4.14 The Sisters of Mercy – singoli

Quelli eran giorni in cui continuavano a susseguirsi voci strane e difficili da verificare… Sembrava che Lurch, il celebre maggiordomo della famiglia Addams, suonasse in un gruppo che in quanto a cacofonia e casino non avesse nulla da invidiare agli Stooges o, per fare un esempio più recente, agli esasperati Birthday Party. Sì, insomma, che ci fosse un gruppo, più o meno stanziato dalle parti di Leeds (nord Inghilterra), che riuscisse ad emettere un’indistinguibile ma scatenante baraonda sonora in grado di shoccare il pubblico, e che fosse troppo indipendente/anarchico/disorganizzato per poter fissare simili eventi sonori (più che musicali) su disco. Per carità, giravano anche voci su un fantomatico singolo, ma chi l’aveva mai visto? Alcuni giuravano d’averlo fatto, ma poi aggiungevano che era decisamente inascoltabile…
Come sempre la realtà era un po’ differente, ma già la diffusione di questo mito testimonia di come il gruppo fosse stato in grado di far parlare di sé sin dalle sue prime, umili origini. In effetti proprio a Leeds viveva il chitarrista Mark Pairman, giovanotto nativo dello Yorkshire ma cliente fisso del locale più punk della città, l’F Club. Un lontano giorno del 1980 conosce lì quest’altro strano tipo perennemente con gli occhiali da sole, certo Andrew William Harvey Taylor, nomade giramondo di buona famiglia, capitato in città per caso (si dice per imparare il cinese, infatti veniva da Oxford, dove non lo si insegnava) e interessato ad attività artistiche e/o musicali. I due fanno amicizia, aiutati da simpatie musicali, dalle attività sociali e politiche dell’F Club e anche (sembra) dai fumi dell’hascish e non si sa cos’altro. In effetti lì per lì Pairman non prese la cosa sul serio e Taylor, che abitava con altri sballati punkoidi sopra una farmacia in centro, grazie a loro rimediò, nascosti in cantina, i resti di una batteria.
Tornò quindi alla carica con Mark Pairman: ora poteva offrirsi come batterista, forse non eccelso ma, come lui stesso ebbe a definirsi, “l’unico affidabile per cose semplici”. Quest’ultimo provò a dargli retta e, da buon chitarrista, si rivolse ad uno dei suoi contatti più altolocati: Jon Langford, mitico bassista di uno dei gruppi più importanti di Leeds, i Mekons. Insieme i tre cominciarono a farsi le ossa sulle cover dei gruppi più amati: Stooges, Velvet Underground, Suicide, al limite certi Rolling Stones. Presi dall’entusiasmo e dal delirio giovanile (Pairman e Taylor hanno sì e no vent’anni) i ragazzi bruciano le tappe e in rapida successione:
1) Chiamano il gruppo con un nome monacale, “Le Sorelle della Misericordia”, eufemismo usato nel mondo anglosassone per definire le battone e, guarda caso, ambiguamente usato anche da Leonard Cohen per uno dei suoi brani più celebri.
2) Seguendo una consuetudine punk, si autoconferiscono nomi d’arte: Mark Pairman in un primo momento diventa Gary Mark; poi, assecondando più esplicitamente le sue idee politiche, Gary Marx. Andrew William Harvey Taylor, invece, semplificherà il suo nobile nome nel germanoide Andrew Eldritch.
3) Compongono una serie di brani così istintivi e belluini da annichilire un manicomio criminale e cominciano a proporli in giro, insieme alle cover. L’effetto che produrranno sarà certo di far parlare di loro, ma non sempre nel modo desiderato…
4) Inebriati dall’avventura entrano nella rudimentale sala d’incisione di un loro amico. Qui registreranno tre canzoni, The Damage Done, Watch e Home of the Hit-men, così male ma così male che passeranno gli anni successivi a rinnegare, quando non proprio a negare, d’averlo fatto.
5) Fondano un’etichetta discografica, la Merciful Release, con tanto di logo, la celebre testa tratta da un trattato di anatomia, che pubblica subito il singolo con le tre canzoni. Non si può tuttavia certo affermare che si trattasse di un capolavoro artistico, o di una fortunata operazione commerciale…
Poi si calmano e fanno un passo indietro.
