I Virgin Prunes, la next-big-thing
della stagione 81-82, rivelazione assoluta di una scena dark che non
finiva mai di sorprendere, gruppo di pazzi stakanovisti che passò
un inverno di superlavoro tale che praticamente finì per sfiancarli,
e alla lunga per distruggerli. Eppure lintero progetto A
New Form of Beauty, eccelso capolavoro di un ensemble artistico
come nessun altro, fu per loro croce e delizia. Delizia perché li
aveva proiettati in cima allavanguardia artistico-musicale e
performativo-teatrale, insomma multimediale, insomma sinestetica,
inglese, quindi mondiale. Croce perché, nonostante gli elogi sperticati
della critica più illuminata, aveva ottenuto la sospettosa indifferenza
di quella più allineata, ma soprattutto un modesto risultato in termini
di vendite.
E qui, come sempre in questi casi, si intromise la casa discografica,
quella Rough Trade peraltro molto coraggiosa, lunica che aveva
avuto il fegato di investire su di loro in quegli anni. Ma, per quanto
underground, anche unetichetta discografica investe per produrre
profitti e ora sia la musica del folle sestetto, sia la loro performance
sul palco, venivano giudicate troppo violente e indigeste per poter
piacere al pubblico. La soluzione parve essere ovvia: un produttore
che almeno sistemasse i suoni in studio.
Fu così che a fine febbraio del 1982 letichetta cominciò una
prova in tal senso, assegnando loro Nick Launay, giovane promessa
irlandese, già distintosi in ambito new wave. Durante il mese di marzo
si chiusero nei Windmill Lane Studios di Dublino ed uscirono con un
singolo il mese dopo. Bhè
che dire?
Sicuramente lottimo lavoro di Launay non ha snaturato il loro
sound, cioè la voce mefistofelica e melodrammatica di Gavin Friday,
quella da pazzo flippato di Guggi e quella da bambino deficiente di
Dave-id Busaras, così come ha giustamente rispettato la chitarra di
Dik, il basso di Strongman e la batteria di Mary dNellon. Anzi,
la canzone principale, Pagan Lovesong, nelle due versioni normale
e Vibe-akimbo, suona straordinariamente limpida e dinamica.
Anzi è proprio Strongman ad attaccare con un riff immediatamente accattivante,
mentre di sottofondo gemono voci lugubri (in qualche modo Launay voleva
assimilare un po forzosamente il sestetto ai canoni del dark),
poi fragorosa entra Mary, mentre Dik gratta sotto. Si tratta di un
pezzo più danzereccio rispetto al loro solito, ma con imprevisti cambi
di tono e di tempo, oltre che assolutamente allinterno della
loro poetica (tribalismo e paganesimo), con tanto di quasi interruzione
catatonica verso il finale e ripresa feroce; struttura che ricorda,
in piccolo, quella di Come to Daddy.
Più serio e drammatico laltro brano: Dave-id Is Dead parte
come lungo lamento scandito da occasionali percussioni e doppiato
da ululati e guaiti. Poi la ritmica si fa viva e sostiene il classico
brano per malati di mente di marca Dave-id Busaras. Per
quanto riguarda Pagan Song Vibe-akimbo invece, che occupava
lintera facciata A del 12, la differenza rispetto alla
sorella minore, oltre che nella durata, sta nellinizio
vocale angelico ed in unatmosfera più dura ed industriale, con
maggior dovizia di varianti strumentali. Più suonata e meno cantata,
più storta, certamente più convincente per i duri e puri.
E la cosa funzionava! Nella tournée che seguì, finalmente si vedeva
la coda fuori dai locali, e non solo, ma il singolo fu anche un piccolo
campione di vendite, soprattutto nelle discoteche undreground e di
tendenza. Finalmente i Virgin Prunes avevano sfondato, erano usciti
dallombra! Galvanizzati da questo successo, i membri del management
della Rough Trade decisero di proseguire, anzi a modo loro di radicalizzare
lesperimento e, dopo un certo lavoro, riuscirono a contattare
come produttore un mito della dark-wave britannica: né più né meno
che sua maestà Colin Newman degli Wire!
Lintesa fra Colin Newman e i sei pazzi fu subito ottima: anche
Gavin Friday, dopo le ultime esperienze in studio, si era convinto
che una produzione più accurata poteva solo favorire il loro messaggio
e comunque a tutti piaceva vedere le platee piene. Inoltre Colin era
giustamente considerato una sorta di guru, di profeta, di deus-ex-machina
della nuova scena musicale inglese. Il gruppo si chiuse presto in
studio per cominciare a lavorare sul nuovo materiale appena composto,
ma la tournée non era terminata e doveva proseguire.
