KISS ME KISS ME KISS ME
È
il 1987 e, dopo l’anno di transizione durante il quale venne
pubblicata la compilation “Standing on a beach”, i Cure realizzano
“Kiss me kiss me kiss me”.
L’album, che originariamente doveva chiamarsi un milione di
vergini (“1.000.000 virgins”), si presenta davvero monumentale.
Un doppio lavoro che comprendente ben 18 tracce (nella versione
cd non è presente “Hey You!!!”, ascoltabile solo dagli
amanti del vinile) si caratterizza per una grandissima eterogeneità,
a testimoniare il periodo di forte creatività che lo
stesso Robert Smith definisce come il più alto dell’intera
carriera dei Cure.
Come vedremo, “Kiss me kiss me kiss me” snocciolerà tutta
l’arte del gruppo e tutte le sue facce; da quella dark, passando
per il pop raffinato, finendo per la sperimentazione. È
come se (negli intenti) Smith e soci abbiano voluto riproporre
la medesima operazione dell’anno precedente (la già citata
compilation “Standing on a beach”), con la differenza che qui
la band regalerà tutte canzoni inedite.
Ad accompagnare il dottor Malinconia troviamo Simon Gallup (basso),
Porl Thompson (chitarre), Boris Williams (batteria e percussioni),
Lol Tolhurst (tastiere) e Roger O’Donnell (tastiere durante
il kissing tour, per nascondere le lacune di Lol Tholhurst,
ormai sempre più allontanatosi dal resto del gruppo).
La copertina risulterà particolarmente suggestiva: un
primissimo piano di labbra cariche di un rosso vivo che coprono
per intero il fronte del disco e, sul retro, un primissimo piano
di un occhio, alquanto inquietante.
I Cure hanno ormai acquisito una sicurezza notevole nei propri
mezzi. Infatti, solo una band sicura di sé potrebbe regalare
come prima traccia “The kiss”, ovvero il brano capace di far
scappare almeno i tre quarti degli acquirenti, meno amanti del
gruppo. Ma andiamo per ordine.
L’apertura è lasciata, secondo il loro consueto schema,
ad un pezzo di grande impatto, duro e violento (quasi heavy
in questo caso): “The Kiss” è sicuramente una delle tracce
più impetuose del gruppo di Robert Smith ed un pezzo
assolutamente irresistibile.
Le chitarre di Thompson e Smith si esaltano nel lunghissimo
intro del lavoro, liberando ogni distorsione possibile ed immaginabile.
Quando, dopo circa quattro minuti, arriva la voce di Robert
Smith, l’ascoltatore è ormai pronto per sentire una delle
liriche più colleriche del leader: “Baciami … la tua
lingua è veleno” …….. Vorrei che fossi morta”, parole
urlate e quasi sputate (ancor più shockante se consideriamo
che a pronunciarle è il più grande romantico della
storia della musica!).
A testimoniare la grande eterogeneità dell’album, con
la seconda canzone si cambia direzione a 180°, e si ascolta
“Catch” (easy ma dolcissima), per poi tornare con “Torture”
ad un pezzo che ci riporta alle sonorità di “Pornography”
o, almeno, alle chitarre intense del brano d’apertura (qui addolcite
da una tastiera veramente azzeccata).
Arriva l’eterea “If only tonight we could sleep” e si può
ascoltare una delle canzoni più intense e cariche d’atmosfera
dell’intero repertorio smithiano.
È una delle loro migliori composizioni. È dark
e psichedelia insieme; è dolcezza, malinconia e romanticismo.
I musicisti regalano un sound lento in cui a prevalere non sono
virtuosismi di sorta, ma soltanto la poesia: “Se solo potessimo
dormire stanotte in un letto di fiori ………. fai che non finisca”.
La varietà dell’album non conosce limiti ed la band,
ora, lasciano anche il posto al gioco e alla leggerezza di “Why
can’t I be you” e di “How beautiful you are”. Indimenticabile
il video del primo dei due pezzi citati, dove il leader si presenta
vestito da “Tenerone”, accompagnato dal resto della band in
un improbabile balletto. Il sound stravolge ancora ogni schema
possibile e ci porta una pop song carica di fiati che pochissimo
ci ricorda le primissime composizioni del gruppo. Riguardo,
invece, ad “How beutiful you are” (con il suo organetto onnipresente)
è lo stesso Smith a rivelare che il brano si ispira alle
novelle di Baudelaire.
