Tra gli assoluti prime-movers
della scena post-punk, con un eccellente album come Chairs Missing
decisamente anticipatore di sonorità oscure, gli Wire rifecero capolino
sulla scena musicale inglese (ed internazionale) con lalbum
154, il loro capolavoro dark, anche loro nel settembre del
79.
In
effetti i meritatamente celebratissimi quattro venivano dalla pubblicazione
di un singolo avvenuta nel mese di luglio: A Question of Degree
/ Former Airline. Il primo brano partiva subito con una ritmica
serrata su un tempo quasi ska e proseguiva con effetti elettronici
e chitarrismi ritmici distorti. Il pezzo in qualche modo negava le
ricerche più oscure di Chairs Missing, riportando il gruppo
a certo punk-rock intelligente e un po surreale degli esordi;
tuttavia, verso la fine, laggiunta di una tastiera in chiave
minore dava come un senso di malinconia al brano, che andava terminando
in una serie di crescendo tonici e catartici. Former Airline,
invece, riprendeva una certa cacofonia elettronica loro tipica, certamente
non meno patafisica, ma più sinistra ed inquietante. Sarà su questa
falsariga, oltre che sulla ricerca più oscura dellalbum precedente
(si ricordino brani come Practice Makes Perfect o Heartbeat),
che gli Wire fondarono 154, titolo corrispondente al numero
di concerti finora sostenuti dai quattro.
Sì perché senza la ricerca cominciata su Chairs Missing e,
inutile negarlo, linfluenza dellatmosfera notturna
che si respirava in giro (dalla trilogia berlinese in poi), 154
non avrebbe potuto essere così oscuro ed affascinante. Certo, influenzato
nel mood dai Joy Division (che a loro volta erano stati influenzati
dagli Wire), ma con suoni così allavanguardia da essere più
volte imitati dalle varie generazioni di musicisti dark che seguiranno.
Ciò che purtroppo non verrà imitato è la loro ispirata ed ironica
intelligenza, vero marchio di fabbrica del cantante (e chitarrista)
Colin Newman, del chitarrista Bruce Gilbert, del bassista e cantante
tenebroso Graham Lewis e del batterista Robert Gotobed.
154
si presenta con una bellissima copertina in cui, su sfondo bianco,
appaiono tenui curve in colore pastello, contrastate da un duro angolo
retto in nero, a comporre un arazzo astratto del senso di vuoto e
di solitudine. Si comincia subito con un brano notturno, la bellissima
I Should have known Better: un colpo di piatti, la cassa ripetuta,
il giro di basso contrappuntato da una chitarra quasi reggae, la voce
profonda di Lewis a cantare un testo di pentimento che muta in vendetta.
Un pezzo dalla struttura complessa, sebbene il tono dimesso ed un
ritmo invariato lo facciano sembrare tutto molto simile.
Poi il ritmo accelera e con esso aumenta la tensione, con 2 People
in a Room: ritmo serrato sul rullante, la voce più alta e melodica
di Newman, una chitarra ripetitiva e minacciosa, una back-voice gridata.
Dopo questa scheggia sinistra, torna un po di serenità con The
15th, un brano melodico e quasi allegro. Ma
la voce bassa e tenebrosa di Lewis torna presto, con lapertura
della successiva The Other Window, dotata di coretto quasi
beffardo. Voce sola con effetti chitarristici di sottofondo, finché
non entra una pesantissima sezione ritmica. Il senso di rassegnata
claustrofobia ha dello straniante. Ma anche qui si tratta di una quasi-scheggia
(i brani da pochi secondi di Pink Flag non ci sono più) prima
dellalmeno altrettanto notturna Single K.O., cantata
da Newman e dal bellissimo arrangiamento di chitarra. È un brano strano,
che evolve in senso più arioso
anche la voce viene ad assumere
strane assonanze punk, prima della chiusura.
