Fu così che, dopo luscita
di Dark Companion, forse lultima canzone veramente dark
del loro repertorio, i Tuxedomoon volarono a Londra a continuare la
loro carriera in quello che sembrava il più naturale dei modi: gruppo
gotico nella città della musica gotica per eccellenza. Loro erano
nella formazione più classica e più amata dai fan: oltre ai due leader
Steven Brown e Blaine L. Reininger (cantante/tastierista/sassofonista
il primo e violinista/chitarrista il secondo), cerano lipnotico
basso di Peter Principle e la preziosa voce del performer dorigine
cinese Winston Tong, finalmente tornato in pianta stabile.
Una lunga tournèe in Belgio, Olanda e Germania, oltre a qualche ovvia
data a Londra, fu lentusiasmante biglietto da visita del gruppo
in Europa. Servì anche come necessaria preparazione per la registrazione
del nuovo album, supportati dal loro grande fan John Foxx e con Gareth
Jones al mixer, per la Pre Records. Le sessioni di registrazione furono
interrotte una sola volta, per una fuggitiva data a Bologna nel novembre
dell80. Da allora nel gruppo nacque un amore incondizionato
per il Bel Paese, che prosegue indisturbato fino al giorno doggi.
Anzi, la calorosissima accoglienza che il gruppo ebbe non solo in
Italia ma nel continente in generale, fece loro vedere la fredda e
decadente Londra da un punto di vista molto diverso.
Tuttavia con lanno nuovo uscì il nuovo Lp, Desire, ed
il coro fu unanime: al capolavoro!
Ora
chi scrive non vuole negare lestrema bellezza di questopera.
Anzi, si può tranquillamente affermare che la coppia Half Mute
/ Desire costituisca probabilmente il vertice dellarte
dei Tuxedomoon, soprattutto dal punto di vista di un amante della
goth-wave. Tuttavia questo nuovo lavoro, per chi ha amato il loro
primo imperdibile album, non può non suonare molto più convenzionale,
ed in più punti quasi ruffiano, definendo unopera che si configura
quasi allopposto del titolo precedente. Sin dalla copertina:
fredda ed intellettuale (pur con colori caldi) quella,
così incentrata sullalienazione; calda e sensuale (sia pur con
colori freddi) questa, erotica quasi, nel suo modo di
velare unanatomia umana (un addome ed una gamba, forse maschili,
sebbene non se ne distingua il sesso. Si sta parlando della più famosa
copertina belga, quella della ri-edizione a cura della Crammed discs
nel 1984).
Così i suoni: sgraziati, ruvidi in quel disco, molto più morbidi ed
accessibili in questo. Infine le canzoni stesse: monumento al vuoto
in quelloccasione (addirittura Fifth Column è stata presentata
nella versione non cantata, sembrando così uno strumentale), piene
e ben arrangiate, quindi più convenzionali in questa.
Ciò che comunque ha fatto la gloria di Desire fu lo stato di
grazia dei musicisti, ispirati come poche volte capita nella storia
del rock. Si comincia con una lunga suite (un quarto dora) in
quattro movimenti: East, Jinx,
(proprio
così: tre puntini di sospensione!) e Music #1. In effetti lintroduzione
alla prima parte, lo strumentale East, sembra presa pari pari
da Half Mute: un violino lontanissimo su un lungo e lento giro
di accordi, quasi un tappeto remoto, nebbioso, funereo. Giro ipnotico
di basso a sovrapporsi. Dopo un minuto e mezzo una tastiera enorme
prepara la strada armonica ad un sassofono triste ed introverso quanto
mai. Poi la percussione sintetica cambia il ritmo, seguita da basso
e tastiera. Il violino adesso è presente e contappuntato da un violoncello,
a comporre una melodia quasi balcanica: si tratta di Jinx,
canzone bellissima, romantica, triste e, diciamolo, apotropaica. Ritmo
vivace, sassofono e violino ad intrecciarsi, voce di Tong in tono
dimesso, un capolavoro di classe e contrasti, insomma. Quando Jinx
sfuma entra il terzo movimento,
, una dissonanza per
archi ed effetti elettronici, un terreno psicologico su cui innestare
Music #1, altra cacofonia elettro-ipnotica. Qui i due leader
danno sfoggio di ciò che hanno imparato nei loro corsi di musica elettronica,
con effettacci, rumori e synth in libertà.
In effetti, arrivati a questo punto, il disco non appare né tanto
dissimile né più accessibile del suo predecessore. Sarà la successiva
Victims of the Dance a ridare alle composizioni quella morbidezza
del resto preannunciata con Jinx. Si tratta di uno stranissimo
pezzo scandito dal basso in scala discendente di Principle a supportare
una strofa parlata, interrotta poi dallo scambio con una tastiera
scherzosa. Il ritornello però si inserisce in modo più tradizionale
con un cantato tragicomico e quasi grottesco sulle vittime della
danza (il contrasto con le creature della notte è stridente).
Un brano veramente assurdo, con le parole finali che recitano «just
like Cassandra».
