“For
my part I know nothing with any certainty .. but the sight of
the stars makes me dream” (Van Gogh). Sono queste le parole
che, poste tra i credits, anticipano il lavoro. E, allora, anche
noi siamo pronti per schiacciare play e sognare.
Finalmente!
Dopo quattro anni arriva il successore di “The Cure”.
“4:13
dream”, secondo disco pubblicato per l’etichetta Geffen, mette
in evidenza la mania di Robert Smith per il numero 13.
Come
sappiamo, l’album di inediti è stato anticipato dall’uscita
di quattro graziose canzoni e da “Hypnagogic states”, un EP
che racchiude i singoli, attraverso dei coraggiosi remixes,
realizzati da artisti d’eccezione.
Tutte
pubblicazioni che avevano, come data della release, il 13 di
ogni mese (a partire dal 13 maggio, primo giorno disponibile
per acquistare “The only one”).
I
Cure di “4:13 dream” sono l’affiatato quartetto che, con convinzione,
suona insieme dall’estate del 2005. Accanto al capitano troviamo
il fidato Simon Gallup, Porl Thompson e Jason Cooper.
I
Cure di questa nuova era rimangono orfani di un tastierista
di ruolo, riuscendo a sopperire alla mancanza delle keyboards
solo attraverso la bravura ed il tecnicismo di Porl Thompson.
“Non c'è alcun bisogno di avere tastiere quando hai Porl
alla chitarra. Lui può creare praticamente qualsiasi
suono tu voglia. Ha riportato un senso di necessità e
ora abbiamo di nuovo un taglio rock” (Robert Smith, intervistato
dal New Musical express nel 2006).
Come
si diceva sopra, sono quattro gli anni che separano questo nuovo
lavoro dal precedente di inediti. Periodo di tempo che ormai
è diventato una costante tra l’uscita di un album dei
Cure ed il suo successore.
È,
infatti, dal 1992 (“Wish”) che Robert Smith e soci attendono
così tanto tempo prima di deliziare i palati dei fans
con nuove canzoni inedite. Ed è quanto accaduto anche
in questa occasione, nonostante la maggior parte delle canzoni
fosse già abbozzata alla fine dell’estate di tre anni
fa.
Responsabile
della copertina è, ancora una volta, la Parched art di
Porl Thompson. L’immagine stilizzata di due uomini spicca su
uno sfondo bianco, mentre, intorno ai visi, sono presenti sagome
e figure che simboleggiano parole e note musicali: ovvero l’arte
dei Cure.
Chi
conosce il gruppo di Robert Smith è al corrente di come
il brano d’apertura sia uno dei migliori del disco (quando non
il migliore in termini assoluti).
A
questa regola non si sottrae “4:13 dream” che con “Underneath
the stars” regala un vero e proprio portento.
I
circa sei minuti di “Underneath the stars” si riveleranno i
migliori di un disco che, senza difficoltà, possiamo
definire eccellente.
La
voce di Robert Smith che diventa quasi un sussurro e la poesia
che sta dietro le parole del leader, fanno di questo brano il
degno successore di “Plainsong”. È talmente bella e coinvolgente
“Underneath the stars” che, senza indugi, gridiamo alla nascita
di un altro classico.
L’album,
dalla seconda canzone, cambia immediatamente faccia, deviando
per il pop.
“The
only one”, il primo singolo estratto per questo nuovo lavoro,
è una loro tipica canzone virata al versante più
easy. Certo non è facile succedere al quel colosso del
primo brano, ma “The only one” se la cava benone, per un pezzo
in cui si evidenzia tutta l’arte melodica del leader.
Analogo
discorso vale per “The reasons why” (forse leggermente più
epica sul finale) in cui le cose migliori sono date dalla voce
di Robert Smith e dal basso di Simon Gallup; un brano che risulta
molto poco Cure in quei coretti posti durante il ritornello
(attenzione, però, …… non stiamo parlando delle scontatissime
backing vocals che Mike Mills propone in tutte le canzoni dei
R.E.M.).
“Freakshow”
è uno dei pezzi più indovinati dell’album; è
qualcosa più di una pop song (Cure style) che, ormai,
Robert Smith potrebbe scrivere ad occhi chiusi. Di fatto “Freakshow”
è quella canzone leggera, ma assolutamente folle, in
cui si possono vedere gli antenati nelle celebri “Why can’t
I be you”, oppure nell’ancor più datata “Let’s go to
bed”. Il ritmo incalzante e sincopato del brano, unitamente
alla voce di Smith, ne garantiscono la sua durata nel tempo.
