Mentre tutto ciò di cui si
è scritto finora stava avvenendo, ben pochi fuori dallIrlanda
si accorgevano di che cosa ferocissima stava devastando quellisola.
Nati nel 1977 i Virgin Prunes più che un gruppo rock erano una comune
artistica multimediale (derivata a sua volta da unaltra comune
di Dublino, la Lypton Village), similmente ai Tuxedomoon delle origini,
ed esattamente come loro per lo più composta da gay.
Il nome gergale Prunes era quello che a Dublino, o forse solo nella
Lypton Village, si dava ai reietti, ai derelitti, ai rifiuti della
società, che forse proprio per questo risultavano più puri, più vergini
rispetto ad altri. Portabandiera del Teatro del Dolore di Artaud
in terra dIrlanda, la comune metteva in scena una sorta di teatro
estremo, fatto di grida, violenza, sopraffazione e pazzia, il tutto
trasfigurato nelle forme di un allucinante cabaret dadaista. Di certo
un cabaret surreale, così feroce che spesso neanche i componenti della
comune stessa riuscivano a resistere alla portata iconoclasta di messinscene
fatte di sangue, danze tribali, riti pagani, esplosioni di bestialità.
Veri e propri riti catartici. Col tempo dalla comune fuoriuscirono
molti elementi (mentre altri ne entravano), come ad esempio Paul Hewson
e David Evans. Questi ultimi, con i soprannomi di Bono Vox e The Edge,
conosceranno in seguito un certo successo commerciale con il gruppo
pop/new wave degli U2.
Certo, lIrlanda rimaneva impietrita di fronte alle loro performance,
ma fuori dallisola verde non erano veramente conosciuti da nessuno.
Dal momento che i loro ferocissimi spettacoli erano spesso accompagnati
da colonne sonore fatte di rumori disarticolati e distorti, che tuttavia
talvolta assumevano la forma di quasi-canzoni, la comune artistica
decise di tentare lavventura discografica per favorire la fruibilità
degli spettacoli stessi. Uno di questi spettacoli simili a concerti
fu recensito nel marzo dell80, mese in cui i Virgin Prunes fecero
una data in appoggio ai loro amici U2 alla Acklam Hall. Dave McCullough
su Sounds, li descrive così: "in parte glam-rock,
in parte punk-shock, in parte pura rabbia innovativa... una forma
musicale falciante, simile ai Banshees ma meno posata, meno consapevole
della propria carica innovativa ma stilisticamente disinibita.
Insomma, una serie di eufemismi.
Nel 1980, cioè a tre anni buoni dalla loro formazione, tre anni fatti
di sudore, tournée e spettacoli, gli elementi che si potevano distinguere
erano sei: il chitarrista Dik (ovvero Richard Evans, fratello del
David the Edge di cui sopra), il bassista Strongman (vero
nome Trevor Rowan) ed il batterista Pod; a questi musicisti
(in realtà rumoristi) si aggiungevano i tre cantanti/urlatori/performer
Dave-id Busaras Scott (il paranoico, il minorato mentale,
effettivamente affetto da meningite negli anni dellinfanzia),
Guggi (la donna pazza, il bambino violato, vero nome Derek Rowan,
fratello di Trevor Strongman) e Gavin Friday, dei tre
il vero leader carismatico, capace di una voce che dalla più delirante
follia arrivava ad un baritono melodrammatico come pochi.
Ovviamente nessuno voleva saperne di mettere su vinile le loro grida
sguaiate ed inarticolate, i loro vagiti infantili e spettrali, ed
il sordo rumore che li accompagnava. Fu così che, autofinanziatisi
anche grazie alle entrate delle loro performance, i sei pazzi scriteriati
fondarono una loro etichetta discografica personale: la Baby Records.
La prima uscita sconcertante di questetichetta improvvisata
(che tuttavia poteva contare su di unefficientissima rete distributiva
underground, nata in seguito alla rivoluzione del punk)
vide la luce nel dicembre del 1980 sotto forma di un Ep a 45 giri
quantomeno improbabile, tuttavia dotato di gustosissima copertina
tra il bucolico e il fiabesco: sul lato A cerano Twenty Tens
e Revenge, mentre sul B lallucinante The Children
are Crying e
Greylight.
Sicuramente il brano migliore fu il primo, il cui titolo intero era
Twenty Tens (Ive been Smoking All Night Long): un post-punk
patafisico ed esagitato, introdotto splendidamente dal basso di Strongman,
poi devastato dalle tremende voci dei tre cantanti. Punteggiato di
pause e scale discendenti di chitarra, di rullate folli della batteria
di Pod, il brano riprendeva tra le grida di Guggi e Gavin Friday,
per interrompersi bruscamente a neanche due minuti e mezzo. Tenebrosissimo,
poi, lincipit di Revenge, con tanto di voci e risate
registrate al contrario, dalleffetto satanico. Poi una chitarrina
malata, su una percussione da tenebra, fa da sfondo al canto lamentoso
di Gavin, a comporre un brano che difficilmente avrebbe potuto essere
più dark, con il verso «Im hating myself», figlio tanto della
depressione dei Joy Division quanto della follia di Fodderstompf
dei PIL.
