Nel
1989, dopo aver pubblicato il doppio album Kiss me kiss me
kiss me (1987), i Cure confezionano il loro ottavo lavoro
in studio con un titolo significativo: “Disintegration”.
Secondo
molti (ed è opinione anche di chi scrive) “Disintegration”
è, probabilmente, il migliore album dei Cure (beh, per
favore, non fatemi proprio scegliere con “Pornography”); un’opera
capace di coniugare le atmosfere più decadenti dei primi
album con le evoluzioni pop dei lavori successivi, senza trascurare
alcuni preziosissimi momenti melodici.
“Disintegration”
è anche l’album d’addio di Lol Tolhurst, presente in
squadra fin da “Three imaginary boys”. La sua dipartita, condita
da litigi e da cause legali, rappresentò la logica conseguenza
di un musicista che, dal periodo di “Pornography”, aveva smesso
di contribuire, anche minimamente, ai lavori in studio.
Dalle
parole di Robert Smith si comprende, infatti, come l’ex batterista
rappresentasse solo più un peso, incapace di staccarsi
da quegli eccessi tipici di un certo mondo musicale. Si segnala,
comunque, che, anche per “Disintegration”, Smith volle rendere
omaggio a Lol, inserendolo fra gli autori delle canzoni (con
la possibil ità di rivendicare ancor oggi i diritti d’autore
per canzoni mai scritte), attribuendogli generici “others instruments”,
fra i credit dell’album.
Di
certo “Disintegration” si presenta come l’album più malinconico
pubblicato dal gruppo inglese, con alcuni Hit capaci di raggiungere
buoni risultati anche nelle classifiche di vendita e, soprattutto,
ancora richiesti dal pubblico durante i concerti.
Il
primo ad essere sorpreso dalle ottime reazioni di vendita fu
proprio il leader che dichiarò di non aspettarsi una
risposta così entusiastica di fronte ad un album che
definiva estremamente personale ed introspettivo (e noi aggiungiamo
romantico).
Tutti
elementi che individuano alla perfezione “Disintegration” come
un album in cui liriche profondissime si uniscono ad un sound
in bilico tra malinconia e sentimentalismo. Un suono che si
caratterizza per la presenza di un onnipresente ed intenso tappeto
di tastiere su cui si inseriscono le chitarre elettriche ed
un’affiatata sessione ritmica, capaci di portare la musica di
“Disintegration” ad essere lenta, graffiante e potente al tempo
stesso.
Oltre
a Robert Smith e al “non presente” Tolhurst, troviamo Simon
Gallup al basso, Porl Thompson alle chitarre, Boris Williams
alla batteria e Roger O’Donnell alle tastiere.
La
copertina è tutta dedicata al sig. Cure. Il viso del
cantante e chitarrista inglese sembra affiorare da un lago tra
i fiori (come se spuntasse dalle pareti ricoperte dalle ninfee
di Monet, al museo de l’Orangerie di Parigi) in un contesto
in cui domina il colore nero ed un generale senso di armonia.
Apre
il colloquio “sull’orlo del mondo” tra gli innamorati di “Plainsong”
(quasi una rilettura sonora di “Atmosphere” dei joy division)
e si può subito ascoltare uno dei brani più intensi
e riusciti del lavoro.
È
talmente coinvolgente il brano di apertura che, da solo, basterebbe
a rendere “Disintegration” unico; la pace, la dolcezza e la
malinconia che si respira rendono i cinque minuti di “Plainsong”
un qualcosa di definitivo, tanto che pare impossibile credere
che la puntina del giradischi possa passare alla seconda traccia.
Sempre
sul tema del romanticismo si procede con la bellissima “Pictures
of you”, con la sua lunga introduzione (delittuosamente tagliata
nella versione single) e con “Closedown”. L’incessante
percussione di Boris Williams domina il terzo brano di “Disintegration”
unitamente alle avvolgenti tastiere di O’Donnell, mentre un
ispiratissimo Robert Smith ci canta la sua disperata ricerca
d’amore …. “If only I could fill, my heart with love”.
Con
“Lovesong” si apre il più dolce dei regali di nozze per
la moglie Mary (sposata l’anno precedente alla pubblicazione
dell’album) in un brano carico di pathos che strizza l’occhio
al pop, e con “Last dance” (assente nel formato Lp) la band
si ripiega su se stessa, abbandonando la temporanea spensieratezza;
le parole del leader sono macigni e le chitarre sono affascinanti
lame taglienti.
Con
la sesta traccia arriva “Lullaby”, altro momento cruciale di
“Disintegration”: Il singolo, seguito da un video particolarmente
suggestivo, diventa il momento più apprezzato dal pubblico,
anche se musicalmente inferiore rispetto ad altri brani. L’immagine
di Robert Smith che viene mangiato dal ragno gigante nel clip
di Tim Pope rimarrà stampata nella mente di tutti, facendo
di “Lullaby” la canzone “più riconoscibile” della band.
“Disintegration”,
da questo momento in avanti, si ripiega ancor più su
sé stesso ed offre delle sonorità cupe, romantiche
e rassegnate.
In
“Fascination street” è magico il lunghissimo intro in
cui gli strumenti si rincorrono l’uno dietro l’altro, mentre
con l’ottava traccia, “Disintegration” lascia il posto alla
rabbia e alla decadenza.
“Prayers
for rain” ha un incedere lento nel raccontare la disgregazione
di un rapporto di coppia, ormai esauritosi …… “Mi distruggi,
mi hai in mano …… vivo nel fango e non c’è luce ..”, estratti
in cui la poesia del leader volge al pessimismo più alto.
La
rabbia si conclude per abbandonarsi nuovamente nella lentissima
storia d’amore di “The same deep water as you”, in cui Robert
Smith si dispera nella ricerca di un ultimo bacio (Kiss me goodbye),
augurandosi il più tradizionale degli happy end: “ …
And we shall be togheter”.
Inevitabile
una nuova scossa (in termini di ritmo) che arriva con l’energico
brano che dà il titolo all’album; “…La fine è
sempre” sono le ultime parole della canzone, in cui Smith snocciola
parole con un’intensità unica.
La
successiva e nostalgica “Homesick” (anch’essa presente
solo nel formato cd) è una delle canzoni più tristi
mai pubblicate (si può piangere!). Le chitarre di Robert
Smith e di Porl Thompson sono stridenti e onnipresenti mentre
si appoggiano sul suono armonioso creato dalle tastiere; un
connubio improbabile che rende ancor più magico l’effetto
finale.
La
conclusione è per “Untitled”, ed il suo inusuale organo
da chiesa; il clima tende a schiarirsi (almeno nelle musiche)
per lasciare il posto al riposo e alla pace (“… questo dolore
non cesserà … non ti sognerò più”). Fine. La giusta
chiusura malinconica e romantica per un album capace di tendere
all’infinito.
ANNO:
1989
STUDIO
DI REGISTRAZIONE: HOOK END MANOR, LONDRA.
ETICHETTA:
FICTION
PRODUTTORE:
DAVE ALLEN, ROBERT SMITH
FORMAZIONE:
Robert Smith (voice, guitar, keyboards); Simon Gallup (bass,
keyboards); Boris Williams (drums); Porl Thompson (guitars);
Roger O’Donnell (keyboards); LaurenceTolhurst (other instrument)
TRACKSLIST:
1.
Plainsong
2.
Pictures of You
3.
Closedown
4.
Love Song
5.
Last Dance [*]
6. Lullaby
7.
Fascination Street
8.
Prayers for Rain
9.
The same Deep Water as You
10. Disintegration
11.
Homesick [*]
12.
Untitled
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