Cos’era successo? Non si capiva nulla, era capitato tutto troppo in fretta. I loro concerti erano coacervi di suoni strazianti e furibondi, la loro musica era approssimativa e indistinguibile, il singolo faceva schifo. O perlomeno, le composizioni erano mediocri e mal registrate: le chitarre uscivano da un amplificatorino amatoriale da 3 watt, ed Eldritch teneva fede alla sua fama di “peggior batterista in città”. Il fatto che John Peel lo avesse trasmesso nel suo programma radiofonico probabilmente fu più indice dello scarso controllo di qualità che si faceva nei primi anni 80, piuttosto che il riconoscimento di una qualunque forma di talento.
The Damage Done
cominciava con un bel riff di basso, che in realtà era una chitarra a sei corde (Langford ci sapeva fare), e la strana voce di Eldritch che spingeva verso il basso, a imitazione di Alan Vega dei Suicide. Poi entravano le sventagliate di chitarra di Marx. Si tratta di un boogie su imitazione dei primi T.Rex, piacevole ma purtroppo riuscito troppo male per essere ulteriormente giudicabile. Bello il finale urlato, più simile alle performance live del gruppo. Sull’altro lato Watch ha un attacco più aggressivo, le chitarre sono più oblique e acide, pur conservando la precisione del basso. Qui il cantante è Marx, anche lui a imitazione di tonalità basse. La canzone è più rock e più disperata, in uno stile che poi sarà spesso ripreso dai Three Johns. È forse il brano più convincente, certo meglio di quel poco più che esercizio che era l’ultima Home of the Hit-men, anch’essa cantata da Marx.
Un bel momento Jon Langford, stufo di tanta approssimazione dilettantesca, li abbandona al loro destino e, con altri due celebri omonimi, fonda gli ottimi Three Johns. Ora, sebbene non si tratti di un gruppo dark, il loro ascolto è fortemente consigliato. Lontani echi dei Sisters sono innegabili, non solo per l’uso della drum machine, ma provate ad ascoltare un capolavoro come Death of the European: un potentissimo e dinamico post-punk con chiare venature dark e un’irresistibile progressione!
Nel frattempo Marx ed Eldritch cercano di sostituire Langford con un altro tipo, certo
Benjamin Matthews, ma al momento viene scartato: al basso non rende bene. Sarà Eldritch a scoprire che sopra la farmacia abitava anche Craig, questa giovanile caricatura di Lurch degli Addams, ottimo bassista. Ma rimaneva un problema, l’inettitudine di Eldritch alla batteria. I casi erano due: o lui si metteva a studiare seriamente o si doveva escogitare un’altra soluzione. Visto l’amore che tutti provavano per i Suicide, si decise di fare una colletta e con i pochi soldi raggranellati di comprare una batteria elettronica usata. Battezzata Doktor Avalanche, divenne un membro del gruppo a tutti gli effetti.
I tre si ritrovarono insieme con tanta voglia di fare e qualche buon contatto, rimediato un po’ da John Peel e un po’ dai pochi che avevano apprezzato il singolo. Partiti con un furgone, praticamente passeranno tutto il 1981 in perenne tour, a fare da spalla ai migliori gruppi della loro epoca: i Clash, i Gun Club, i “fratelli” Birthday Party, gli Psychedelic Furs, e addirittura Nico, di cui Eldritch era un fan sfegatato! Insieme ai tre c’era Pete Turner al mixer, una sorta di quarto membro che li accompagnerà ancora a lungo. Il loro show, per chi riusciva a distinguerci qualcosa, fu definito “da qualche parte tra gli Stooges ed i Suicide, o i Motörhead ed i Chrome”. Fu così che crebbe e si affermò il loro mito.
Alla fine dell’anno, di un anno di sudore, gloria e qualche incomprensione, decideranno di essere ormai maturi per tentare ancora l’avventura discografica. Ricontattato Matthews lo integrarono nel gruppo con lo pseudonimo di Ben Gunn (un personaggio dell’Isola del Tesoro di Stevenson) e lo impiegarono alla seconda chitarra, completando così la formazione più classica e fors’anche più amata dai fan. Oltre a Gunn, potente secondo chitarrista ritmico, c’erano Gary Marx ad una chitarra ruvida e acida come poche, Craig Adams ad un basso poderoso e scatenante, e Andrew Eldritch ad una voce roca e approssimativa, oltre che alla guida della batteria elettronica Doktor Avalanche. Grazie all’amico Kenny Giles di Bridlington, che metterà a disposizione il suo studio a 8 tracce, negli anni a seguire i Sisters of Mercy incideranno una serie di dischi che li proietteranno dritti dritti nell’empireo delle rockstar assolute. Ma andiamo con ordine.