Fu così che nel mese di aprile i Virgin Prunes si trovarono a suonare
al Rex Club di Parigi, ivi invitati da Yann Farcy, manager di unetichetta
discografica programmaticamente chiamata LInvitation au Suicide.
Il loro show fu così spietato e feroce che tutti rimasero allibiti
e perplessi. Farcy fu talmente entusiasta
che, dopo averli informati di aver registrato levento per intero,
propose loro la pubblicazione del materiale in un disco live.
Fu così che fra le chiacchiere, unidea tira laltra, alla
fine fu presa una decisione: aggiungere a quello dal vivo un disco
di inediti a tema fisso. Così come A New Form of Beauty aveva
parlato di infanzia deviata e malata, il nuovo progetto avrebbe parlato
di malattia mentale, tornando alla tematica cara ai loro maestri
putativi, i Van der Graaf Generator (più o meno filtrati dai
PIL). Come dire: i bambini sono cresciuti ma la loro situazione non
è cambiata.
Finita la tournée, il difficile fu al limite convincere il loro nuovo
produttore (oltre che la casa discografica ufficiale) che il lavoro
con lui era rimandato di poco, ma in fondo Newman era un professionista
e poi loro erano veramente molto liberi. Successivamente i sei si
rinchiusero in studio, sempre ai Windmill Lane di Dublino, a comporre
e registrare, autoproducendosi a ruota libera. Il loro sistema era
semplice: per capire la psiche dei malati di mente bisognava essere
un po come loro. Cosa cera di meglio, dunque, che comporre
di giorno e registrare di notte, senza dormire per tre giorni consecutivi?
Era il mese di giugno del 1982. E non è così facile parlare di ciò
che uscì da quelle sessioni di registrazione
Innanzitutto
il formato. Nella norma i dischi di vinile erano o singoli, di 7 pollici
di diametro e a 45 giri, oppure album, cioè di 12 pollici a 33 giri.
I maxi-singoli potevano avere il formato a 12 ma andare comunque
a 45 giri, molto più raro e vezzoso il formato a 10, riservato
per edizioni speciali. Bene, il nuovo disco dei Virgin Prunes, Hérésie,
uscì a fine giugno in un assurdo doppio 10 a 33 giri, per lInvitation
au Suicide. Doppio perché, come programmato, un disco in studio affiancava
quello dal vivo.
We Love Deirdre, lapripista del primo disco, quello in
studio, apre con un flauto inquietante doltretomba, che esegue
un fraseggio tipico che sarà ricorrente. Cè una chitarra catatonica
a sovrapporsi, fino allingresso delle voci di Gavin e Guggi
in scambio di battute scherzoso da manicomio. Una serie di «I love
you», poi vocalizzi dementi e limprovvisa fine. Ma il flauto
mefistofelico rifà la sua comparsa, prima di una percussione prima
leggera e finta, poi feroce e martellante, con tanto di
sarabanda sonica assordante di accompagnamento. Grida inarticolate
si sovrappongono al frastuono e, poco a poco, prende corpo la voce
di Gavin Friday, devastata dagli echi. Si tratta della ferocissima
Rethoric, che conosce giusto un attimo di pausa (percussioni
flauto e basso), prima della deflagrazione in mille frammenti impazziti
della psiche. Percussione martellante, basso schiacciasassi, chitarra
in acuto acido, mille suoni, rumori, droni sovrapposti e devastanti,
fino alla seconda pausa e fino alla voce satanica, malefica, un «I
crawl out of her» ripetuto, poi «mother» che diventa grido assurdo,
incontrollato, metafora impazzita di una nascita bastarda. Insomma,
sette ferocissimi minuti di angoscia e paranoia pure, più figli dellindustrialismo
di marca Throbbing Gristle che daltro.
La sosta è balsamo per le orecchie, ma poi
no! Ancora quel maledetto,
inquietante flauto! Cosa ci aspetterà? Ed ecco ancora la capacità
di stupire, sempre: una percussione spastica accompagna il nostro
folle Dave-Id che introduce una canzoncina allegra e demente, Down
the Memory Lane che, a quanto pare, vede uniti i tre cantanti.
Un valzer allegretto per pazzi flippati, un tradizionale sing-a-long
irlandese la cui allegria sinistra non fa altro che aumentare linquietudine,
sebbene dando spazio allanima. È incredibile sentire i tre fare
a gara a chi risulta più suonato e fuori di testa, un vero rito liberatorio,
con applauso finale.
