Dozzinalità fra le dozzinalità,
di gruppi punk ce ne sono stati veramente troppi, e tutti troppo incapaci,
tutti troppo uguali. Fu questo a portare alla morte prematura del
genere, sebbene ciò non significasse assolutamente la morte di TUTTI
i gruppi punk (punks not dead fu uno slogan che
si sentì ancora per molti anni). Fra questi sopravvissuti ci furono
senza dubbio i Crisis, sebbene assolutamente non dozzinali, almeno
nelletica: al contrario della maggior parte dei loro compagni
di genere, loro appartenevano a quellala politicamente impegnata,
nel dettaglio di estrema sinistra.
Tra i principali protagonisti nelle manifestazioni londinesi di Rock
Against Racism, i Crisis facevano anche parte della Anti-Nazi League,
unorganizzazione dellSWP (Socialist Workers Party, il
partito dei lavoratori socialisti) tra le più attive e combattive,
di cui era membro Tony Wakeford, bassista del gruppo. Fu proprio lSWP
a organizzare ai Crisis il loro evento più importante: un tour della
Norvegia. Ma a parte il loro certo encomiabile impegno sociale, la
musica del gruppo non superava certo punk arrabbiatello e un po
di maniera, benché non mancassero occasionalmente liriche pregevoli,
oltre a certi tentativi sperimentali alla Wire.
Ma nel 1981 la musica si era evoluta troppo oltre il primo punk nudo
e crudo, ed il gruppo non sopravvisse alla constatazione obiettiva
di un ritardo artistico-culturale leggermente contraddittorio (non
si può essere progressisti proponendo una musica di retroguardia).
Eppure, nel mese di giugno dello stesso anno, due dei suoi membri
vollero proseguire lavventura musicale: si trattava del già
menzionato bassista Tony Wakeford e del chitarrista Douglas Pearce,
entrambi anche cantanti. I due selezionarono vari batteristi ed alla
fine scelsero Patrick Laegas, impressionati dal suo drumming marziale
e militaresco. Fu così che nacque lennesimo gruppetto dark della
seconda generazione, i Death in June, ma alla ricerca di una via un
minimo più originale di tanti loro coetanei.
In effetti alla personalità esuberante e politicamente impegnata di
Wakeford stava lentamente sovrapponendosi quella più matura e meditativa
di Pearce, che ora si faceva chiamare Douglas P. Fu lui infatti a
scegliere il nuovo nome del gruppo, ispirato dalla Notte dei
Lunghi Coltelli, il celebre massacro nazista del 30 giugno 1934.
Per carità, questo spiega tuttuna serie di simbologie nazi-fasciste
e militariste contenute nelliconografia e nella musica dei Death
in June, tuttavia per Douglas P questa denominazione rimase molto
più ampia e multisfaccettata e, col tempo, venne colorita di significati
esoterici.
Ora, sia ben chiaro un concetto: nonostante il fatto che da quella
stagione, con lapertura del Batcave, il dark stesse emergendo
vieppiù come genere di consumo, oltre che di tendenza, ciò non significa
che non fosse ancora perfettamente in grado di dare origine a fenomeni
autenticamente underground, e i Death in June furono proprio uno di
quei casi. Anche per questo fecero una certa fatica a trovare unetichetta
discografica ed infine, seguendo lesempio dei Killing Joke (e
di molti altri microbi punk), dovettero accontentarsi della loro microscopica
etichetta discografica, la New European Recordings, meglio conosciuta
con lacronimo NER, che però col tempo riuscì a farsi distribuire
dallaltrettanto underground World Serpent.
Insomma, il primo parto di tutta
questa attività lo si vide nellinverno dell81, sotto forma
di un maxi-singolo a 12. Un arpeggio di chitarra remoto ed incredibilmente
effettato di delay e riverberi apriva la prima, poi famosissima, Heaven
Street. Sullo stesso giro armonico interverranno un basso a carroarmato
ed una batteria a martello sulla cassa. Le voci lontane e sinistre,
anchesse effettate, anchesse a seguire il giro armonico,
fino al ritornello-farsa «this road leads to heaven». Al secondo ritornello
si capisce che i Death in June fanno sul serio: vari effetti bellici,
voci distorte da radio militare in loop ripetuto, effettistiche acide
a disturbare la percezione (ed il cervello) in un incubo per la psiche
ed unestasi per i sensi. Heaven Street, balorda, cattiva,
eppur accattivante, si impose
subito come un classico.
