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CCCP
 live @ Parco della Certosa Reale, Collegno (TO)

 
Testo e foto di
Gianmario Mattacheo 


Uno dei concerti a cui mai avrei pensato di prendere parte. Sorpresa non certo dovuta ai gusti personali, ma esclusivamente giustificata dalle vicende storiche e al trascorrere inesorabile dell’orologio. Sì, stiamo parlando dei CCCP e l’anno del Signore cui facciamo riferimento è questo 2024, ovvero lontanissimo da quel 1990, quando terminò la prima storia musicale di Giovanni Lindo Ferretti, in procinto di cambiare pelle, prima in CSI e poi in PGR.
Non è facile raccontare chi sono stati i CCCP nel panorama musicale degli anni ’80, figuriamoci quanto sia difficile farlo al giorno d’oggi.
Senza margine di dubbio, invero, mi sento di affermare quanto “1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi - Del conseguimento della maggiore età” sia l’album punk italiano più bello di sempre e uno degli album punk migliori in assoluto. Abbiamo letto di tutto circa la band emiliana; da chi li aveva eletti come gli ultimi paladini di un comunismo il cui rosso iniziava a sbiadirsi sempre più, a chi, più recentemente (e forse con più lungimiranza) ne metteva in luce, non tanto un attaccamento a Gramsci e ideologia connessa, quanto una provocazione dietro l’altra e una voglia di non allinearsi ad ogni sistema di potere e regolamentazione sociale: punk, insomma.
Ok, cappello introduttivo a parte, con il teletrasporto di Montgomery Scott, facciamo un viaggio dagli anni ’80 al parco della Certosa Reale, forse un po’ frastornati, ma decisamente curiosi.
E chi si è disturbato di fare questa scelta? A giudicare dal sold out, direi non poche persone e, con un margine di errore piuttosto basso, direi non moltissimi under 40.
E la reunion c’è davvero, con tutti e quattro i protagonisti di allora; da Giovanni Lindo Ferretti (voce), a Massimo Zamboni (chitarra), a Danilo Fatur (artista del popolo), a Annarella Giudici (benemerita soubrette, come lei stessa si definisce al microfono), più una serie di turnisti, aventi il compito di completare e arricchire il suono.
Quando la luce del giorno ha già lasciato lo spazio alla notte, i CCCP scelgono “Depressione caspica” quale pezzo d’apertura, da “Epica, etica, etnica, Pathos”. È un brano in cui del punk dell’esordio non c’è più traccia, mentre si respira un po’ di più il sound di inizio carriera con la successiva “Rozzemilia”, quando tra un tentativo di pogo e una lotta contro l’artrosi il pubblico torna ad essere un ribelle sociale.
La band sceglie una doppietta incendiaria quando la cover di “Bang bang” anticipa un altro must della ditta, quel “Spara Jurij”, primo atto musicale dei CCCP. Ognuno è ben conscio di ciò che potrà accadere con l’attacco chitarristico di Zamboni: energia, ribellione e anarchia, mentre ci sembra che tutto sia possibile, attraverso il parlato allucinogeno di Ferretti, il cantore più credibile dell’alienazione giovanile.
Tiro mortifero con “Mi ami?” e “Io sto bene”. Azzeriamo i commenti: superflui.
Una nota più che doverosa spetta a Fatur e Annarella. Il concerto dei CCCP non sarebbe lo stesso senza di loro, per trasformare il concerto in qualcosa di diverso e più grande, in cui le note musicali, spesso diventano meno importanti della recita e delle esibizioni dei due performer.
Il riff di Zamboni introduce l’inno per eccellenza della band; un suono che pare a metà strada tra una risata beffarda e il canto dei gabbiani. “Emilia paranoica” fa incendiare il parco della Certosa Reale e se abbiamo un dubbio di come si faccia … “Chiedi al 77 come si fa, chiedi al 77 come si fa”.
Impossibile spendere due righe per ogni canzone proposta stasera (sarebbero una trentina), ma almeno una citazione per l’altissima poesia di “Annarella”, me la devo concedere; è talmente alto il momento che puoi solo chiudere gli occhi e sussurrare “Non è finita”.
Sul finale non è una sorpresa sentire una delle loro cover più famose, ovvero quella “Kebab-traume” partorita nel 1980 dal gruppo tedesco DAF, proprio quelli che l’anno successivo avrebbero dato alle stampe il loro più famoso hit con “Der Mussolini” (a proposito dello stile provocatorio di Ferretti e soci).
Epilogo con “Amandoti” e con un altro pezzo da “Epica Etica Etnica Pathos”, per salutare tutti in maniera soft, e noi non possiamo non riconoscere quanto quel pezzo sia vero “Perché anche se per “un’ora … li abbiamo amati perdutamente”.