La
band, abbandonata la storica etichetta Fiction, approda alla
Geffen e firma, al dodicesimo album in studio, un lavoro omonimo,
quasi a testimoniare l’intenzione di riaprire un nuovo ciclo,
dopo che “Bloodflowers” aveva rappresentato il raggiungimento
di vette altissime ed il miglior congedo dalla casa madre.
Ancora
identica la line up rispetto agli ultimi due album in studio:
Robert Smith (voce e chitarra), Simon Gallup (basso), Perry
Bamonte (chitarra), Jason Cooper (batteria e percussioni) e
Roger O’Donnell (tastiere)
La
copertina è dedicata ai componenti della band, in un
disegno infantile ed innocente (opera di uno dei nipoti di Robert
Smith) che, meglio di qualsiasi foto, raffigura i protagonisti.
Ancora una volta un art work indovinato.
L’apertura
è per “Lost”, che (nella tradizione Cure) ci conferma
come l’apripista sia una delle migliori esecuzioni dell’intero
lavoro.
Un
rumore sinistro (a rappresentare probabilmente qualcosa che
si è rotto … ?) anticipa la sola voce di Robert Smith
che ripete all’infinito “I can’t find myself”. Dopo questa cruda
ammissione, si inseriscono gli strumenti in un crescendo di
ritmo e tensione, in un contesto in cui l’ascoltatore accompagna
il leader nella disperata ricerca di sé stesso, per un
pezzo collerico e chitarristico dove Smith sputa tutta la sua
rabbia.
Si
rimane davvero a sognare con “Labyrinth”, in cui torna la tematica
del cambiamento e del trascorrere del tempo. Grazie all’affiatata
sessione ritmica, padrona di casa è l’atmosfera, ed è
facile percepire la desolazione che sta dietro la scoperta del
significato delle cose che viviamo.
Il
clima si distende con le successive “Before three” e “The end
of the world”. Quest’ultima, primo singolo estratto dell’album,
ha il merito di essere accompagnata da un video particolarmente
indovinato, degno dei migliori girati dalla band.
Il
dark sound di “Anniversary” riporta a livelli altissimi “The
Cure”, con sonorità accostabili al capolavoro di “Disintegration”
(più tastiere e meno chitarre, in questo caso), mentre
un ispirato Robert Smith ci canta la tristezza e l’amarezza
per la perdita delle cose che amiamo.
“Us
or them” è un aggressivo e rabbioso viaggio psichedelico
in cui tornano massicce le chitarre, la batteria muscolare di
Cooper e la voce di Smith che, mai come in passato, è
livida di rabbia.
Si
cambia decisamente direzione con “Alt.end” che, sul versante
easy, rappresenta una delle migliori esecuzioni del gruppo (paragonabile
ad alcuni dei più noti hit del passato), capace di aprirsi
alla melodia, ma conservando le coordinate del sound cure, già
ampiamente rodato per le pop song.
Si
continua sul versante easy con “I don’t know what’s going on”,
in cui il leader snocciola una graziosa love song (“I am so
in love with you”) e “Taking off” (secondo singolo) dove si
sente, più che in altri brani di “The Cure”, la chitarra
acustica; mentre con la suggestiva “Never” arriva il brano più
accostabile al classico schema delle rock song .
A
questo momento il gruppo intraprende la seconda odissea psichedelica,
con la promessa di “The promise”. Un urlo lancinante e senza
gioia di Smith apre questi dieci minuti, fatti di rabbia, di
chitarre stridenti, di caos e desolazione, attraverso un sound
che può avere un diretto antenato nella psichedelica
“The kiss”, targata 1987.
È
il modo migliore per preparare l’ascoltatore all’epilogo.
Per
l’ultima traccia, il gruppo sceglie “Going nowhere” e si ripiega
su se stesso, in un brano delizioso che, musicalmente parlando,
può essere considerato come un ripescaggio di “Bloodflowers”.
La rabbia si è definitivamente placata e torna il terribile
dubbio: dove stiamo andando?
Il
primo album per la Geffen ci consegna un gruppo in splendida
forma che, ancora una volta, riesce a rendersi credibile, nonostante
l’altissimo valore dei precedenti lavori in studio.
Un
album capace, in sostanza, di coniugare l’anima più dark
a quella più leggera, unite dall’inconfondibile voce
del profeta del buio che, anche nei capitoli più easy,
non si dimentica di rammentarci che quello in cui viviamo “è
sì un brillante e bellissimo mondo …………… solo dall’altra
parte della porta”.
La
versione limitata del cd prevede un dvd comprendente il “Making
of” dell’album. la visione risulta interessante per osservare
i nostri direttamente in studio di registrazione.
La
versione in vinile, invece, è arricchita dagli inediti
“Truth goodness and beuty”, “Fake” e “This morning”, non inseriti
nel cd.