Nel precedente capitolo a
loro dedicato sè scritto che i Modern English, per quanto appartenenti
a pieno titolo alla prima generazione dark (benché più precisamente
alla sua seconda ondata), possono essere rappresentativi, esemplari,
del classico gruppo della seconda generazione: al talento unirono
limitazione, per poi sbandare verso lidi commerciali. Purtroppo
questa parabola capita a molti gruppi rock, anche dotati: scopritori
di strade nuove e fors'anche importanti, ma successivamente timidi
nel percorrerle fino in fondo, infine incapaci di fermarsi prima della
catastrofe.
I Modern English, poi, sono veramente importanti per quellLp-capolavoro
che fu Mesh and Lace: malinconico ed esistenzialista nonostante
le venature rabbiose del loro retaggio punk, preannunciò, anche nella
grafica delle copertine, il prossimo indirizzo artistico della 4AD.
E in effetti fu nellesplorazione di questa strada che la voce
ora aspra e ora melodica di Robbie Grey, la chitarra pungente di Gary
McDowell, la batteria febbrile di Richard Brown, il basso romantico
di Mick Conroy e la tastiera futurista di Steve Walker proseguirono
la loro ricerca musicale. Purtroppo fu proprio questultimo che,
rendendosi conto dellammorbidimento dei suoni delle ultime composizioni,
fece la significativa proposta di avvalersi alla consolle per le prossime
registrazioni di Hugh Jones, celebre produttore degli Echo & the
Bunnymen.
Ma
il problema, come sempre, resta tutto lì: finché i Modern English
erano cinque sfigati di Colchester, ignorati e derisi, dovevano ingoiare
rabbia che ispirava loro canzoni belle e vibranti. Fatto il bel disco
e ottenuto il riconoscimento, ecco che lottimismo e il sentimentalismo
più bieco devastano un talento forse più figlio del disagio che veramente
innato. Comunque per loro non fu subito esattamente così, per almeno
un altro disco il talento riuscì a tenere. Ma purtroppo fuori dai
confini del dark.
In effetti Hugh Jones non si dimostrò entusiasta di produrli, accusandoli
anche di non avere nessuna buona canzone. Tuttavia la 4AD approvò
ed assegnò loro uno studio di registrazione che presto divenne un
mito nellambito dark: i Monmouth Studios di Rockfield, nel Galles.
Un posto magico e molto suggestivo, che ispirò non poco i ragazzi.
Il resto lo fece lesperto ed instancabile Jones, lavorando come
un forsennato sulla struttura dei brani, facendo scoprire loro nuove
potenzialità degli strumenti, impreziosendo suoni e momenti psicologici,
ma purtroppo togliendo ai brani buona parte dellimprevedibile
follia compositiva che spesso caratterizzava le loro partiture. Insomma,
ingabbiandoli nelle rigide e riconoscibili strutture del brano pop
new wave.
Lalbum, il
secondo certuni bellissimo After the Snow, uscì nel mese di
aprile del 1982. La copertina, ancora opera della 23 Envelope, ricalcava
la ricerca grafica dei Virgin Prunes di A New Form of Beauty,
ovvero la carta stropicciata, con aggiunta di cavalli e palloncini.
E il primo brano, Someones Calling, è già una dichiarazione
dintenti: riff di chitarra triste e malinconico su batteria
intensa, abbondantissimi synth, ritmo disco che solo i New Order potevano
osare. Insomma, un brano di new wave commerciale solo un po
più malinconico, con voci tristi e romantiche che si inseguono, tra
laltro con un tempo decisamente troppo sulla traccia degli ex
Joy Division. Tuttavia rimaneva quel po di venatura minore che
lo nobilitava, oltre allevidentissimo miglioramento nei suoni
dato dallesperto produttore. Insomma un bellissimo brano, per
iniziare.
Fortunatamente la seconda, Life in the Gladhouse cerca anche
di recuperare in credibilità: batteria schiacciasassi in apertura,
disturbi sonici occasionali, echi ed effetti, poi basso sotto che
pompa potente. Il brano comunque mantiene un po quellaria
new wave esistenzialista, ma questa volta una maggior ispirazione
(ed in fondo una maggiore serietà), appena temperata dal melodico
«oh me, oh my» che scandisce il testo, ci permettono di annoverarlo
tra le loro composizioni migliori. Voce tenebrosa, chitarra in evidenza
e in riff, bel testo («An easter parade for the innocent / A fugitives
to pray for awhile /Oh me, oh my / Oh me, oh my / My shadow weaves
me / But sometimes leaves love»), strana percussione caraibica, momenti
diversi che rendono ai Modern English la loro fantasia compositiva
un po fuori dagli schemi.
