4.2 Virgin Prunes – A New Form of Beauty

Dei Virgin Prunes si è detto e scritto di tutto: completamente folli, tossici al di là del tollerabile, gay fino all’insulto (cosa non vera per tutti), sadomasochisti, maniaci, iconoclasti e dissacratori, persino pessimi musicisti, e tutte queste definizioni, invero in sé esagerate e parziali, contengono però un briciolo di verità. Ma i Virgin Prunes erano principalmente ed innanzitutto artisti, e sarà proprio come artisti che concepiranno (e porteranno quasi completamente a termine) il delirante progetto “A New Form of Beauty”, una nuova forma di bellezza. Perché è questo che l’artista DEVE fare (e oggi sono in troppi ad esserselo dimenticato, soffocati e narcotizzati dalle supreme leggi del marketing): sfidare le categorie estetiche della sua epoca, forzale ed ampliarle, al fine di elevare lo stato di coscienza (qualunque cosa s’intenda con questa formula) dell’epoca stessa, e/o di quelle future.
In effetti i sei pazzi scapestrati avevano già da tempo subito la pesante perdita di Pod, batterista stanco ed esasperato (non dimentichiamoci delle già accennate difficoltà “performative” a cui erano sottoposti questi musicisti) che fu costretto ad abbandonare una formazione comunque da lui molto amata. E il suo sostituto, il percussionista-tastierista Haa-Laaka Bintii, stava rivelandosi una personalità decisamente troppo esuberante, e forse pure un pelo litigiosa. Fu un po’ messo alla porta, accusato anche di mancanza di “sense of humour”. Dopo qualche ricerca venne sostituito da un vecchio amico (o amica?) della Lypton Village, il “femminiello” Mary d’Nellon.
Per cui, oltre a lui/lei, rimanevano una chitarra acidissima ed esasperata come quella di Dik (che cominciò a interessarsi a registrazioni in loop, progenitori dei moderni campionamenti) e un basso possente e claustrofobico come quello di Strongman, per mettersi al servizio di un demone artistico che prendeva forma nelle voci belle e impostate di Gavin Friday, grottesche e inquietanti di Guggi, infine malate e spastiche di Dave-id Busaras. Prendeva una forma musicale in cui stranamente e finalmente i Virgin Prunes troveranno la loro dimensione ideale, la quale si impossessò delle loro anime e dei loro cervelli e diede loro una creatività talmente esuberante da renderli i protagonisti assoluti e indiscussi di questa stagione 1981/82.
A New Form of Beauty, si diceva, un progetto artistico multimediale, laddove la parola stessa “multimediale” era ancora di significato oscuro, ma certo non per l’avanguardia artistica irlandese! In effetti il primo episodio già lo si era visto e sentito durante l’estate, nella forma di un “normale” 45 giri: Sandpaper Lullabye / Sleep Fantasy Dreams, per la Rough Trade. Le due canzoni del disco analizzavano, in puro stile demenziale à la Virgin Prunes, il tema del sonno infantile (e di ninne-nanne connesse). In Sandpaper Lullabye la batteria di Mary d’Nellon apriva in modo fragoroso e su un accompagnamento spastico di Dik uno stupefacente Guggi infiorettava una melodia onirica in falsetto: il suo “la la la”, coadiuvato in basso da Gavin, ha qualcosa di destabilizzante. Un viaggio allucinante nella psiche infantile sotto forma di una filastrocca sulla paura della solitudine (e della mancanza d’amore). Il lato B è invece affidato vocalmente all’altro cantante, Dave-id, che con la sua impareggiabile capacità di ricreare atmosfere psicologicamente oppressive, grazie anche all’introduzione di un carillon inquietante e su un bellissimo riff di Strongman (si affaccia anche un piano malato), narra di disperazione e follia nel sogno. Ma, in fondo, anche in Sleep Fantasy Dreams sono sempre l’alienazione e l’emarginazione (qui con rivalsa onirica) a costituire il tema dominante. Insomma, un disco meraviglioso, ma con scarsissimo (se non nullo) potenziale commerciale.
Con la fine di settembre / inizi di ottobre fece la sua apparizione nei negozi A New Form of Beauty 2, sotto la forma di un 45 giri a 10 pollici (un cosiddetto maxi-single) e le cose cominciavano a farsi maledettamente serie: il lato A era interamente occupato dalla terribile e ferocissima Come to Daddy. Su un tappeto percussivo continuo e martellante di Mary, Dik e Strongman “sparavano” un allucinante riff in undici note (in poesia sarebbe una sorta di endecasillabo dell’incubo), bello ma di rara capacità inquietante. Gavin e Guggi alternavano urlando il ruolo di genitori più annoiati e frustrati che cattivi, ma facendo inevitabilmente sorgere un agghiacciante sospetto di pedofilia e incesto. L’unico momento di respiro è uno stacchetto verso la fine, ma lo svuotarsi degli strumenti (resta solo Dik, in arpeggio spettrale) serve solo ad enfatizzare meglio l’allucinante pantomima dei cantanti. Due frasi sussurrate «no-one cares about mammy» ed un urlo «no-one cares about me!!» e riprende la ferocissima sarabanda sonora. Insomma, dieci sordidi minuti di pura paranoia del terrore, ma con la sua violenza musicale e le sue tematiche scottanti Come to Daddy fu uno schiaffo violentissimo e oltremodo scandaloso alla compassata e ipocrita società inglese.
