3.13 Siouxsie & the Banshees – Ju Ju

Ebbene sì, sembrava toccasse ancora una volta alla regina oscura chiudere/aprire la stagione gotica (in effetti chi chiudeva una stagione, implicitamente apriva quella successiva), ed ancora una volta lo fece di gloria in gloria, di magnificenza in magnificenza. Certo, nessuno allora poteva prevedere la resurrezione della prima vera regina, l'immensa Nico...
Ma come fu, quando esplose fragoroso ed inarrestabile l’amore fra Siouxsie Sioux ed il batterista dei Bashees, Peter Clark, in arte Budgie? Forse durante la polemica radiofonica che, a pochi giorni dalla pubblicazione di Kaleidoscope, Siouxsie sosterrà contro Blondie? O durante le registrazioni del nuovo singolo, Israel, sempre con Nigel Gray? Oppure durante la soddisfacentissima tournée negli Stati Uniti del novembre del 1980, che consacrerà definitivamente i Banshees allo status di star internazionali? Certo queste cose rinforzavano lo spirito di gruppo, integrando sempre più i nuovi arrivati. Ora finalmente McGeogh e Budgie potevano considerarsi Banshees a tutti gli effetti, perfettamente in grado di sostituire McKay e Morris.
Eppure Israel fu commercialmente un mezzo disastro, nonostante si tratti di un pezzo bellissimo, contrassegnato dal potente giro di basso di Severin (irresistibile ad invitare alla danza) e dal malinconico ritornello di Siouxsie. Sarà stato forse per la copertina, decisamente un po' troppo spartana? (faranno molto meglio le Polydor italiana e tedesca, con grafiche qui riportate rispettivamente) No. Nella pratica, e con un certo sgomento, fu proprio il suo implicito filo-semitismo a non pi
acere. Purtroppoi punk, nel loro essere sostanzialmente apolitici o, al più, anarchici, spesso utilizzavano simboli di ogni tipo a puro fine dissacratorio: persino a Siouxsie in passato successe di indossare una svastica. Questo allora (più tardi le cose risultarono più chiare per tutti) diede ai punk un’indesiderata simpatia da parte degli skinhead più di destra, i quali, durante le date inglesi del febbraio 1981, infastidirono il gruppo, reo ai loro occhi proprio di avere pubblicato una canzone filo-israeliana. Anche episodi come questo uniscono le persone.
Poi seguì il tempo di incidere il nuovo disco ed i quattro non poterono non chiamare nuovamente il produttore Nigel Gray, deus-ex-machina della loro risurrezione artistica. Ma l’amore, dov’è finito l’amore?
Incidere un disco costa fatica ed un certo momento i due vecchi amici Steven (Severin) e John (McGeogh) si prendono una pausa. Al loro ritorno sentono della musica provenire dallo studio di registrazione: sono loro, Siouxsie e Budgie che suonano insieme (lei la chitarra e lui, ovviamente, le percussioni) come se non avessero mai fatto altro. Nascono così i The Creatures, progetto estemporaneo della nuova coppia, ma nasce così anche l’evidenza inequivocabile della coppia stessa…
Il 22 maggio esce il singolo Spellbound / Follow the Sun (più Slap Dash Snap nella versione a 12”), neanche in questo caso un gran successo, ma fortunatamente non un fiasco come Israel. Ma sarà solo un paio di settimane dopo, esattamente il 6 giugno, che la Polydor distribuì nei negozi uno dei capolavori del dark, il formidabile album Ju Ju. Formidabile, si è detto, e sono diverse le ragioni che giustificano un simile giudizio:
1) Sarà stato l’amore appena sbocciato, saranno state le numerose date insieme, ma i Banshees erano in ottima forma, sia compositiva che tecnica. Un gruppo tosto, rodato e coeso. E dopo l’ambivalente prova di Kaleidoscope ciò valse oro.
2) Proprio perché è vero che Low e Heroes sono stati i due episodi della trilogia berlinese di Bowie ed Eno a fondare il dark, Lodger, più solare ed etnico, fu dei tre il più snobbato. Ecco, stranamente i Banshees sembravano voler dimostrare che tribalismo etnico e musica oscura erano tutt’altro che incompatibili.
3) Le tematiche affrontate da Siouxsie sembravano abbandonare i romanticismi e/o gli estetismi del precedente album, tornando finalmente ai temi cari ai loro fan: esoterismo ed occultismo, antiche/nuove vie di liberazione per l’uomo moderno.