Ma è un arpeggio oscuro e lugubre quello che apre la successiva A
Touching Display, vero capolavoro dark del disco, oltre che uno
dei brani più belli della stagione. Larpeggio si accompagna
ad altri strumenti effettati e diventa cacofonia, in crescendo fino
ad uno stop, che svuota la canzone e fa ripartire larpeggio.
Una nota continua di chitarra accompagna la voce bassa di Lewis che
canta serena ma sul chi vive. Sventagliate di chitarra
si sovrappongono e la batteria da tribale diventa ritmica, sul verso
«will she save me, from what or who, I do not know». Poi la voce esce
di scena, sostituita da una chitarra nera come la pece su una batteria
tornata percussiva. Il tempo accelera e con esso la tensione, sempre
crescente, a volte straziante, gotica allinverosimile. Una cacofonia
di chitarre distorte chiude un brano lungo e devastante.
Unaltra scheggia, tra il reggae-punk ed un intelligente divertimento,
On Returning, fa da stacco prima della successiva A Mutual
Friend. Anche qui un inizio notturno a due chitarre, una con una
sua melodia malata, laltra reiterata in sottofondo. Basso a
morto e voce dimessa di Newman a comporre una nenia depressa
sul tema della lontananza. Occasionalmente interrotta da stacchetti
e minime varianti, anche A Mutual Friend sarà un loro must
interiore, con finale epico «he might replace the old quite soon,
he might replace the old with the moon». Più ariosa la successiva
Blessed State, a ricordare che la ricerca musicale degli Wire
è decisamente a raggio più ampio delle sole atmosfere funeree ed oscure.
Bella, anche se un tantino ripetitiva, fino ad un finale quasi solare.
Una piccola distorsione chitarristica prima della cassa ripetuta e
forsennata della successiva Once is Enough, brano forte e minaccioso.
Punk eppure oscuro, semplice e complesso, patafisico ma umbratile,
con a metà un urlo crescente e distorto da panico. Sono gli Wire più
combattivi e ansiogeni, cacofonici (che finale!) ma sempre dietro
una forte intellettualità. Che sospiro di sollievo le note melodiche
della successiva Map Ref. 41°N 93°F, che qui su 154
ha la stessa funzione che I Am the Fly aveva su Chairs Missing:
singolo gradevole e commerciale.
Uno stranissimo passaggio di chitarra introduce la successiva Indirect
Enquires, laddove il parlato di Newman dà un senso oppressivo
e marziale. Un coro lugubre fa capolino: sarà una delle cose più imitate
del dark. Poi la voce, sempre declamando, sale di tono finché un altro
coro la rimette a tacere. Poi comincia con «youd been defaced»
e la ripetizione diventa ossessione, paranoia, le voci si moltiplicano,
langoscia esplode. Un altro must.
Una serena intelligenza illumina della sua calma lultima, 40
Versions, dove una melodia fa timidamente capolino fra le note
di questo bellissimo disco. Una sorta di lieto fine, per non lasciare
troppo attonito lascoltatore. Gli Wire, al contrario di molti
appartenenti alla chiesa gotica, non amavano troppo effetti
spettacolari fini a se stessi. Era altro ciò che volevano comunicare.
Opprimente, sinistro, spesso
minaccioso, con luscita di 154 gli Wire misero a segno
quattro colpi in uno:
1) Era il loro terzo capolavoro in tre anni, sempre al passo con i
tempi, se non decisamente in anticipo.
2) Il passo con i tempi era segnato dalloscurità dei loro suoni,
sempre più curati, sempre più tenebrosi.
3) Avevano quindi creato un modello, più volte saccheggiato
da musicisti e produttori, gotici e non.
4) La loro fama, di coseguenza, era cresciuta in maniera esponenziale.
Sembravano destinati a diventare
il gruppo più celebre ed influente del rock inglese. Ma un destino
avverso era in agguato. Il capolavoro 154, tuttavia, rimase
immortale.
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