3.5 The Birthday Party – The Birthday Party

Certo, per i giovani Boys Next Door lasciare la loro patria dev’essere stato qualcosa di lacerante. Ciò non di meno si trattò di una scelta obbligata: è inutile essere i campioni di una scena underground se essa in cambio non compra i tuoi dischi, se de facto ti fa morire di fame. Probabilmente l’underground australiano non era ancora maturo e la decisione si impose da sola: sciogliersi o emigrare. Visti i buoni contatti che il manager Keith Glass intratteneva con diverse etichette per la distribuzione in terra britannica dei prodotti della sua Missing Link, soprattutto 4AD e Virgin, si decise di tentare l’avventura discografica inglese.
Eppure ai cinque qualcosa non convinse in terra d’Albione. Avranno modo di lamentarsi, in successive interviste, dell’eccessiva e mediocre tranquillità della scena musicale inglese. Certo, con le debite eccezioni: i Bauhaus ed i Killing Joke ad esempio, per non parlare della devastante scena industriale, ma confrontata con l’esagitato underground australiano la compassata scena inglese sembrava preda di una narcolessi dai toni melodici (non dimentichiamoci che in quegli anni stava emergendo il deleterio fenomeno del new romantic). Nella realtà l’Inghilterra non era l’Australia. In Europa l’eccesso iconoclasta e violento di gruppi come gli Stooges poteva imporsi solo per brevi periodi, ormai ampiamente assorbiti, soprattutto in Gran Bretagna, dalla defunta ondata punk. Era tempo per l’Europa di esibire finalmente tutto il suo potenziale decadente, estremo, unico ed irripetibile nella storia delle società umane, di cui il dark ai tempi fu l’evidenza più eclatante e sconcertante.
Ma questo Nick Cave, Rowland S. Howard, Mick Harvey e soci non lo capivano né lo accettavano. Si ritrovavano, inoltre, in una difficile situazione: vivevano tutti insieme in un monolocale, senza un quattrino, in terra straniera e comunque con le esigenze improcrastinabili tipiche della tossicodipendenza. Il clima, poi, nella gelida Inghilterra era tutt’altro che accogliente. I Boys Next Door, infatti, avevano lasciato l’Australia nel febbraio dell’80, quando in quell’emisfero è estate, per ritrovarsi nell’inverno londinese! Frustrazioni lavorative (chi voleva dar lavoro a dei tossici?) e pregiudizi ex coloniali mandarono presto i cinque in uno stato di depressione. La tensione si mutò facilmente in rabbia, scaricata appieno nelle nuove composizioni.
La situazione sembrò migliorare con l’avvento dell’estate, non solo per le migliori condizioni climatiche, ma anche perché vennero a trovarli le fidanzate, tra cui la bellissima Anita Lane, “storica” ragazza di Nick Cave. L’arrivo infine dell’energico e pratico Keith Glass rimise subito i ragazzi della porta accanto al lavoro: concerti, John Peel session e contatti discografici. Chi rimase più impressionato fu Ivo Watts-Russel, il già noto boss della 4AD.
In effetti, anche da questi contatti, i Boys Next Door si resero presto conto di una cosa. Loro erano un gruppo assolutamente sconosciuto che in terra straniera stava proponendo un “genere” (che alcuni già definivano “swamp-punk”, punk di palude) innovativo e piuttosto indigesto. A tutti gli effetti si trattava di un nuovo inizio in una nuova terra. E visto che il loro brano più famoso, fino a quel momento, era stato quel capolavoro di Happy Birthday, perché non approfittarne per cambiare nome? 
Discograficamente parlando i ragazzi uscirono con due 45 giri successivi, entrambi con l’aiuto dell’affezionato Tony Cohen al mixer: Mr. Clarinet / Happy Birthday (ancora per la Missing Link, gotico e profetico sin dalla copertina) e The Friend Catcher / Waving my Arms + Cat Man (già per la 4AD). E nel novembre del 1980 i due singoli furono raccolti insieme ad altri inediti in un Lp chiamato col loro nuovo moniker: The Birthday Party; tuttavia la versione australiana del disco si intitolò ancora (e per l’ultima volta) The Boys Next Door.