Etnico ed inquietante fin dalla copertina, con quel mascherone africano che cornuto e cieco ti osserva, Ju Ju apre con l’arpeggio del singolo Spellbound. Un fraseggio di voce, poi fragorosa e frenetica la sezione ritmica che condurrà il brano nelle spire avvolgenti del suo ritornello. Una danza scapestrata e costretta, la danza dell’indemoniato, del posseduto, del tarantolato. Il tempo seppe rendere a questa bella canzone (come alla forse addirittura migliore Israel, se è per questo) il riconoscimento che meritava. L’intermezzo percussivo di Budgie, poi ripreso nel finale, era il miglior manifesto del nuovo corso.
Ma l’atmosfera pare calmarsi, e delicate percussioni introducono un altro capolavoro: Into the Light. Ancora il giro di basso di un demone che ti contorce, ma anche la voce è dolce e misteriosa, fino al ritornello decorato da una splendida chitarra per un’altra danza costretta: quella della falena attratta ma accecata dalla luce. E l’atmosfera rimane apparentemente tranquilla anche per la successiva Arabian Knights, almeno fino al ritornello melodico e lamentoso. La brutta storia di uno stupro in un paradiso orientale per turisti. Incredibile il bridge centrale in cui, su un giro chitarristico perfettamente scandito da una percussione esotica, Siouxsie incita al movimento.
Dopo, un altro inizio soffuso, molto oscuro… Dura poco, esplode subito la musica, su un riff duro di McGeogh, si tratta di Halloween, un inquietante incubo stagionale, opera di Severin. Riporta, per la gioia dei fan, i Banshees a vecchie atmosfere, ma non va molto oltre. Comunque un’altra danza scatenata, come del resto sarà la successiva, veramente irresistibile e trascinante fino all’epilessia, Monitor. Chitarra fissa e reiterata, gran lavoro di basso sotto, batteria al suo posto, voce in eco. Cos’è vero, la realtà di ogni giorno o il monitor televisivo? Ed è così importante questa differenza? La variante di chitarra fa tacere queste domande nel delirio della danza. E quando il brano sembra finire, traditore ricomincia, trascinante quanto mai.
Febbrile e tremante l’ascoltatore gira l’Lp solo per trovarsi in preda ad un altro capolavoro: la notturna e misteriosa Night Shift. Inizio soffuso, intervento portante di Severin, voce straziante. Certo, è una caccia al vampiro, ma il mostro lo si odia e lo si ama. Le parti di chitarra saranno il contraltare psicologico alla drammaticità della voce, soprattutto dopo il bellissimo ritornello. Se il sentimento può essere cantato così («in heaven and hell with you»), allora benvenuti i Banshees e brani come Night Shift. Ma dopo la sua conturbante eleganza ecco che un’altra danza tribale e frenetica nasce poco a poco da un semplicissimo accordo di chitarra (suonata anche da Siouxsie: è la prima volta!). Sì, è lui, Budgie, che torna selvaggio e senza freni in un’altra orgia del corpo, Sin in My Heart, peccato nel cuore, vola come un dardo ed i piedi non possono stare fermi, ed il corpo si scuote, soprattutto sulle ipnotiche variazioni di McGeogh. Un delirio irresistibile, forse il brano più trascinante dell’intera loro produzione.
Più beffarda la penultima Head Cut, ottimamente sostenuta da una delle sezioni ritmiche più affiatate della stagione. Il brano in sé non sarà fra i più famosi (un post-punk narrante le gesta di un mascherone che prende vita… quello di copertina?), nonostante l’intrigante parte di chitarra e la voce sbilenca, ma costituirà un valido esempio di classe oscura. Come estremamente oscuro, quasi al raccapriccio, sarà l’ultima Vodoo Dolly, che vede il gruppo tornare appieno alle torbide atmosfere dei loro esordi. Ma con una classe ed un’esperienza invidiabili. Come le scale allucinate e flippate di chitarra che, nel silenzio, sostengono una Siouxsie che mormora le gesta della bambolina vudù. La voce canta, recita, declama, sale di tono, così le note della chitarra si allungano, si inviluppano, il sabba parte, l’allucinazione, il demonio tribale delle percussioni. La bambola vudù da schiava diventa padrona, il suo tocco è stregato, immobilizzante, ti risucchia le energie, ti condanna ad una morte lenta ed inconsapevole. Ma la voce è sempre più spiritata, il ritmo accelera, si odono gli echi stregoneschi di Helter Skelter (loro versione), di Ikons, o addirittura di Lord’s Prayer e la follia deflagra delirante ed inarrestabile. Ma poi la danza si esaurisce, le energie sfiniscono, il sabba si chiude in se stesso, nuova Sister Ray dell’oltretomba.

Col capolavoro Vodoo Dolly si chiude il capolavoro Ju Ju, disco estremo ed epocale. Perché in grado di allargare ulteriormente i confini del dark, perché in grado di produrre danza avanguardista e fuori da ogni banalità. Ma soprattutto perché riporterà la regina oscura saldamente in sella al movimento musicale che fu lei a creare, senza necessariamente negare certe aperture più “orecchiabili” introdotte con Kaleidoscope, ma interpretandole in una giusta prospettiva artistica ed esecutiva. Insomma, il punk era definitivamente superato, ma questo non doveva significare mollezze o autoindulgenze.
Finti dark d’occasione, opportunisti punk del riflusso e ragazzini scimmiottatori vari, attenzione! La regina della scena gotica è più in gamba che mai ed è con lei che dovrete misurarvi.
Siete avvertiti…

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