Durante l’estate del ‘79, insieme al singolo danzereccio di Siouxsie, The Staircase, e a Death Disco dei sempre più agguerriti Public Image, nelle discoteche alternative ed underground si ballava She’s Lost Control dei Joy Division. Il successo di questo brano stava trascinando vieppiù un Lp, Unknown Pleasures, che si abbatteva come un ciclone sulla nascente scena post-punk. Sì, perché se furono gli Wire ad inventare la new wave seria e depressa, se furono i Banshees (soprattutto grazie a McKay) a creare il post-punk decadente, sarà Unknown Pleasures a stabilire definitivamente le coordinate del genere. Sia chiaro: nessun miracolo commerciale (ancora per un po’ i Joy Division saranno esclusivamente un “fenomeno” underground), ma un’influenza crescente che, soprattutto per determinate personalità e/o sensibilità, non poteva certo essere ignorata.
In un’intervista fatta da Mary Hannon al management della Factory Records (la loro etichetta discografica) compare il seguente passaggio: “uno dei picchi dei Joy Division sta nel titolo del loro album. Un altro è nella descrizione di Martin Hannett (il produttore), che li definisce «musica da ballo con forti tonalità gotiche». Senza averne l’intenzione, Bernard Albrecht (il chitarrista) ha dato un’eccellente definizione di ‘gotico’ nella nostra intervista, descrivendo il suo film preferito: Nosferatu”. È fatta: da allora “gothic” sarà una delle principali etichette di questa scena. In successivi articoli ed interviste, tutti gli artisti che per la presenza di tono lugubri o depressi sembreranno assomigliare ai Joy Division, verranno denominati gotici. Per primi toccherà ai Siouxsie and the Banshees, nell’ottobre del ‘79, anche se per un uso diffuso e generalizzato del termine bisognerà aspettare ancora un paio d’anni. In ogni modo, ecco una cronologia schematica della sua nascita:

1974: Bowie stesso definisce il suo Diamond Dogs come “gothic”.
29/7/78: Nick Kent sul NME (New Musical Express) dice di Siouxsie: “possono essere fatti parallelismi e paragoni con architetti gotici come i Doors e, certamente, i primi Velvet Underground”.
Estate 1979: Martin Hannett descrive i Joy Division come “musica da ballo con forti tonalità gotiche (dancing music with gothic overtones)”.
15/9/79: Tony Wilson descrive i Joy Division come gotici, paragonati alla normale musica pop, nel programma della BBC “Something Else”.
2/10/79: Penny Kiley su una rivista afferma che “gothic” era diventata una definizione del genere in qualche modo troppo utilizzata, ma l’effetto dei Joy Division è lo stesso di (per fare un esempio ovvio) quello dei Banshees.

Certo, siamo ancora agli inizi di un genere che, per adesso, si configurava quasi esclusivamente come costola del post-punk. Ma era la costola che maggiormente, rispetto ad altre, si prendeva cura del grande interrogativo lasciato irrisolto dal punk: che fare con la noia di vivere? Si può dire che tutto il post-punk fosse una risposta a questa domanda, dall’intimismo più o meno melodico e/o romantico dei gruppi new wave (Echo & the Bunnymen, Psychedelic Furs), alla perversione verbale di certo “positive punk” (genere non a caso spesso accostato al gothic, dai Crispy Ambulance ai Sex Gang Children, ai Southern Death Cult), fino alle litanie maniaco-depressive dei dark. Che erano sì romantiche (in senso etimologico) ed introverse come certa nobile new wave, ed a tratti erano pure pervertite e rabbiose come certo positive punk, ma a ciò aggiungevano un carattere loro proprio di negatività.
Insomma i dark, in questo nascente panorama musicale, si configuravano come l’ala più seria nel rappresentare un certo disagio giovanile ma, al contrario della forse eccessiva intellettualità di molti alteri ed ermetici “contraltari” americani (la “patafonia” mentalissima e de-menziale degli enigmatici Residents, o dei moralizzanti Pere Ubu) piuttosto che affrontare o criticare la realtà, suggerivano una sorta di fuga nel sogno. Ma tanto era deprimente la realtà quanto il sogno diventava un incubo, popolato di spettri, vampiri ed altre creature da brivido. O della più comune e quotidiana pazzia.
Anche tutt’intorno alla nascente scena gotica si poteva avvertire la sua crescente influenza, o comunque era ora percepibile una necessità diversa rispetto alla “boccata d’ossigeno” rappresentata dalle ricerche allegrotte di un anno prima. Gruppi come i Throbbing Gristle o i Pop Group (o, dopo, i Rip Rig & Panic), sebbene assolutamente non gotici o dark, tuttavia davano alla neonata scena new wave inglese un carattere di serietà che probabilmente prima le mancava.
Come i grandi Public Image avevano anticipato, invero con toni ancora troppo punk, quella dei dark era un’inversione di tendenza e di prospettiva. Alla furia devastatrice ed iconoclasta, ma pubblica e rivolta verso l’esterno, dei punk, essi sostituivano il doloroso cerimoniale introverso e privato dei loro mostri interiori. E ci riuscivano così bene, o perlomeno l’urgenza di una simile espressione era tale, che sembrò come se una nuova ondata di genialità investisse le giovani band inglesi. La parola “capolavoro” sarà utilizzata molte volte nel corso di questo capitolo, forse pure troppe per poter mantenere una certa credibilità. Ma ogni volta con notevole merito.
Lì per lì i gotici sembravano un simpatico e curioso esperimento. Ma presto gli effetti nefandi delle politiche economiche thatcheriane si sarebbero fatti sentire su larga scala, portando con sé l’insoddisfazione, la depressione ed il senso di sconfitta che tanto caratterizzarono gli eighties per la gioventù britannica.
Fu in questa allegra atmosfera che cominciarono, quasi per caso, a nascere decine di nuove band, tutte tremendamente influenzate dai suoni di Wire, Banshees e Joy Division, la più importante e deflagrante delle quali fu proprio un gruppuscolo di emeriti sconosciuti: i Bauhaus 1919. Ma non da meno fu un’altra band, seguace dei Public Image, che nel frattempo stava devastando le terre d’Irlanda esclusivamente dal vivo: i ferocissimi e perversi cabarettisti Virgin Prunes.
Ma anche gruppi nati come romantici o scanzonati new wave saranno irresistibilmente influenzati dal nuovo suono, compiendo improvvise e brusche inversioni di rotta e diventando, talvolta, mostri sacri del nuovo genere, come i Cure, oppure autori di opere dark egregie nell'ambito più generale di una carriera artistica destinata ad altri lidi. Si vedano, in tal senso, i Simple Minds, autori proprio nel ‘79 dell’imprevedibilmente serio (ed altamente consigliato) Real to Real Cacophony.
Insomma, qualcosa di veramente importante era nato.

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