Poi, sorpresa: la drum machine entra danzereccia e ruffiana. Si tratta
di Incubus (Blue Suit), un ballabile epico e scatenato, con
vorticosi e trascinantissimi stacchi centrali di chitarra e tastiera
sovrapposti. Un brano da discoteca, forse, ma bello e tragico come
pochi ce ne sono stati. Lincubo surreale di un uomo venuto dal
futuro che dà unarma potentissima ad uno del nostro tempo, il
quale si diverte a distruggere tutto. Subito a seguire il capolavoro
Desire, la title-track dallingresso sintetico e percussivo.
Un altro ballabile, meno scatenato ma ancora più stylée e raffinato,
fino al ritornello delirante e scomposto «dont think, go buy».
Un capolavoro trascinante sui feticci moderni, sul consumismo, sulla
frustrazione, con un verso immortale: «live a thousand lives by picture»
(vivi mille vite in fotografia) a chiudere come un delirio ripetuto
e trasognato, nella sua ossessività.
Poi tornano gli effetti elettronici già sentiti in brani come Midnight
Stroll, ma qui utilizzati a far da sfondo ad una melodia vocale
tristissima, quasi straziante. Sì tratta di Again, capolavoro
di depressione cosmica che nulla ha da invidiare a maestri come i
Joy Division o, prima di loro, Nick Drake e Leonard Cohen, per accompagnamento
di suoni sintetici, tastiera, piano discendente e sassofono straziante.
Ma le tastiere in chiusura vengono rallentate e distorte, fino al
dissolvimento del brano nel nulla. Una breve pausa ed ecco un intro
maestoso di tastiere e sassofono, con questultimo sempre mesto,
malinconico. Tong recita «what suffering, in the name of love» e fa
capolino la chitarra: il brano esplode con una ritmica sintetica scatenata.
Si tratta di In the Name of Talent (Italian Western Two) (sebbene
non se ne conosca un one), un altro dei loro brani allegri
ma epici, ballabili ma drammatici. Il sacrificio di chi vive per il
suo talento, ma va inevitabilmente incontro alla sconfitta, con tanto
di verso melodrammatico in italiano cantato in sottofondo sul finale:
«non solo per il sesso, ma anche per lamore». Un brano immortale
che fa coppia con la title-track.
Poi degli archi pizzicati in una melodia da film: è la finale semi-strumentale
Holiday for Plywood. Gli archi sono spezzati da basso e drum
machine, un sax di sottofondo, poi la sezione darchi entra completa
e molto tradizionale. La voce è profonda e quasi indistinguibile,
beffarda su una melodia che non si capisce se hollywoodiana o piuttosto
disneyana. Un altro brano demenziale, dellassurdo, dove le tastiere
più sperimentali ed il basso più ossessivo si fondono armonicamente
con la sezione darchi, in un improbabile ma riuscitissimo matrimonio
fra sperimentazione oltranzista e tradizione becera, il tutto sempre
più allegro, sempre più scomposto e dissonante. Il finale interrompe
con la melodia pizzicata iniziale.
Desire doveva presentare
allEuropa un gruppo di emeriti sconosciuti (fuori dallunderground
più attento), ed in questo senso è un capolavoro perfettamente riuscito.
Ciò che in Half Mute era alienazione qui è tristezza, ciò che
lì era ossessione e paranoia, qui è senso dellassurdo. Più leggero,
più spiritoso, quindi, sebbene il pessimismo più nero non manchi,
e anche più tradizionale, d'una tradizione che si rifaceva ai Roxy
Music più epici e disperati. Da un certo punto di vista questo disco
li mantiene, quindi, vicini ad una certa scena dark-punk, ma in modo
quasi artificiale, opportunistico. Dallaltra sarà un ulteriore
passo verso una ricerca così evoluta ed originale da non essere più
confrontabile con quello che nel frattempo stava diventando il genere
gotico.
Non sarà casuale, infatti, il repentino abbandono di Londra da parte
di un gruppo che, in effetti, con quella città aveva poco o niente
a che fare. Tra lunghe tournèe, diversi pentimenti, occasionali ritorni
a San Francisco o New York, i Tuxedomoon si stabilirono infine in
Olanda, a Rotterdam, in una vecchia torre idrica, un acquedotto abbandonato
chiamato Utopia dalla comune che lo abitava. Fu qui che venne composta
la Suite en Sous-Sol che però, a causa di un brutto incidente
capitato a Blaine (fu investito da unautomobile, rompendosi
unanca e, soprattutto, le dita della mano destra), non fu pubblicata
prima dellanno dopo.
Di questanno, tuttavia, fa ancora parte un curioso episodio,
avvenuto in aprile. La Pre Records andò su tutte le furie quando visionò
il video promozionale di Jinx, impedendo de facto la sua distribuzione
televisiva. I suoi dirigenti, infatti, consideravano il video troppo
coinvolto (e quasi poco rispettoso) nei confronti degli scontri e
proteste che in quel periodo avvenivano con gli H-Block nellIrlanda
del Nord. Inoltre Reininger imbrattato di fango sembrò decisamente
insozzato di una sostanza meno neutra. Questo chiuse definitivamente
i rapporti con lInghilterra. E permise loro di spiccare il volo,
sì, ma dove purtroppo noi non dovremmo, o forse neanche potremmo,
più seguirli.
Tuttavia il nostro amore per la loro arte, manco a dirlo, non ci impedirà
di farlo.
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