Certamente meno oltraggiosi i due brani del retro: Sweethome Under White Clouds era una ballata dislessica e tagliente, che dopo un intro atmosferico veniva frastagliata e cadenzata dalla secca percussione di Mary. Gavin e Guggi alternavano bellissimi versi («like water, I have no color, running free») con le loro voci da manicomio, ora impostate e ora gridate, compilando un brano bello ma sgradevole sulla “casa celeste”. Un piano zoppicante e malato riemerge per Sad World: una nenia gridata da Dave-id (foto a destra) con effetti deprimenti. Il bambino minorato (e disperato) torna a dire la sua.
Ancora qualche mese e farà la sua apparizione nei negozi A New Form of Beauty 3, sempre un maxi-singolo (quindi sempre a 45 giri) ma questa volta a 12 pollici, come un Lp normale. Sull’a-side trova posto la destabilizzante Beast (Seven Bastard Suck). Si comincia con orridi versi tra l’animalesco ed il maniacale, con tanto di gemito infantile di sottofondo. Le voci dei cantanti sono lamentose, ancora una nenia, ma questa volta ripetitiva e a sfondo spirituale. È un antichissimo rito pagano quello che si prende forma, soprattutto dopo il sopraggiungere di una percussione quasi industriale: la ripetitività demenziale di un verso arcano e incomprensibile crea un effetto di rapimento mistico. Il prototipo di un rito blasfemo di invocazione della “bestia”. Da restare basiti. In questi 10 minuti e mezzo i Virgin Prunes riescono veramente ad esibire tutto il loro potenziale devastante: oscuri, manicomiali, cacofonici, dissacratori eppure in rito sacro, sacerdoti della “bestia” antica ed arcana che si nasconde in ogni uomo moderno, perbene, industrializzato.
Il lato B è invece interamente occupato dalla suite in tre movimenti The Slow Children, un nuovo omaggio, quindi, ad uno dei loro temi favoriti: l’infanzia “ritardata”, come metafora di una maturità adulta colpevolmente incompleta (“colpa” che è sociale e di sistema di valori, s’intende…). Il primo movimento, Abbagal, è pura effettistica sonica, con rumori “concreti” (soprattutto tintinnii) e voci in eco e riverbero. La psiche non può che uscirne devastata, infatti il secondo movimento ha come titolo Brain Damage (si immagina senza alcuna citazione “floydiana”). Fa capolino l’inquietante voce di Dave-id che, fra i brividi che procura nell’ascoltatore, recita gli orridi versi di un definitivo inno al manicomio, con accompagnamento di cacofonie psycho-deliranti. C’è anche posto per citare John Lennon e la sua Ya Ya. Ma un bambino (vero, stavolta) interromperà questo delirio con i versi «life is but a dream». È un Gavin Friday quasi demoniaco che ora sussurra, ora declama, versi di perdizione infantile. È l’ultimo, impressionante, cacofonico e deprimente brano della suite: No Birds to Fly, titolo di per sé più che esplicito. Si spegnerà nel pianto, e come altrimenti?
Con l’inizio dell’82, una (presumibilmente) sempre più perplessa Rough Trade pubblicherà assurdamente una musicassetta dal titolo A New Form of Beauty 4 (da notare come si fosse conservata la linea grafica di copertina). Che cosa conteneva questo supporto ancora una volta diverso? Apparentemente un brano solo, Din Glorious, che però era la registrazione di una serie di performance dal vivo selezionate da una tournée del folle sestetto. E che nome poteva avere questa tournée? Perché chiederselo, quando la risposta è ovvia? A New Form of Beauty 5, tenuta a Dublino durante il mese di novembre del 1981 e accompagnata da relativa mostra. Ma come si può descrivere quest’opera tanto cacofonica quanto sconcertante? Vagiti infantili si sovrappongono a suoni inarticolati. Urla scimmiesche prendono il sopravvento su ritmi tribali e, tanto per cambiare, rituali pagani (i Virgin Prunes erano l’unico esempio di rivisitazione di una tribalità pagana, quindi europea, anziché africana od orientale). Di tanto in tanto questi ululati arcani e queste lallazioni dementi venivano brutalmente interrotti da schegge del capolavoro di questo progetto, Come to Daddy, il tutto per 37 minuti di destabilizzazione psichica, in un’atmosfera mai così opprimente. Comunque gli intervenuti potevano sempre rilassarsi alla mostra: esibizioni di carni in putrefazione si alternavano ad un letto con sopra due conigli (vivi) su cui venivano proiettate in loop immagini pornografiche.
Sì, in effetti Din Glorious era summa e compendio di tutto il progetto A New Form of Beauty: il bambino tardo, malato, quest’infanzia così disturbata, verrebbe quasi da dire così stuprata, si fa simbolo e prototipo di un’intera umanità. E in un allucinante gioco di rimandi non si capisce se l’umanità attuale sia impazzita perché ovvia evoluzione di un’infanzia definitivamente compromessa o se l’infanzia stessa sia demente perché cresciuta in un’epoca ormai interamente risucchiata da spirali discendenti di squallore, deboscia e degrado psico-culturale. La violenza, i riti, i giochi deviati ed i piccoli/grandi soprusi non sono altro che scherzi, feticci, pretesti, mezzi con cui questo dramma quotidianamente si consuma.

Sinceramente ci si rammarica per la mancata apparizione delle ultime due parti del progetto: la 6, un libro mai pubblicato, e la 7, un film mai girato. Ma con A New Form of Beauty i Virgin Prunes avevano compiuto il grande salto, erano la “next big thing” del momento. Presi dalle spire di un lavoro sempre più coinvolgente, non troveranno il tempo per terminare la loro opera.
Da una parte, conoscendo i risultati di questo lavoro, ciò fu decisamente un gran bene. Dall’altra tutto ciò, inevitabilmente, finì presto per logorarli.

 

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