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DEAD CAN DANCE
Milano, Teatro degli Arcimboldi, 19 ottobre 2012

Due live report!

Recensione 1
di Brian K

Eccomi, incredulo, ad assistere ad un altro concerto dei Dead Can Dance, ebbene sì proprio loro, usciti con un nuovo disco, il bellissimo Anastasis, a ben 16 anni dall'ultimo e forse non perfettamente a fuoco Spiritchaser. Il Teatro degli Arcimboldi, unica loro data italiana, come prevedibile è zeppo come un uovo, sold-out ormai da mesi. Non sapevo bene cosa aspettarmi, soprattutto dopo il loro concerto al Dal Verme del 2005 qui recensito. La stessa professionalità impeccabile, ma che si faceva fredda alterigia emotiva fra loro? Beh, una prima differenza la si vedeva subito: laddove allora Brendan e, forse meno, ma anche Lisa suonavano strani ed esotici strumenti acustici, qui ci sono due enormi tastieroni ai due lati del palco, due sintetizzatori con i campioni di tutti i loro strumenti, eccetto le percussioni, suonate in retrovia, e il tradizionale yang ch'in (o "santur" o "cymbalom", insomma il dulcimer a martelletti) suonato prevalentemente da Lisa Gerrard. Ma anche i loro rapporti sembrano cambiati.
Certo abilità e professionalità indiscusse, ma dopo una carriera sempre più in ombra sembra essere stata lei a tornare da lui, o almeno così si direbbe a vederli muoversi sul palco: lui sicuro leader del gruppo, lei, per carità, sempre la superstar che è oggi, ma in qualche modo modesta e dimessa, umilmente al servizio dell'insieme e quasi (incredibile dictu!) ombra di lui. Come... non voglio dire "se fosse tornato l'amore", ma almeno una collaborazione vera e spontanea, non più "la superstar che torna a lavorare col vecchio musicista", come poteva sembrare nel 2005. Ovviamente la musica rapisce ed emoziona sin da subito. In questo, bisogna dirlo, Lisa Gerrard e Breandan Perry non hanno proprio perso la mano.
In due ore abbondanti di concerto hanno dato la stura a una girandola caleidoscopica di emozioni e ricordi, presentando ovviamente l'intero ultimo Anastasis, che, per quanto forse non rientri fra i loro capolavori assoluti, si candida comunque per essere uno dei dischi più belli di questo triste 2012; e prelevando abbondantemente dalla loro imperdibile discografia, da The Serpent's Egg (la mesmerizzante The Host of Seraphim), fino a Spiritchaser (l'ipnotica Nierika), senza trascurare collaborazioni (la mitica Dreams Made Flesh, addirittura dal catalogo This Mortal Coil! e suonata vicini vicini, come i vecchi tempi!) o esperienze soliste (la struggente Sanvean, il capolavoro a cappella della Gerrard da Mirror Pool), più una serie di pezzi francamente mai sentiti dal sottoscritto, la cui conoscenza del loro repertorio, che credeva vasta e approfondita, è stata messa a dura prova. ;)
Davanti agli occhi degli ascoltatori passano immagini sacre e profane, esaltate dai ricordi o addolcite dalle colonne sonore e dalle pubblicità a cui la nostra negli anni prestò voce e suoni (la solenne Now We Are Free). Eppure, a parere di chi scrive, i due picchi del concerto li ha cantati lui: la notturna Amnesia, da Anastasis, ma soprattutto The Ubiquitous Mr Lovegrove (da Towards the Within), il vero capolavoro emotivo della serata. E sua è stata anche la vera sorpresa di una cover, l'unica a quanto ricordi, addirittura Song to the Siren, il capolavoro di Tim Buckley giustamente riscoperto e rilanciato a suo tempo dai già citati This Mortal Coil.
Un rapimento in estasi! Certo, forse è mancato... quel non so che di inesprimibile... quella freschezza o quell'ingenuità, che però faceva spontaneità, tipica dei loro concerti del passato, sostituita da una tecnica d'esecuzione metronomica nel rappresentare sul palco 30 anni di civiltà musicale in modo impeccabile. Come dire: noi siamo i Dead Can Dance, uniti o separati, da sempre in prima fila nel vestire di musica le istanze spirituali del genere umano; gli unici allora, i numeri uno ora! Già... è proprio questo che mi verrebbe da chieder loro.
Cari Lisa e Brendan, com'è vivere così? Cosa succede a dedicare tutta una vita a esperienze spirituali e mistiche, invecchiando con esse, cercando di rappresentarle, di definirle con dei suoni, quasi di scolpirle? Non c'è mai stanchezza, non c'è mai mestiere, non c'è mai routine? Davvero ciò rende gli esseri umani migliori? Io dopo quella sera, per un momento forse troppo breve, ho creduto di esserlo diventato.

