4.11 Christian Death - Only Theatre of Pain

Si posiziona il presente capitolo in questo punto perché l’evento di cui si narra, ovvero l’uscita del fondamentale Only Theatre of Pain, è da registrarsi nel mese di marzo del 1982, tuttavia ciò ebbe luogo fra l’indifferenza quasi generale. E l’album, una delle pietre miliari del gotico, o più esattamente della variante americana denominata death rock, impiegò molti mesi prima di emergere con tutta la sua impressionante importanza. Ma ovviamente, anche in questo caso, procediamo con ordine.
Come accennato nel paragrafo introduttivo, a parte i presto emigrati Tuxedomoon, negli Stati Uniti non c’era stato qualcosa di simile a ciò che in Europa venne chiamato gothic rock, a causa delle diverse condizioni socio-politiche dei due paesi. Il cosiddetto “nuovo mondo” al di là dell’Atlantico era decisamente più giovane, quindi apparentemente privo del carico di decadentismo millenario che gravava sul vecchio continente. E le stesse istanze giovanili che qui diedero origine alla scena oscura, di là invece si innestarono sul punk piuttosto che sul garage rock, comunque su generi più “maschi” e metallici, dando origine a tutt’una serie di realtà rumorose e necrofile (dalla no-wave all’hard-core).
Tra queste, una delle più beffarde e originali fu il power-pop di Los Angeles, che ebbe origine soprattutto nel quartiere di Orange County. Lì, sembra soprattutto in seguito alle scorribande dei fondamentali UK Decay, era nata tutta una scena che annoverava fra i suoi adepti devastatori sonici e furibondi come i Germs, i Social Distortion, i 45 Grave, ma soprattutto gli Adolescents. Questi ultimi, veri campioni del power-pop, inanellavano una serie di pezzi incendiari deridendo e sbeffeggiando la cultura giovanile americana, talvolta in modo orrorifico, con brani veramente lodevoli e divertenti quali Amoeba, I Hate Children o la catastrofica Kids of the Black Hole.
I punti di forza degli Adolescents erano senza dubbio nel folle cantante Tony Cadena, ma ancor di più in un giovane chitarrista-genio, certo Rikk Agnew, dotato di tecnica sopraffina, dita superveloci e fantasia a gogò. Campioni della neonata etichetta Frontier Records, si diceva, durante le loro tournée al fulmicotone si facevano accompagnare da gruppuscoli punk locali. E ce n’era uno che piaceva particolarmente a Rikk Agnew, amici di suo fratello Frank (il bassista del gruppo): i Christian Death, nome che intendeva dileggiare l’alta moda francese (Christian Dior). E piaceva non tanto per la sezione ritmica, formata dall’eccellente bassista James McGearty (che se non fosse nato punk sarebbe stato funk) e dal poderoso batterista George Belanger (in grado di percuotere indifferentemente tamburi, bonghi e campane), ma soprattutto per il loro “cantante”. In effetti Roger Alan Painter era un ragazzino tossico, perverso e vizioso, gay e masochista, che più che cantare declamava con voce mortuaria versi allucinanti che trattavano di dolore, inferno e incesto. Il punto debole del gruppo, semmai, era lo svogliato chitarrista Jay Jay.
Ma nel corso del 1981 Rikk Angew, da bravo ragazzino-genio scapestrato, tossico e strafottente qual era, litigò ben presto con il resto degli Adolescents, determinandone lo scioglimento e facendo tutto da solo per il prossimo progetto discografico, giustamente intitolato All By Myself.
Certo, da una parte dimostrava che gli Adolescents erano solo un suo complemento, cioè un modo come un altro per suonare bene le sue bellissime canzoni (lui in effetti non brillava alla voce e alla batteria), dall’altra però l’improba fatica stava cominciando a spossarlo. Sempre tutto solo, quell’estate cominciò la tournée promozionale del nuovo disco, operazione che lo esaurì quasi definitivamente. Ancora una volta si circondò di gruppuscoli punk locali ed ancora una volta non potè non essere affascinato dai modi decadenti ai limiti del marcio del giovane Roger Alan Painter, che ora si faceva chiamare Rozz Williams, nome trovato su una lapide del suo cimitero preferito, che suonava come il maschile di Rose, Rosa. E a quel folle di Rikk Agnew venne un’idea, di quelle idee in grado di mutare il corso della storia del rock.
Insomma, il buon Rikk non poteva farcela da solo, aveva bisogno di una band e dopotutto era il meno motivato del gruppo non era proprio il chitarrista Jay? Per lui, giovane maestro ammirato da tutti, fu facilissimo prendere il posto di un mediocre annoiato. E fu così che, dall’estremo anonimato in cui vivevano, i Christian Death divennero nientemeno che il nuovo gruppo del grande Rikk Agnew!
L’intesa con McGearty e Belanger fu subito ottima: era necessario comporre delle basi che fossero sì oscure e tenebrose, per assecondare le declamazioni mortifere di Rozz Williams, ma anche estremamente dinamiche, come contraltare alla sua voce monotona e monocorde. Furono quindi composte sette canzoni, fra le quali un bellissimo ballabile insieme romantico e lascivo, Romeos Distress, caratterizzato da un ritornello decadente e vorticosi crescendo. Forte della bellezza di questi brani, oltre che dalla sua invidiabile fama, Agnew riuscì ad ottenere un accordo con la Bemisphere, consociata della Enigma Records per le produzioni indipendenti.