Un ritmo sintetico fa da intro a The Children are Crying, brano
da lasciare perplessi. Sul ritmo della drum machine, Dik intreccia
una melodia malata e spastica. Malata e spastica almeno quanto il
canto di Dave-id «I hear the children crying, as they all die of fever»,
che segue fedelmente la linea melodica. Leffetto-unione melodia
deficiente / voce demente diviene presto quasi insopportabile, in
un esperimento psico-sonico che i Virgin Prunes assumeranno spesso
nelle loro esagitate esplorazioni di stati mentali ai limiti della
malattia. Cinque minuti e dieci secondi di follia delirante in puro
stile Dave-id Busaras. Al confronto gli esperimenti rumoristi e percussivi
dellultima
Greylight sono quasi una benvenuta pausa
rilassante. Notevole, comunque, leffetto delle voci distorte
sul solenne tappeto di tastiere.
Portatori di quel filo rosso della follia così goticamente messo in
musica dai Van der Graaf Generator, nelle tematiche i Virgin Prunes
sono più figli dei PIL che di qualunque altro artista dark o new wave,
Joy Division e Tuxedomoon compresi, per la loro attenzione stralunata
nei confronti degli stati alterati e patologici della mente, benché
interpretati in modo tanto originale quanto quasi indigesto. Saranno
una delle sorprese più sconvolgenti di questa stagione 1980-81, nonostante
il fatto che esistessero già da tempo, infatti meritano appieno il
titolo di appartenenti alla primissima generazione dark. Per dimostrarlo
i sei pazzi trovarono finalmente una vera casa discografica, la Rough
Trade, e chiusero la stagione con unopera che, in effetti, era
la riedizione di loro vecchi brani.
Uscito nel luglio dell81 il loro secondo singolo presentava
sulla-side Moments and Mine (Despite Straight Lines)
che cominciava con una continua percussione come di latta, con voci
trattate di sottofondo e una chitarra che sussurra fraseggi. Un incubo
rumorista in cui, al secondo minuto, si inseriscono una chitarra ed
un basso distorti ed il brano prende forma, impreziosito dalla graziosa
scala di tastiera del nuovo entrante Haa-Laaka Bintii (nome che, tradotto
dal gaelico e dallo swahili (?) suona Regina della lacca per
capelli). Un brano veloce, scanzonato, a più voci, su un giro
armonico semplice e piacevole. La cosa più orecchiabile offerta dai
Virgin Prunes sino a quel momento.
Sul lato B, invece, lapparente continuazione del discorso lasciato
in sospeso sul singolo precedente: Into the Greylight, tuttavia,
era un brano molto diverso da (anche perché, come già ricordato, filologicamente
antecedente a)
Greylight. Dove là si trattava di un quasi
strumentale per tappeto di tastiere, qui invece si ha a che fare con
un altro brano post-punk veloce e disarticolato, basato su un fraseggio
di chitarra sempre uguale, un drumming forsennato e le voci di Guggi
e Gavin a sovrapporsi in modo psicotico e confusionario. Un pezzo
insieme allucinato e feroce sulla pazzia, perfetta introduzione al
successivo War, un frammento di due minuti, mesto, anzi tristissimo
e decisamente paranoico, con giro sempre uguale di chitarra e canto/lamento
di Dave-id Busaras. Insomma un brano che è sicuramente la radice malata
di cose come Revenge e The Children are Crying. Da star
male.
Di certo non prolificissimi,
i Virgin Prunes esordirono in questa stagione con due singoli e sette
brani. Alcuni strani, altri terribili, taluni trascinanti, talaltri
indigesti. Ma la loro era comunque una nuova idea di vedere il lato
oscuro dellanimo umano, benché ora le tematiche (ma assolutamente
NON le musiche) fossero ancora troppo simili a quelle affrontate dai
PIL. Tuttavia, se questi ultimi mostravano la follia come bandiera
del proprio dolore e del proprio stato di disadattati, qui laccento
è posto sulla violenza ed, assurdamente, su una reazione religiosa,
quasi spirituale alla violenza stessa, che si configura in nuove forme
di danza sfrenata, tribale e pagana.
Il loro cabaret assurdo e feroce, quindi, diventa meno estraneo e
straniante. Diventa specchio canzonatorio della realtà che ci circonda,
della normalità della sua violenza, della capillare diffusione del
suo dolore. È la pazzia di tutti i giorni ad essere normale e queste
prugne vergini, questi reietti, autoesclusi ed autoghettizzati
della società, si limitano a celebrarne il lato sacro. Perché ogni
visione folle ha qualcosa di profetico, in un rito orrido e parodistico,
collettivo e sociale, che vedeva loro nel ruolo simbolico di vittime
sacrificali.
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