Fu curiosamente anche il
primo singolo tratto dallalbum, quando Someones Calling
sarebbe stata molto più adatta (ed infatti sarà anch'essa pubblicata
su singolo, ma quasi un anno dopo!). Decisamente molto interessante,
molto più della media dellalbum, il retro di questo singolo:
la lunga e tenebrosa The Choicest View. Si tratta in effetti
di una lunga litania di 1130, su ritmo lento e cadenzato,
voce di Grey depressa come ai vecchi tempi, chitarra di McDowell acida
e stridente come non mai, ma sotto che non disturba, e synth di Walzer
sinistro e solenne. Improvvisamente, poco dopo il quarto minuto, il
ritmo subisce una brusca accelerata, per varianti strumentali eventuali
e per infine ricadere, un paio di minuti dopo, nella depressione ma
con una diversa melodia. Saprà poi ripartire con voce gridata e chitarra
devastata, in un tripudio di suoni distorti e percussioni fantasiose,
insomma un piccolo-grande capolavoro assolutamente ignorato da pubblico
e critica!
Purtroppo, e qui è meglio chiarirlo subito, il resto dellalbum
non sarà allaltezza di questi momenti. Purtroppo, ancora, saprà
solo alternare brani di new wave triste ma senza lispirazione
di Someones Calling a brani più insipidi, in puro bubble
gum di sintetizzatori anni 80. Al primo gruppo appartengono
la successiva Face of Wood (certamente un bel brano, con i
giusti effetti sonici, un intro anche tenebroso, una chitarra acida
e punk, ma purtroppo melodico e fuori dal dark), linizialmente
depressa Dawn Chorus (contenente il celebre verso «Strange
visions of balloons on white stallions» che diede spiegazione alla
copertina) e leponima After the Snow. Del secondo gruppo
fanno parte il singolo I Melt with You e lultima Table
Turning, dai begli effetti elettronici. Soprattutto il singolo,
uscito nello stesso periodo dellLp, è veramente imbarazzante:
un ritmo dozzinale e sfacciatamente disco, cascate di sintetizzatori
plasticosi, ritornello melensamente melodico, sembra veramente di
sentire i New Order più ruffiani e meno ispirati. Peggio: sembra di
sentire il più dozzinale gruppo di synth pop anni 80 mai esistito!
Felice eccezione alla regola fu la penultima Carry me Down,
dove in un momento dorgoglio i Modern English cercano di recuperare
almeno parzialmente la seria credibilità che aveva ispirato Mesh
and Lace e Life in the Gladhouse. Uno strano flauto si
insinua nellarpeggio di chitarra acustica, il brano inizia sommesso
ma ritmicamente sostenuto. Il ritornello è potente, marziale, sostenuto
da un Brown rullante e sempre accompagnato dal flauto: «There's something
in the air, but I know it can't carry me down / You know I won't believe
you, You know i won't believe in time for now». (c'è qualcosa nell'ari,
ma so che non può portarmi giù / tu sai che non ti crederò, sai che
non riuscirò a credere in tempo). Poi la caduta e un nuovo arpeggio,
sembra di ascoltare i momenti imprevedibili e simili al progressive
che fecero capolino sui primi singoli (ricordate Tranquility?),
sebbene forse meno ispirati, ma certamente meglio prodotti.
Luscita del disco,
con i suoi suoni così ben prodotti e suadenti, le sue dinamiche così
raffinate, entusiasmò la stampa inglese, che arrivò a sbilanciarsi
con frasi del tipo: è un miglioramento da Mesh and Lace
quanto Einstein lo è dallalgebra, chiedendosi inoltre
(forse anche giustamente) perché le radio dessero tanto spazio a fenomeni
deteriori quali gli ABC o, addirittura, i Duran Duran ed ignorassero
opere sopraffine come questa. Certo, la stampa aveva ragione: After
the Snow è certamente uno dei migliori album new wave dell82.
Il problema era piuttosto un altro, cioè che i Modern English, per
quanto ne sapeva il loro pubblico, non erano un gruppo new wave, bensì
dark. E, nonostante avessero ricevuto le migliori recensioni della
loro carriera, fu proprio il loro pubblico a tradirli, facendo di
After the Snow un fallimento commerciale.
Nei mesi che seguirono Grey, McDowell, Walker, Conroy e Brown, un
po depressi, ripresero a vedersi e a comporre nuove cose. Ripresero
anche la collaborazione con Hugh Jones, di cui erano rimasti entusiasti,
ed arrivarono a incidere altre tre/quattro canzoni. Fu in quel frangente
che vennero a sapere che I Melt with You era uno dei brani
più programmati dalle radio degli USA. Stretti accordi con la Sire
Records per curare ledizione americana del singolo, i cinque
partirono per uninterminabile tournée oltreoceano, che diede
loro gloria e onori, anche sulla terribile
e commercialissima Mtv. Onori tali che, da lì a breve, decisero di
non fare più ritorno alla loro terra natale.
E così fecero musicalmente, scadendo in una pop-wave sempre più melensa
ed insignificante. Peccato. In confronto After the Snow era
un disco bello ed artisticamente rilevante, cui il tempo seppe restituire
dignità ed amore, infatti oggi è giustamente considerato uno dei migliori
prodotti della new wave inglese.
Sì, ma il dark? Bhè
quello è veramente unaltra storia