Ancora un cambiamento di rotta con “Snakepit”. Si sale maggiormente
di tono nel brano che più di tutti affaccia la band alla
psichedelia oscura. Le percussioni di Williams ed il basso di
Gallup scandiscono il tempo ad una chitarra narcotica; il clima
non è sereno ed il sound è malato, mentre la voce
di Smith è quasi un sussurro quando si contorce nella
fossa dei serpenti.
Per quanto riguarda “Just like heaven” è sufficiente
mettere in evidenza come i Cure abbiano inciso probabilmente
la migliore pop song del globo: la bravura dei musicisti e il
senso della melodia che si respira fin dall’inizio ne fanno
la canzone perfetta, almeno per ciò che concerne il versante
più easy.
“All I want” è una grintosa rock song carica di tastiere,
apprezzabile anche se non fondamentale (in tema di desideri
Robert Smith avrebbe fatto decisamente meglio nel futuro “Wild
mood swings”, con la relativa prima traccia) e “Hot hot hot”
è la seconda escursione funky del 1987 (sorprendente
ancorché inferiore alla precedente “Why can’t I be you”).
Quando l’album volge verso il termine, si ritorna al romanticismo
più alto con “One more time” e “A thousand hours”, accostabili
alla graziosissima “Catch” senza averne, però, lo stesso
piglio e la stessa eleganza.
La sperimentazione salta fuori con l’indecifrabile “Like cockatoos”
(chitarre acustiche tra un variegato mare di suoni) e con la
tribale “Icing sugar” (per ritmica quasi una “Hanging garden”
scritta un lustro dopo il capolavoro di “Pornography”) che vede
ospite al sax Andrew Brennen.
“The perfect girl” è una classica pop song dei Cure in
cui la parte migliore è data dalla voce di Robert Smith
che gigioneggia come non mai, sapendo di permettersi qualsiasi
cosa con le sue corde vocali.
La migliore canzone della seconda parte di questo mastodontico
album è, senza dubbio, “Shiver and shake”, che riporta
un pochino più indietro le lancette dell’orologio. La
batteria e le chitarre elettriche tornano e farsi sentire ed
il cantato di Smith è nuovamente collerico mentre propone
delle liriche assolutamente parallele a quelle di “The kiss”.
L’ascolto ci rimanda alla (ben più celebre) “Shake dog
shake” di “The top”. Peraltro, come indicato nella biografia
“Ten Imaginary years”, Robert Smith accosta il pezzo ad un altro
brano tratto da “The top”: “Give me it”. Ovvero, come si diceva
nell’introduzione, l’ultima parola spetta sempre a Lui!
Il pezzo conclusivo è lasciato a “Fight” (la musica dell’introduzione
fu scritta da Porl Thompson) in cui il leader sembra cambiare
rotta ed incitare (un amico?) al riscatto.
I Cure, alla fine del 1987, erano un gruppo che aveva appena
terminato un album maestoso, difficilmente eguagliabile in quanto
a genio e fantasia, ed il suo leader era diventato un artista
talmente grande che si sentiva ormai pronto a tutto. Pronto
per raggiungere il massimo della sua creatività artistica,
ma, per farlo, avrebbe dovuto chiudersi in sé stesso
come in passato, preparando il suo capolavoro.
ANNO:
1987
ANNO:
1987
STUDIO
DI REGISTRAZIONE: MIRAVAL, FRANCIA.
ETICHETTA:
FICTION
PRODUTTORE:
DAVE ALLEN, ROBERT SMITH
FORMAZIONE:
Robert Smith (voice, guitar, keyboards); Simon Gallup (bass);
Porl Thompson (guitar, keyboards, saxophone); Laurence Tolhurst
(keyboards); Boris Williams (drums, percussions)
TRACKSLIST:
1.
The kiss
2.
Catch
3.
Torture
4.
If Only Tonight We Could Sleep
5.
Why Can't I Be You?
6. How Beautiful You Are
7. Snakepit
8. Just Like Heaven
9. All I Want
10.
Hot Hot Hot!!!
11.
One More Time
12.
Like Cockatoos
13. Icing Sugar
14.
The Perfect Girl
15.
A Thousand Hours
16.
Shiver And Shake
17.
Fight
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