Si gira il disco, usuale riff di flauto ed ecco unaltra sorpresa:
Man on the Corner, un inno alla paura (più esattamente alla
paranoia) cantato in solitudine da un irriconoscibile, sgraziatissimo
Gavin Friday, praticamente senza accompagnamento: una sola nota di
piano molto sotto. Ma un ritmo sinistro sintromette, un piano
svirgola a destra, un suono (stranamente simile al muggito di 70
Cities dei Simple Minds) disturba, fino alla frase che interrompe,
«I think Ive blown this». Lascoltatore non fa in tempo
a realizzare cosè successo quando capisce che il riff di flauto
vuole introdurre un altro pezzo, Nisam Lo, uno strumentale
spettrale, con tanto di lontane grida dei fantasmi della psiche. Da
far venire la depressione, fortunatamente non supera il minuto e mezzo.
Poi cè Loved One, introdotta da mille suoni distorti
che infastidiscono il cervello e brasano la psiche (i loop sono del
sempre più esperto Dik), fino allingresso di un basso funereo
quanto mai, una chitarra altalenante e un rullante a cinque colpi
secchi. Leffetto è dark e claustrofobico fino alloppressione,
soprattutto con la caduta di tonalità negli abissi, che fa da variante
tonale. Poi la batteria pompa sotto e la voce bassissima di Gavin
fa la sua comparsa, in un sabba stregonesco che evoca i peggiori incubi
di una mente abbandonata a se stessa: un omicidio efferato e inconsapevole,
quasi uno scherzo. Variante di urla liberatorie e distorsioni chitarristiche,
ma poi lincubo riprende il sopravvento per un vero capolavoro
sonico, il vero pezzo forte del disco. Grida bestiali stoppano.
La fine, affidata a Go t Away Deirdre, è desolata
quanto mai. Il flauto, le voci dei due matti dellinizio che
adesso non scherzano più e non parlano più damore, ma si accusano
reciprocamente: «we play a different game», a che gioco giochiamo?
Solitudine, odio, incomunicabilità.
Totalmente
diverso laltro disco che, come si è detto, riporta le fasi più
salienti del concerto al Rex Club di Parigi. Al di là della registrazione
non perfetta e dei molti fruscii, si tratta di uneccellente
testimonianza del livello della loro performance in quel periodo.
I brani sono suonati in modo esasperato e frenetico, carico di energia
sì, ma anche di inquietudine. E poi cè limprecisione,
lapprossimazione tipica di molti gruppi post-punk, ma qui perfettamente
funzionale alla resa psicologica che si vuol dare, ovvero di celebrazione
dellestremo, del folle, del corrotto.
I brani sono quasi tutti inediti, a testimonianza di come i Virgin
Prunes, prima di portare qualcosa su disco, lo collaudassero moltissimo
dal vivo. Sarà curiosamente laltro disco di Hérésie,
quello in studio, a rappresentare uneccezione a questa regola
(tranne Down the Memory Lane, fu infatti composto ad hoc, ed
ex novo). Una batteria esasperata e plasticosa (bravissima/o Mary)
fa partire la sgangherata Caucasian Walk, una marcia dellesasperazione
selvaggia, dove Guggi e Gavin si alternano agli inni. Più tradizionale,
e anche più trascinante, la successiva Walls of Jericho, un
bellissimo post-punk melanconico e da ballare. Segue una versione
pazzesca di Pagan Lovesong, che in effetti rivela limportanza
di un buon lavoro di studio per il gruppo, ma contemporaneamente anche
la sincera immediatezza del loro approccio live (il finale è veramente
catartico).
Nella b-side fa la sua comparsa un brano lungo ed oscuro, come un
raga delle profondità viscerali dellanima. Si tratta di Theme
for Thought: un riff dinamico di basso accompagna le giaculatorie
e le litanie di Gavin, talvolta doppiato da Guggi, interrotti da ricorrenti
esplosioni soniche, dopo le quali un cantante si alterna allaltro,
fino allultima esplosione. Ma ecco alla fine un errore ritmico,
che introduce il loro capolavoro Come to Daddy in una versione
che più bella, più tossica, più esasperata e più drammatica non avrebbe
potuto essere. Un grumo di pathos e rumore per stomaci forti, una
delle loro vette, per chi riesce a resistere
Con Hérésie i Virgin
Prunes registravano una presenza costante sul mercato discografico
da almeno 10 mesi, ovvero dal primo 45 giri di A New Form of Beauty.
Sei uscite, quindi (la prima parte di quel progetto, la seconda, la
terza, la quarta, Pagan Lovesong e adesso Hérésie),
per una media di più di una ogni due mesi. Senza contare una presenza
costante sui palchi britannici ed europei, sempre allinsegna
dellesasperato, dellestremo e dellinquietante, con
temi quali la follia, la dannazione, la corruzione dellinnocenza.
Insomma, la deriva della modernità occidentale.
Una presenza che era shock per le anime belle, scossa allindifferenza
e al perbenismo, minaccia costante per lumanità più ignara e
inconsapevole, ostentazione dellimbarazzante nudità della propria
psiche torturata e insana. E non era ancora finita