3.12 Killing Joke – What's THIS For...!

Niente da fare, la stagione 1980/81 fu soprattutto della band di Jaz Coleman e soci: Kenneth “Geordie” Walker alla chitarra, Martin “Youth” Glover al basso ed il “veterano” Paul Ferguson alla batteria. Divenuti improvvisamente celeberrimi con un album immortale, l’omonimo d’inizio stagione, videro aprirsi davanti a loro le strade dei concerti e della gloria anche negli Stati Uniti. Dichiarerà Ferguson: “è musica aggressiva, non è educato intrattenimento. (…) Qui [negli USA] abbiamo canzoni nelle classifiche dance e questo mi fa piacere. Per quanto mi riguarda Killing Joke significa musica dance. Non mi dispiace assolutamente finire nelle classifiche disco. Penso che ciò significhi che c’è speranza per il mondo”.
Date e gloria, certo, ma anche una speciale coerenza da parte di Coleman, che comunque rifiutava qualunque compromesso con il sistema. Durante i concerti, rabbioso, incitava alla violenza ed alla ribellione sociale, con gli impresari ed i manager era intrattabile, insomma voleva solo ed esclusivamente fare sempre di testa propria. E dopo che alcune loro date furono pubblicizzate con un’immagine raffigurante il Papa che benediceva le legioni naziste, fu loro vietato di esibirsi a Glasgow.
Ed anche con le nuove composizioni, lì per lì non voleva che si provassero dal vivo. Quando gli sembrò fosse passato un periodo sufficiente di tempo, si chiuse con il gruppo in sala d’incisione a registrare il nuovo album, ovviamente senza nessun produttore tra le scatole. L’essere praticamente nate in studio, purtroppo, tolse alle nuove canzoni quel po’ di freschezza ed imprevedibilità che tanto avevano caratterizzato il loro primo album.
Il singolo Follow the Leaders / Tension uscì nel mese di maggio del 1981, ed ancora una volta fu baraonda: due brani tosti, ballabili ma ferocissimi, in pieno stile Killing Joke. Le masse alternative da un certo punto di vista gridarono “al capolavoro”, dall’altro si domandarono “chi sono questi pazzi che ci chiedono di seguire i leader?”. Sì, perché Killing Joke era stato un disco troppo importante. Così duro, così pesante, eppure così ballabile e suggestivo. Era l’esempio di una nuova frontiera del rock e come tale essa doveva avere un seguito. L’attesa dell’Lp successivo, quindi, divenne quasi spasmodica.
Il nuovo Lp, What’s THIS For…! uscì il mese dopo, in giugno, con la sua enigmatica copertina. Ora, se esiste al mondo un disco paragonabile a Killing Joke, questo è proprio What’s THIS For…!, con le sue tematiche sulla fine della razionalità e della ragione, con i suoi scenari d’imbarbarimento e primitivismo, con i suoi suoni duri e crudi, tra il rock teutonico più estremo (ancora Faust e Neu), le chitarre più rabbiose ed i ritmi più vari ed esotici, conditi dall’imprevedibile elettronica di Coleman. L’unica ombra di questo titolo rispetto al precedente sarà nella struttura dei brani: forse sofferenti dell’essere stati progettati in studio, appunto perché non rodati sulle piazze, la loro struttura base/variante risulterà un po’ meccanica, forse più ripetitiva e prevedibile.
Apre le danze (è proprio il caso di dirlo!) The Fall of Because: metronomo di Ferguson sulla cassa, ingresso rumoroso di Geordie (a questo punto Ferguson si fa più percussivo), Youth devastante. La voce ripete sotto le sue note allungate, fino alla variante rabbiosa che ripete il titolo. Ipnotico, duro, ripetitivo e arrabbiato, il primo brano (uno dei migliori della raccolta) mette subito le cose in chiaro. E di certo i Killing Joke non si erano ammorbiditi. Ed è sempre un Ferguson a carro armato ad aprire la successiva Tension, la B-side del singolo. Più tribale e “punk” del precedente brano, una miccia esplosiva dal vivo, con il suo verso «and the tension grows», in realtà è un magma chitarristico-percussivo che snerva fino al delirio con la tecnica del “non succede mai niente” tipica loro.
Uno dei capolavori di questo disco sarà Unspeakable, che comincia con un sordo suono come di sirena di vascello, per poi essere deflagrato dalla batteria e dal basso mai così funky di Youth. La voce è moltiplicata, quindi le voci recitano «facts and figures the clocks turn backwards, facts and figures turn anticlockwise» (fatti e cifre, gli orologi girano indietro, fatti e cifre che girano in senso antiorario), fino al ritornello dove, trattate con gli eco, ripetono il titolo. La chitarra è acida quanto mai, disturbi sonici investono a pioggia, l’effetto generale è claustrofobico ma il cantato a più voci lo alleggerisce, ed il ritmo conquista. Finale in ripetizione e delirio. Il macellaio della successiva Butcher entra tra effetti sonici ed elettronici di tastiere ripetute in loop. La voce è tremendamente alterata dal flanger a dal distorsore che enfatizzano la sua carica rabbiosa. Variante musicale, poi torna la voce minacciosa e psicotica, fino al bridge centrale sospeso nel nulla, nuovo appoggio all’atroce cantato rivelatore: «out of the virus immunity comes» (l’immunità viene dal virus). Dire bestiale è dir poco, bisognerebbe aggiungere ancora una volta almeno ipnotico e delirante.
Il pezzo “forte”, comunque, sarà quello del singolo, la successiva Follow the Leaders. Batteria dance, tastiera ruffiana molto anni 80, chitarra ritmica ma feroce. La voce canta un anthem irresistibile, contrappuntata da una scarica di percussioni. La variante/ritornello, come spesso accade, ripete il titolo, sostenuta da percussioni martellanti. Finale ancora più ipnotico e ripetitivo del solito, dove anche Youth ruffianeggia col suo basso. Un brano da discoteca manicomiale del futuro, uno dei maggiori successi della stagione.
Grosso e spaventoso si riaffaccia Ferguson nell’incipit della successiva Madness, qualcuno lo disturba con effetti sonori, poi Youth imita il basso onnipotente dell’ex-PIL Jah Wobble (pazzescamente funky, sembra quasi un fretless). La chitarra di Geordie s’innesta scandita e tagliente, la voce di Coleman tra l’inno e l’incazzatura, moltiplicata ed effettata (“perché dovrei soffrire quando non vedo i tuoi occhi?”). La variante non alleggerisce, anzi, aumenta l’effetto veramente psicotico, con sottofondo di grida «this is madness!». Il finale rasenta la furia collettiva, per un brano-capolavoro devastante che, in modo spaventoso, definisce sempre meglio le coordinate del loro discorso. Così come la successiva e quasi esclusivamente strumentale (non fosse che per una breve ripetizione del titolo) Who Told you How?, un incubo tra il tecnocratico, il tribale/percussivo ed il catacombale.
Ma un latrar di cani introduce l’ultima Exit, presto interrotto dal drumming di Ferguson… e il pezzo esplode furibondo! Una delle cavalcate più feroci di Coleman e soci, con batteria ossessiva, scale discendenti di basso, chitarra in acido, elettronica da trip lisergico ed effettistica da danno cerebrale. Un sabba della crudeltà e della paranoia, con voci moltiplicate ed elettroniche: qui la società tecnocrate prende il sopravvento sulla psiche umana e la schiaccia inesorabilmente. Un po’ a sorpresa il brano scema sfumando, lasciando l’ascoltatore tra l’attonito ed il perplesso.
Come si è detto prima, What’s THIS For…! è il disco più simile a Killing Joke che esista. Ora, a chi scrive non interessano le dispute per cercare di stabilire se questo titolo sia o no inferiore a quello. Se è vero che suona meno sorprendente (tutti si aspettavano un prodotto di quel tipo) e che comunque negli anni ha conosciuto una minor fortuna commerciale, è comunque anche vero che è stato suonato meglio ed è più omogeneo, più figlio di un unico “progetto” artistico, di un’idea coerente. Con questa coppia di dischi tanto eccezionali quanto originali ai Killing Joke si erano, giustamente, aperte le porte della gloria e della fama internazionali, sebbene negli ambienti più underground e di tendenza. Il che allora equivalse a lunghe e massacranti tournée in giro per il mondo, cosa che mise a dura prova la capacità di sopportazione della band nei confronti del suo rissoso ed intransigente leader.

