Sembrerà strano, ma il gruppo
gotico per eccellenza doveva sentirsi parecchio frastornato! Certa
stampa li osannava come i veri inventori del gothic-rock, altra li
insultava come amanti dellorrido fine a se stesso. Folle deliranti
impazzivano ai loro concerti (celebri quelli americani del settembre
80 e del febbraio 81), ma le vendite dei loro dischi non erano certo
da capogiro. E tuttintorno a loro una scena gotica che prendeva
sempre più piede, talvolta imitandoli pedissequamente, talvolta ignorandoli
del tutto (a parte gli UK Decay, che invece sembra siano stati da
loro imitati).
Passati alla Beggars Banquet, più forte della piccola consociata 4AD,
avevano dato alle stampe il danzereccio e reggaeggiante Kick in
the Eye nel mese di marzo dell81 (il retro, Satori,
era una medio-lunga 430 improvvisazione musicale
su ritmi tribali, purtroppo un po irrisolta), inaugurando così
una tendenza che li vedrà ancora presenti nelle discoteche underground con la, questa
volta, più tenebrosa The Passion of Lovers, nel mese
di giugno. Un pezzo semplice, ideato, composto e registrato nel giro
di un pomeriggio in studio. Cori funerei, ritmo serrato, riff mediorientale.
Ma soprattutto un bellissimo ritornello: «la passione degli amanti
è per la morte, lei dice», dando una spiegazione della meravigliosa
e simbolicissima copertina (la mantide religiosa, più di così..!).
Un piccolo-grande successo per un piccolo-grande capolavoro! Interessante
anche il retro, un brano-collage intestato di volta in volta ai quattro
componenti della band, enfatizzandone voci, gusti musicali ed interessi.
Le cose si fecero più serie il 16 ottobre, quando nei negozi fu disponibile
Mask, il secondo album dei Bauhaus. Copertina canicolare, surreale
ed enigmatica, di cui qui si propone lintero artwork disegnato da Daniel
Ash, il disco sin dai primi ascolti denotava (tante) affinità e (poche)
divergenze rispetto al precedente In the Flat Field. Tra le
affinità i temi: la dannazione, la follia, lesoterismo, e comunque
un sound figlio dei 70, dei reggae-dub, dei rocknroll
e dei boogie scatenati di T.Rex, Bowie ed Eno. Di comune cerano
sempre loro: il drumming preciso e tribale di Kevin Haskins, il basso
funereo ed esasperato di David J, la chitarra esuberante e forsennata
di Daniel Ash ed infine lelegante baritono di Peter Murphy,
la voce più gotica che ugola riuscì mai ad avere.
Tra le divergenze una migliore produzione, una maggiore ricchezza
di suoni che poteva, superficialmente, dare limpressione di
una maggior maturità artistica. In realtà i brani tendevano un po
a rifarsi a certi standard danzerecci dellepoca, o di epoche
precedenti (eminentemente i 70, ma non sempre, era giusto una tendenza)
rendendo Mask stilisticamente meno ricco ed innovativo del
suo predecessore. Tuttavia si torna presto alle affinità con il primo
brano, Hair of the Dog, intro con drone distortissimo di chitarra,
batteria a irrompere devastando, per un vero voodoobilly forsennato
sullossessione compulsiva. Lincedere marziale e ipnotico,
la voce dannata, gli arrangiamenti durissimi, davano un effetto generale
violento e ossessivo ai limiti del raccapricciante, creando del brano
presto un classico.
Come un classico era ormai la successiva, semplice ma bellissima The
Passion of Lovers, brano che conquistava sempre più giovani alla
causa-Bauhaus. Ma ecco che una chitarra stride e gratta ritmicamente,
un basso ed una batteria cominciano a pompare sotto, ed infine entra
un parlato elegante, fino allepigramma ripetuto blackout!.
Il ritmo si fa ska, la voce imita certo Lydon di certi
PIL: è Of Lillies and Remains, di certo un brano insolito e
interessante, ma forse non un capolavoro. Come del resto il successivo
Dancing, dal ritmo scatenato e che vede Ash al sassofono. La
voce fa un po il verso a Bowie (capita spesso a Murphy), sebbene
più rauco e dannato, ma la cosa migliore è il brevissimo stacchetto
elettronico centrale.
A chi pensa ad un album minore, i Bauhaus rispondono con uno dei loro
capolavori, oltre che uno dei loro brani più dark di sempre: Hollow
Hills. Accordi funerei, coro lugubre, cassa devastante su chitarra
a imitazioni darchi, arpeggio depresso di basso. Il ritmo è
lento e sofferto, la voce segue. Il ritornello tenta un colpo di reni:
«for invasion of their hollow hills, that music hold and oberon fill»,
per poi ricadere in malinconica, ma melodica, depressione. «O mortal
you», poi lunghi e satanici «so sad», con arpeggio di chitarra daccompagnamento,
chiudono una stupenda e minacciosa avvertenza a non violare certi
luoghi maledetti. Segue il ritmo reggae e sostenuto
della già sentita Kick in the Eye, qui ribattezzata 2
per sottolineare che si tratta di una nuova versione, registrata decisamente
meglio (soprattutto nella definizione dei bassi) della prima su singolo.