Recensione 2
di Gianmario Mattacheo

Unica data italiana per i Dead Can Dance, impegnati nel world tour che pubblicizzerà nei teatri di tutto il mondo “Anastasis”, ultima fatica discografica del grande duo. “
Anastasis” è il lavoro del ritorno discografico per Brendan Perry e Lisa Gerrard, essendo il precedente “Spiritchaser” ormai vecchio di 16 anni. In questo lungo lasso di tempo i Dead Can Dance hanno prevalentemente lavorato a progetti solisti, mantenendo una qualità davvero eccellente (si pensi al recente “Ark” di Perry) e rispolverando di tanto in tanto la vecchia sigla per alcuni concerti. Nel 2005, infatti, i Dead Can Dance decisero di rimettere mano all’antico repertorio per dare vita ad un reunion tour (anche in quella occasione fu Milano la città italiana scelta per lo spettacolo) che confermò l’indiscussa qualità del duo. In questa occasione, invero, cambiano i presupposti, in quanto l’album fresco di stampa deve essere promosso secondo gli schemi ordinari: ovvero poco spazio ai superclassici e parte del leone riservata ad “Anastasis”.

Il teatro degli Arcimboldi (sold out da mesi la data odierna!) è una recente arena nata e pensata per gli spettacoli di musica classica; questo aspetto ci conforta sul fatto che, molto probabilmente, l’acustica sarà impeccabile (elemento non certo da trascurare se a suonare è una band come i Dead Can Dance).
Alle 21.45 i due australiani salutano l’ordinata platea del teatro meneghino. Lisa Gerrard è elegante e quasi nobile nel suo vestito con mantellina viola, mentre Brendan Perry è molto più “sbragato” con camicia e pantaloni che sembrano molto un pigiama dismesso. Per questo tour, i Dead Can Dance sono accompagnati da due tastieristi e due percussionisti; una band pronta a riproporre il suono etnico, e dark allo stesso tempo, che ne ha fatto un’icona fin dagli anni ’80. L’inizio è per “Children of the sun”, già apripista del lavoro in studio. Le sonorità riportano ad uno dei dischi migliori della ditta, quel “Into the labyrinth” che rappresenta uno degli album più azzeccati targati DCD. Seguendo quasi fedelmente la scaletta di “Anastasis” la band continua con “Anabasis”, regalando per la prima volta stasera il cantato di Lisa Gerrard che ci conduce in un sogno dalle tinte orientaleggianti.
I Dead Can Dance sono attentissimi a rispettare i propri equilibri interni. Ad una canzone cantata da Perry, ne segue (quasi una formula matematica) una cantata dalla ancora molto bella cantante di Melbourne.
Il suono dei Dead Can Dance è ricco, suggestivo e potente, mentre le doppie tastiere sono l’elemento in più del sound di stasera: un tappeto persistente di suoni (abili comunque a non prevaricare gli altri strumenti) che conferiscono la vera atmosfera del concerto.
Nei brani in cui il cantato compete a Brendan Perry, Lisa Gerrard si cimenta con il suo tradizionale Yang Chin (strumento particolare che la cantante suona con delle bacchette ricurve), mentre Perry si divide tra chitarra, mandolino e percussioni varie. Tra le esecuzioni più toccanti del versante Perry ci piace segnalare “Amnesia”, dolce ed ipnotica, mentre “Opium” (in particolare evidenza le tastiere e le percussioni) si avvicina molto di più alla forma canzone tradizionale.
Scontato (ma doveroso) il richiamo alla straordinaria voce del duo. Sono dei virtuosi che cantano con una grazia ed una classe impressionante; ciò che colpisce, tuttavia, è che questa voce (per loro un vero e proprio strumento musicale) non è mai tecnicismo fine a se stesso, sapendo le loro corde vocali coniugare sempre perfezionismo a sentimentalismo. Oggi, invero, le emozioni più alte arrivano maggiormente dal versante femminile del duo. La Gerrard riesce nell’impresa di fare viaggiare ogni singolo spettatore degli Arcimboldi. Molti chiudono gli occhi e quasi ci si estranea, ci si dimentica di essere ad un concerto musicale; lo spettacolo diventa un momento di ricerca personale del proprio intimo, grazie a quella voce così intensa. Un’ovazione particolare si ha con “Now we are free”, brano che fa parte del repertorio da solista della Gerrard e che diventò celebre per essere stata la colonna sonora del film “Il gladiatore” e con “The host of seraphim” il pubblico si può godere una delle più apprezzate ripescate degli anni ’80 (“The serpent’s egg”).
Un concerto impeccabile che, tuttavia, non può lasciare completamente soddisfatti. L’assenza di brani storici quali “Black sun”, “The carnival is over” o “Severance”, non può essere giustificata dal fatto che questo è un tour promozionale del nuovo album: insomma la storia deve essere ricordata e giustamente celebrata. Rimane un ottimo concerto, si intende. Forse troppo perfetto nel suo essere esente da sbavature: troppo ordinato, troppo pulito. La ricerca della perfezione non deve fare dimenticare che, a volte, l’emozione scaturisce dal basso e che il concerto è bello ed è sempre più emotivo del disco perché sa essere vivo e talvolta sporco, come la vita. Forse è questo che manca ai Dead Can Dance.