“Sirensong”
è un altro eccellente brano in cui, questa volta, Robert
& co. attingono direttamente da loro stessi. Nell’incedere,
infatti, la melodia ricorda la “Jupiter crash” di “Wild mood
swings”, anche se proposta con strumenti diversi. Dall’anteprima
che i cure fecero a piazza San Giovanni in Roma, infatti, abbiamo
potuto apprezzare Porl Thompson con la chitarra hawaiana; il
connubio tra il suono quasi svolazzante creato dallo strumento
di Thompson e quello più classico della chitarra di Smith
crea un momento importante all’interno degli equilibri sonori
di “4:13dream”.
“The
real snow white” si apre con la frase ripetuta più volte
“You’ve got I want”, in cui Robert Smith ritorna a raccontare
la frustrazione per la mancanza delle cose desiderate (per liriche,
quasi un secondo episodio di “Want” – 1996) e, in un clima in
bilico tra il serio e lo scanzonato, prosegue con “The hungry
ghost”, capitolo leggermente meno d’impatto rispetto agli altri
proposti in questo 2008.
“Switch”
inizia con l’assolo di chitarra di Porl Thompson in stile sixties
(quasi un omaggio a Jimi Hendrix). È un pezzo energico
in cui Robert Smith snocciola le parole con velocità
incredibile, quasi gareggiando con le chitarre in una rincorsa
al traguardo finale.
“The
perfect boy” è l’ultimo dei quattro singoli estratti
per “4:13dream”. È un brano pop in perfetto stile cure,
in cui, all’interno di un’ottima linea melodica, si nasconde
un retrogusto malinconico, tipico di vecchi successi passati
(leggi “High” – 1992), mentre “This. Here and now. With you”
propone una canzone solare, perfettamente il linea con le migliori
dell’album.
Da
questo momento, “4:13dream” è pronto a chiudere con il
botto, attraverso le ultime tre tacce che ci confermano l’enorme
qualità dell’intero lavoro.
“Sleep
when I’m dead” è stato il migliore tra i singoli estratti.
È il brano che, più degli altri colleghi a “quarantacinque
giri”, esce dal canone della pop song, per entrare in un clima
sonoro più oscuro e teso. La chitarra con l’effetto wah-wah
di Thompson è il costante dolce rumore di sottofondo
che fa da corollario all’imponente trama sonora dettata dalla
sessione ritmica, mentre il grande guru canta divinamente tra
il sofferto e l’infuriato.
Con
le parole solo sussurrate dal leader si inizia l’ascolto di
“The scream”, brano ipnotico, capace di catturare fin dal primo
ascolto. Nell’intreccio chitarristico creato da Smith e Thompson,
ci sembra di rivivere le atmosfere lisergiche ed ipnotiche di
“The top” (1984); un viaggio allucinante in cui la collera di
Robert Smith cresce verso il finale, per liberarsi in urla strazianti.
È la giusta preparazione per il finale.
La
conclusione è per “It’s over” (inizialmente titolata
“Baby rag dog book”), uno dei vertici assoluti di tutto il lavoro.
Quando venne proposta in anteprima durante il 4tour 2008 capimmo
immediatamente di trovarci di fronte ad una canzone (per caratteristiche
melodiche la più somigliante a “Sleep when I’m dead”)
con quel piacevole qualcosa in più. La sessione ritmica
si supera creando un sound in grado di far
crescere progressivamente ritmo e tensione; quando poi arrivano
le chitarre di Smith e Thompson e l’immancabile cantato siamo
ancor più certi che “It’s over” sia la migliore conclusione
di un album veramente ispirato.L’estenuante
attesa per la lunga gestazione di “4:13dream” è stata
ripagata da un altro album appassionante. Possiamo già
affermare che, con il successore di “The <Cure”, Robert Smith
e soci abbiano fatto “tredici”, creando, se non un capolavoro,
quanto meno un album credibile e godibile in ogni sua parte.
Per ciò che concerne l’inevitabile domanda se questo
“4:13dream” sia migliore rispetto alle precedenti prove del
complesso, possiamo solamente deviare il quesito, suggerendo,
piuttosto, di rimettere la puntina sulla prima traccia, e poi
ancora, e poi ancora, e poi ancora. Again and again and again.
Questa è, probabilmente, l’unica risposta che darebbe
Robert Smith e l’unica che ci sentiamo di suggerire.
ANNO:
2008
ETICHETTA:
GEFFEN
PRODUTTORE:
ROBERT SMITH, KEITH UDDIN
FORMAZIONE:
Robert Smith (vocal, guitar, 6string bass, keys); Simon
Gallup (bass);
Jason Cooper (drums, percussion, loops); Porl Thompson (guitar)