessarie, ed in più potete leggere proprio sulle nostre pagine l’intervista che il chitarrista Spon ci ha concesso a tempo di record pochi giorni prima di questa data milanese.
Ma torniamo al concerto: impossibile non restare rapito dal suono unico, spettrale ed ossessivo che i quattro ci propongono, con immutata potenza rispetto alle vecchie incisioni. La scaletta segue grosso modo la riedizione ‘allargata’ su CD del loro unico LP “For Madmen Only”, quindi si passa dal già citato EP uscito per la Corpus Christi, per poi attraversare i vari brani dell’album del 1981: il cuore dei pochi rimasti sotto al palco si scalda a udire titoli come “Testament”, “Duel”, Shattered”, Unexpected Guest”, “Sexual”, “Mayday Malady”. I nostri non sembrano scoraggiarsi per l’audience davvero risicata, Abbo si muove come un posseduto fra balzi e capriole, il nuovo batterista Ray riesce a supplire al meglio la mancanza del purtroppo deceduto Steve Harle, le note del corpulento bassista Ed – uno dei pochi di questo genere a suonare con le dita anziché col plettro – entrano nelle viscere, così come la tagliente ed allucinata chitarra di Spon. Si chiude alla grande con “Unwind” – bei tempi quando c’erano i 45 giri e la facciata B era magari ancora più bella della A! – ed una versione perfetta e da brivido di “For My Country”, singolo del 1980 che mi fece conoscere gli UK Decay qualche lustro fa, ai tempi della mia adolescenza punk. Conclusa l’apoteosi, si chiede un bis, ma i roadies smontano tutto in pochi minuti. Forse l’orario ha superato ogni limite, forse c’è un comprensibile scoramento della band provocato dall’esiguità numerica del pubblico, davvero assurda, ma triste ed ennesima conferma del vuoto totale di una presunta ‘scena’ dark milanese, sulla quale ho già steso troppe volte un velo pietoso. Peggio per gli assenti (perdoniamo il nostro direttore, forzatamente oltreoceano e sinceramente dispiaciuto di non poter essere qui stasera), non mi resta che precipitarmi al banchetto per accaparrarmi la nuova edizione su CD di “For Madmen Only”, arricchita da molti brani in più rispetto all’introvabile vinile, e poter mandare finalmente in soffitta la vecchia cassetta mal registrata.  

 

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