Girato il disco, il batterista Laegas faceva capire di che pasta era
fatto: linizio di We Drive East, infatti, sopra una nota
straziante di tromba (o è una chitarra irriconoscibile?), il rullante
cominciava una ritmica militare, presto sostenuto dal mortifero basso
di Wakeford. Anche in questo caso le voci, quelle dei due leader Douglas
P e Wakeford, erano sinistre e remote a cantare una nenia decisamente
funerea («we pay in blood», paghiamo nel sangue). Su un coretto necrofilo
si ripete il titolo, fino al cambio di ritmica che forse conclude
il brano un po affrettatamente. Ma ecco esplodere In the
Night Time: chitarra acida, basso poderoso, batteria martellante.
Il giro prosegue finché non si recepisce una voce sotto che ripete
il titolo. La voce principale emerge minacciosa, ma il brano ripercorre
strade già sperimentate con i Crisis, risultando sostanzialmente un
brano punk appesantito. Piacevole ma minore.
Il disco purtroppo passò praticamente inosservato, eccetto un piccolo
zoccolo duro di entusiasti fedelissimi che cercavano di diffonderlo
il più possibile, puntando sui suoi innegabili punti di forza: una
nuova dimensione delloscurità (più ossessiva e paranoica, nonostante
fosse sulla scia di certi Joy Division) e testi che lasciavano presagire
una profondità di analisi, oltre che culturale, decisamente superiori
alla media della scena dark. La giovane età, gli entusiasmi dei pochi
fan, e di conseguenza le loro insistenze, presto convinsero i tre
a tornare in sala dincisione. Sempre con ottime idee, ma con
un po meno soldi.
Infatti nella primavera dell82 sempre per la NER uscì il classico
45 giri a 7, una canzone per lato. Sul
lato A State Laughter cominciava con una sballata scala di
note casuali (un synth? Uno xilofono?), sulle quali si innestavano
le lunghe e tristi note di una tromba desolata. Il basso penetrava
minaccioso e dopo un minuto buono del suo funebre giro faceva il suo
devastante ingresso la batteria e subito dopo una voce in quasi parlato
solenne. Questo fino alla nuova caduta catatonica sul giro di basso
e tromba iniziali. Un panorama che alternava desolazione ed energia
con la sicurezza del grande autore.
Sul lato B, invece, Holy Water cominciava in modo più tradizionale
con gli strumenti insieme su giro notturno e minaccioso. La voce era
più epica, la batteria più tribale, la variante più solare. Una vera
ballata veloce e tragica che, per quanto più tradizionale, esprimeva
una maestosità raramente sentita. Per la prima volta, poi, erano chiaramente
espressi concetti di tipo spiritual-religioso. Ma forse ciò che fece
più parlare il disco di sé fu la copertina: nera con teschio nazi-fascista.
Certo, visto il passato come Crisis, i tre non dovevano dimostrare
niente a nessuno: era chiaro che si trattasse di unaccusa, ancor
più che di una provocazione. Ma non tutti vollero capire
Insomma, tra le nebbie più
underground di una Londra notturna e sofferta erano nati i Death in
June, gruppo da alcuni definito qualsiasi, da altri una vera e piacevole
sorpresa. Le voci erano lamentose o solenni, i testi molto intimi
e sofferti, la chitarra di Douglas P acida e la sua tromba straziante,
il basso di Tony Wakeford pieno, dinamico e minaccioso, la batteria
di Patrick Laegas metronomica, tribale o marziale. In genere le loro
atmosfere erano cupe e claustrofobiche, sebbene impreziosite di effetti
e comunque sempre dinamizzate dalle ritmiche.
Certo. Nellindifferenza generale era sbocciato un preziosissimo
fiore nero