Web-zine di musica, cultura, arte e tutto l'universo oscuro

di Gianmario Mattacheo

PEEL SESSION

John Peel (1939/2004) ha rappresentato, probabilmente, la voce più autorevole ed amata della musica inglese.
Il giornalista, storico collaboratore della BBC, attraverso il suo celebre programma radiofonico “John Peel Sessions", dette spazio ad emergenti band che negli anni avrebbero conquistato il successo.
Il lavoro di John Peel diventava un po’ quello del talent scout. Il gruppetto si presentava presso gli studi per eseguire quattro pezzi. Fine. Se poi, come spesso accadeva, il gruppetto diventava una celebre band, la registrazione della session veniva immortalata su disco.
È quanto accadde ai nostri che si presentarono, nel dicembre del 1978, per la prima di molte sedute d’incisione.
Il trio che solo nell’anno successivo avrebbe dato alle stampe l’esordio sulla lunga distanza di “Three imaginary boys” si presentò da John Peel con quattro canzoni e tanta voglia di sfondare.
Robert Smith, Lol Tolhurst e Michael Dempsey rappresentarono, come sappiamo, l’ossatura della prima formazione cure. Negli studi della BBC, i neonati cure scelsero quattro canzoni decisamente centrate: “Killing an arab, “Boys don’t cry”, “10.15 Saturday night” e “Fire in Cairo”.
Così, a dieci anni dalle storiche incisioni, l’etichetta Strange Fruit (responsabile di tutte le uscite discografiche delle “Peel Sessions”) pubblica questo EP, rappresentante un po’ l’anno zero del complesso.
La copertina (piuttosto deludente), presenta i volti sfocati dei protagonisti che emergono da uno sfondo rosso in cui sono ben in evidenza il nome del gruppo ed il titolo del programma di John Peel.
Le versioni risulteranno particolarmente ben eseguite e con un andamento leggermente più lento rispetto alle incisioni in studio.
Apre “Killing an arab” (primo singolo a quarantacinque giri) che proprio in quegli anni era stato oggetto di sbagliate e strumentali interpretazioni razziste. Come sappiamo, invece, Robert Smith si ispirò al libro “ Lo straniero” di Camus.
La maggior lentezza delle esecuzioni è l’elemento comune ai quattro brani; un elemento che contribuisce a dare un qualcosa in più in termini di atmosfera. “Boys don’t cry” risulterà più romantica (e con la batteria più in evidenza), “Fire in Cairo” meno punk e “10.15 Saturday night” forse la canzone più speculare alle incisioni in studio.
Un EP sicuramente non imprescindibile, ma obbligatorio per ogni fan del gruppo. un altro modo per ripercorrere le tappe della genesi del mito.

 

ANNO: 1988

ETICHETTA: STRANGE FRUIT

STUDIO DI REGISTRAZIONE: BBC RADIO1