Musicalmente i cinque rispettarono perfettamente le terribili tendenze di Hee-Haw, portandole a giusto compimento. Il disco è quindi in qualche modo “fratello” di Hee-Haw, col quale fu infatti raccolto nella successiva edizione su Cd. La grafica di copertina di quest’ultima, con graffito di asino pazzo "espressionista" e croci rosse e nere, dimostra come, ai tempi della pubblicazione del Cd, il gruppo fosse stato ormai assimilato alla compagine gotica. Musicalmente parlando è veramente meraviglioso il primo brano, il singolo Mr Clarinet, con la tastiera di Harvey che comincia in sordina e la sezione ritmica di Calvert e Pew che entra potente e scandita su una doppia battuta. «I have a friend in you, oh Mr. Clarinet» comincia uno sgangherato Nick Cave, tra chitarre laceranti e tastiere orientaleggianti. Poi segue uno straziante intermezzo musicale, tanto sorprendente quanto stralunato, poiché romantico ma sopraffatto d’ogni distorsione. Una rullata di batteria e Nick Cave riprende la sua filastrocca, fino al prossimo intermezzo ed al finale toccante e trascinato. Un brano romantico dell’ebbrezza e della distorsione? Un piccolo capolavoro.
Meno imperdibile ma comunque godibilissima, con i suoi effetti di grida lontane, la successiva Hats on Wrong, scandita da una scaletta chitarristica di Howard e con le voci in eco. Il basso fa un lavoro molto dinamico ed articolato, staccandosi un po’ dal resto delle partiture; tornano ancora fuori i sassofoni ed il tutto si mescola in una sorta di orgia sonora. Segue The Hair Shirt, il già sentito pezzo forte di Hee-Haw. Inedita e bellissima sarà invece la successiva ed esagitata The Guilt Parade: un inizio chitarristico in sordina che dà il tempo ed il giro armonico, sezione ritmica e sassofono che dirompono all’improvviso, voce appassionata e melodica, come si era sentita su Door Door. Il brano accelera e guadagna in tensione e nevrosi. Finisce presto tra i “parade la la la” di Cave e la consueta orgia sonora dei cinque tossici più casinisti d’Australia. Ma il brano inaspettatamente riprende, per un secondo finale ancora più rumoroso e devastante. Meno notevole la successiva Ridde House, la comunque bella b-side di Happy Birthday, l’ultimo singolo australiano dei Boys Next Door.
Un altro capolavoro assoluto, comunque, sarà la successiva The Friend Catcher. Inizio prolungato di chitarra in distorsione su una “nota” sola, in realtà in feedback. Quando il suono comincia a dar fastidio entra la batteria di Calvert a scandire, poi il basso di Pew: enorme, devastante, qualcosa di simile l’aveva fatto solo Jah Wobble con i PIL, segue chitarra. È un brano grosso, potente e magmatico, con la voce in bella evidenza e le chitarre distorte in una sorta di articolato wall of sound. Al verso «it’s a prison of sound» (guarda caso) un’efficacissima pausa, dove torna fuori la prima chitarra in feedback (Howard e Harvey insieme facevano sfracelli…), nuovamente interrotta dalla batteria prima e dall’enorme basso poi. Ora la voce di Cave è su una tonalità più alta ed arriva a librarsi nel raglio assurdo dell’asino, quell’hee-haw che diede titolo al precedente Ep. A «prison of sound» nuova pausa: altro giro, altro brivido in regalo.
Purtroppo né la bella ed esagitata (e leggermente “barrettiana”) Waving my Arms, dotata comunque di ottime scale discendenti di chitarra, né la già sentita (sempre su Hee-Haw) The Red Clock, né la successiva e acida Cat Man (una cover, comunque uno dei loro minori) raggiungeranno certi vertici. Potranno però evidenziare un gruppo perfettamente padrone della sua devastante tecnica del rumore, e di un rock’n’roll che non si sa se sia della palude o che cosa, ma che comunque era qualcosa di mai sentito ed incredibilmente efficace. Del capolavoro finale Happy Birthday si è già diffusamente trattato.

Una chitarra distortissima ed acidissima, tempi tirati ed articolati, un drumming ossessivo, tastiere e sassofoni a fantasia, un basso enorme e “a carro armato”, oltre alla particolarissima voce di Nick Cave (ora crooner, ora scimmia, ora bluesman, ora belva feroce) erano i segni distintivi del loro punk della palude. Non un vero gruppo gotico, quindi, ma comunque finito nella categoria forse perché impossibile da classificare altrimenti. Di gotico rimanevano il vestiario (ovviamente sui toni neri) e le capigliature, soprattutto quella dei leader Cave e Howard. Oltre ad una certa atmosfera, che è stata definita “intrinsecamente gotica”. Un gotico della paura, della minaccia, della disperazione.
Un gotico della belva interiore, che deve uscire anche contro la nostra volontà. Che deve liberarsi, gridare e forse anche uccidere, nonostante (o forse proprio perché) sappiamo che ci farà male. Con tutto questo The Birthday Party stordì la decadente Inghilterra del gotico.

 

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