Ma la serietà furibonda dei Bauhaus rifà capolino nei due brani a
seguire, per un attimo accostando il gruppo ai grandi analisti della
malattia mentale: PIL e Virgin Prunes. Soprattutto il primo, In
Fear of Fear, era veramente uno ska della psicosi, con sassofono
sinistro, elettronica psichedelica e voce mefistofelica. Effetti elettronici
di marchio Brian Eno confondono e deliziano la psiche, mentre il corpo
non può resistere alla pulsione di darsi alla danza. Neanche tre minuti
e dal flippato si arriva al rabbioso: ritmo serrato e percussivo,
parlato/gridato punk, basso funk. Si tratta di Muscle in Plastic,
in pratica una Of Lillies and Remains più minacciosa e incazzata,
con finale catartico per piano e delirio. Destabilizzante.
Ma un bellissimo arpeggio introduce il pow-wow della successiva The
Man with the X-ray Eyes, potente e pompata, sebbene il cantato
si apra esistenzialista: «shoes that no man would want to wear, wipe
away in the nights last cold stare» (scarpe che nessun uomo
vorrebbe indossare, si asciugano nellultimo freddo sguardo della
notte) e al ritmo cadenzato si affianca la voce di Ash, con finale
ripetuto «wipe away my eyes». Poi un effetto elettronico. Pesantissima
entra la sezione ritmica (grandi, i fratelli Haskins!) per un altro
brano allucinante e psicotico, leponima Mask. Murphy
si libra quasi liricamente nella potenza del suo baritono fra lurlato
e lo stentoreo. Il ritmo affanna, così la voce, mentre Kevin picchia sui piatti. La
voce, talvolta raddoppiata, tocca vertici mefistofelici, «from a dummy-head
expression» (da unespressione di manichino).
Ma quando latmosfera
si fa soffocante oltre la sopportazione, un bellissimo arpeggio elettrico
di chitarra spezza e simpadronisce del pezzo. Murphy non può
che assecondarlo ripetendo «the shadow is cast» fino alla chiusura.
Del disco e di questaltro capolavoro.
Insomma, insuperabile nei
picchi, tuttavia Mask potrebbe forse soffrire al confronto
del suo predecessore, un po per laffievolirsi delleffetto-sorpresa,
un po per una più discontinua ispirazione. Si tratta però di
facezie, poiché oltre che bellissimo fu comunquelalbum giusto al momento
giusto e contribuì non poco a consolidare e rinforzare il mito-Bauhaus.
Mito che, infatti, costrinse il gruppo ad unaltra uscita discografica
di lì a poco, ovvero lo scialbo Ep Searching for Satori del
febbraio dell82. Il
titolo non solo rimarcava linteresse dei quattro per le discipline
esoteriche orientali, ma riprendeva il nome del retro del singolo
Kick in the Eye. Si tratta in effetti di un maxi singolo, contenente
Kick in the Eye (ancora, e francamente non se ne comprende
il motivo
forse speculare sulla nuova versione 2?) e
tre scarti di studio come riempitivi. Il primo (e forse più interessante)
è In Fear of Dub, ovvero la parte strumentale di In Fear
of Fear che, proprio perché strumentale (sebbene in effetti comprenda
frammenti di voce campionata), risultava ancora più forsennata e nevrastenica,
devastata dal flanger.
Ear Wax, un potente dub, sembrava invece come registrata lontano.
La voce era sottoposta a mille effetti, echi e riverberi, e così la
musica, che quasi sembrava faticasse ad arrivare allascoltatore.
Leffetto finale, tuttavia, alla lunga risulta più irritante
che intrigante. Per lultimo Harry si tratterà di un reggae
più tradizionale, caratterizzato giusto dalla voce unica di Murphy.
Di certo, tra gli esempi simili del gruppo (Bela o Boys
fra gli altri), risulta forse il meno convincente, oltre che, curiosamente,
il più giamaicano.
E così fu nel giugno dell'82 con un altro singolo, Spirit,
per il quale si servirono per l'ultima volta di un produttore esterno,
Hugh Jones (il retro era una versione dal vivo di Terror Couple).
Il
brano era molto bello, una sorta di ballata balcanica cantata in baritono,
contrassegnata da una sorta di mandolino ed una percussione profonda
e importante. Purtroppo però Jones, che comunque era un produttore
esperto, stranamente fallì nel rendere la giusta dinamica al suono.
Fu forse effetto della frenesia e della fretta, ma Murphy e compagni
non si fidarono più di nessuno e vollero seguire la produzione dei
loro brani di persona. Bella comunque la copertina, con quella faccia
in stile Bauhaus (la scuola di design) che in breve divenne il loro
marchio di fabbrica.
Una pressione sempre crescente
sembrava esercitarsi su questi magnifici quattro: sessioni radiofoniche,
concerti, interviste. Nonostante il fatto che le vendite dei loro
dischi non fossero certo da fenomeno commerciale, e nonostante la
continua ostilità di certa critica, i Bauhaus erano troppo perfetti
per evitare leccellenza: eleganza (Murphy), esuberanza (Ash),
ombrosità (f.lli Haskins). Insomma, una classe unica, che li rendeva
decisamente la punta di diamante di una scena che, per quanto notturna,
fu con questa stagione che emergerà alla luce.
E alla luce di ciò che sarà, forse il loro merito principale fu laver
tenuto duro.