Inoltre chi scrive si rende anche perfettamente conto che un simile proposta artistica non dovrebbe neanche apparire in questa sede, e forse What’s THIS For…! è qui proprio a dimostrarlo. Così violento e psicologicamente schiacciante (soprattutto per il gusto di allora, oggi la cosa è un po’ diversa), in realtà con questo disco i Joke compivano un’operazione diametralmente opposta a quella che contemporaneamente stavano delineando i gruppi dark. Questi parlavano di un orrore che, simbolico ed immaginifico (più che immaginario), quindi personale, lasciava presagire e prefigurava un orrore reale, pubblico.
I Killing Joke, non solo parlavano direttamente della realtà pratica di quest’orrore pubblico e collettivo (tra l’altro implicitamente invitando a ribellarsene: avevano quindi dei valori, delle speranze), ma con la violenza del loro suono/rumore si sostituivano fisicamente ad esso. Il loro sound ERA l’orrore collettivo che investiva i giovani europei dei primi anni 80, ne riproduceva fedelmente gli effetti psicologici. Come gli UK Decay che, più che portare, conservavano gli stilemi del punk all’interno del movimento gotico, loro del punk mantenevano la violenza ribelle ed iconoclasta, tuttavia innovandone e stravolgendone completamente le forme.
E lo facevano in un modo così feroce e sinistro che, se non gotici, la critica non ebbe la benché minima idea di come altrimenti classificarli.

 

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