Nel mese di aprile del 1982 uscirà il loro primo vero e proprio singolo, diciamo il primo che consente un ascolto non sgradevole, contenente i due brani Body Electric e Adrenochrome, sempre per la Merciful Release. In copertina una riproduzione di Studio dopo Velasquez di Francis Bacon, rossa su sfondo nero, a inaugurare un’impostazione grafica lugubre e seria che non sarà più abbandonata. Certo, la qualità della registrazione era ancora tutt’altro che perfetta, ma che gioia per le orecchie essere in grado di distinguere con sicurezza il basso dalle due chitarre! Poi c’è da dire che Body Electric era veramente un gran bel brano: un voodoobilly potente ed ipnotico, che costringe alla danza, riesumando Stooges e Cramps. Titolo tratto da una poesia di Walt Whitman (I Sing the Body Electric), il brano denota tutti i debiti culturali dei Sisters ma anche la loro geniale originalità: chitarre acute in riff acido, drum machine metronomica, basso che pompa alla danza demoniaca, voce mefistofelica, liriche horror surreali («acid on the floor so she walks on the ceiling»: acido sul pavimento, così lei cammina sul soffitto, oppure «and the body electric flashes on the bathroom wall»). Intermezzo strumentale, finale alto e convulso: un capolavoro!
Ma sul lato B Adrenochrome è, se possibile, ancora più incalzante. Il nome è quello di una droga che induce schizofrenia, prodotta ossidando adrenalina. Il ritmo è potente, la voce delirante (si parla ancora di suore e tornano le Sorelle della Misericordia), ma l’effetto generale affascina meno dell’irresistibile a-side. Comunque il disco venne subito premiato come “singolo della settimana” nientemeno che dalla rivista Melody Maker. Da qui a essere chiamati da John Peel per una delle sue celeberrime sessions il passo fu breve e costituì il lancio definitivo del gruppo nell’oscuro mondo dell’underground inglese (o nel brillante mondo dell’underground oscuro, è lo stesso).

Insomma, era nata una stella, ma di che tipo? In molti, seguendo le successive dichiarazioni dei quattro, ma soprattutto del cantante, cercheranno in futuro di escluderli dalla compagine gotica, adducendo a supporto delle loro motivazioni il fatto che le radici del gruppo affondassero più nel glam rock anni ’70 o nelle sperimentazioni pazzoidi dei Suicide, piuttosto che nelle ruvidità post-punk.
Nella realtà i Sisters of Mercy furono, per quanto inconsapevolmente, uno dei più riusciti esempi, veri prototipi di quella che in questo scritto è stata definita “seconda generazione dark”. Innanzitutto erano post-punk nello spirito: Eldritch oltre che batterista disastroso era un cantante almeno poco dotato, che infatti in futuro si ritroverà costretto ad affinare la tecnica e comunque a farsi aiutare molto da trucchi di studio. Mentre Marx era un chitarrista al più mediocre, ma dotato di tutta la carica energica di un vero post-punk. Il loro genere così “retrò”, poi, lungi da conferire loro originalità, fu proprio la marca della loro imitazione (si diceva che i gruppi di seconda generazione nascono normalmente su imitazione di quelli della prima), anche qui seppur inconsapevole o frutto di coincidenza. Nello specifico ci si riferisce ai gruppi rumorosi ed esagitati della 4AD: Birthday Party e Bauhaus.
Anzi, chi scrive è il primo ad affermare che il vero riferimento o, se si preferisce, precedente culturale dei Sisters furono proprio i Bauhaus, ma interpretati in chiave esagerata, iperbolica: là dove si tendeva al boogie, qui si deborda nel voodoobilly (che ne è l’esasperazione demoniaca), là il ritmo è importantissimo e non disdegna la danza, qui è addirittura affidato a una drum machine e alla danza costringe, là la voce è raffinata e baritonale, qui spinge spasmodicamente sul basso.
La loro originalità sarà altrove, e nella descrizione di Body Electric si è già analizzata a sufficienza. Basteranno la testa di morto in autopsia del loro marchio, la grafica funeraria e l’abbigliamento nero a fare il resto e a consacrare definitivamente i Sisters of Mercy a realtà eminentemente gotica. Col tempo che penserà a conferire loro il valore aggiunto dell’importanza imprescindibile…