I sette pezzi furono incisi forse un po’ troppo in fretta, in vista di un progetto discografico, un Ep, che poi si sarebbe chiamato Deathwish. Ma la Bemisphere cominciò a nicchiare... di gruppi interessanti ce n’erano molti, mentre i budget venivano continuamente tagliati... Alla fine l’etichetta decise di raccogliere il meglio di quanto stavano registrando i gruppi della sua scuderia (tra i quali c’erano i Social Distorsion, i 45 Grave e le folli tossiche Super Heroines di Eva “O” Ortiz) e di raccogliere tutto in un’unica uscita discografica, l’Lp-compilation Hell Comes to Your House. I gruppi, in compenso, potevano ritenersi proprietari dei nastri registrati.
Per i “difficili” (ai limiti dell’indigesto) Christian Death fu scelto un solo brano, che stranamente non fu il ballabile Romeo’s Distress, ma la non meno bella Dogs. Si trattava di un brano abbastanza pesante e magmatico, più del loro solito. Il ritmo era abbastanza lento, la percussione importante, il testo una declamazione su argomenti di odio/intolleranza reciproca dell’umanità. Caratteristica del brano era uno stacchetto reiterante di chitarra, con un bel fraseggio, che tendeva ad alleggerire (staccando, appunto) la monocorde parte vocale. Un piccolo capolavoro, che chiude con l’ultima parola cantata, «hell».
L’uscita di Hell Comes to Your House piacque a tutti (soprattutto a Rozz, che strinse una forte amicizia con Eva O), tranne che a Rikk Agnew: un genio come lui meritava ben di più che un pezzettino su un’oscura compilation insieme a degli sconosciuti! Offeso nel suo ego, si rivolse energicamente a Lisa Fancher, manager e fondatrice della Frontier, con le registrazioni di Deathwish alla mano. In effetti lei rimase piacevolmente meravigliata per questo stile così duro e magmatico, così pesante eppur così dinamico, che accettò di editare il primo Lp del gruppo. Ma le registrazioni non funzionavano, troppo poco curate in fase di produzione.
Fu così che i Christian Death si ritrovarono in sala d’incisione con tanta droga e uno dei migliori tecnici del suono che avesse mai collaborato con la Frontier: Thom Wilson, grande estimatore di Agnew oltre che alla consolle per tutti i suoi prodotti discografici. Dal canto suo colui che ora si faceva chiamare Rozz Williams aveva invitato alle seconde voci Ron Athey, suo amante e convivente oltre che collaboratore al folle progetto Premature Ejaculation, ed Eva O, pazza cantante e chitarrista delle tossicissime Super Heroines, oltre che nuova amica di Rozz e convivente coi due.
Alla sua uscita il disco non piacque a nessuno. Copertina nera, disegno in oro dello stesso Rozz e titolo artaudiano: Only Theatre of Pain. Certo, chi poteva sopportare una voce così viziosa e monocorde? Fu presto definita “moaning”: lamentosa, gemente. Eppure il disco si apriva con le campane d’introduzione a uno dei loro capolavori, Cavity - First Communion: un inizio lento, cadenzato dalla potente batteria di Belanger. L’apparizione della chitarra di Agnew, chiusa in una sorta di sordina sonica, dava una certa dinamica, sostenuta dall’ottimo basso di McGearty. È veramente la voce a rasentare l’insopportabile (per chi non era abituato, oggi tutti la amiamo!), ma al verso ripetuto «I’m crying out to be told to stand still» (grido perché mi dicano di stare fermo) subisce una rapida accelerazione e diventa una cavalcata indemoniata nella psiche di un esaltato misticheggiante. Allungati versi recitanti «blood», sotto pizzicati di chitarra, chiudono in un’atmosfera da incubo il brano, ma una strana tastiera cambiava la tonatità e l’ottima sezione ritmica, senza soluzione di continuità, partiva con la dinamicissima Figurative Theatre. Un post-punk veloce e ballabile, bello e visionario.
La succesiva Burnt Offerings era un altro piccolo capolavoro: basso ad aprire straordinariamente dinamico, al limite del funky, batteria fragorosa, chitarra effettata in mille rivoli sonori. La deboscia di un’orgia senza limiti raccontata con una vividità di immagini (ai limiti del buffo la celebre «sodomized and tired») che rese Williams il più grande poeta del genere dopo Lou Reed. Insomma, tutti bravissimi: la dinamica della sezione ritmica, la fantasia e l’acidità della chitarra, la poesia della voce. Campana a interrompere, segue l’assurdo titolo latino di Mysterium Iniquitatis, con cantato al contrario ovviamente blasfemo. Anche qui, dopo un inizio soffuso, il brano riprende quota ritmicamente, per i deliri antireligiosi di Rozz Williams sulla non esistenza di una città di Dio. La cosa pazzesca è che se i Led Zeppelin registravano al contrario i loro versi blasfemi, lui taglia la testa al toro: li canta direttamente così. Il brano comunque, fra vorticose accelerate e bruschi cambiamenti ritmici, è ancora una volta fra i loro capolavori (la prova di Agnew lascia allibiti, per la velocità con cui sciorina scale supersoniche), con tanto di ritornello che dà titolo al disco. Finale catartico-esplosivo. Chiude l'a-side Dream for Mother, una simpatica digressione sull’incesto, ma comunque culturale, con versi quali «I’ll introduce realism, the eye of the beholder» o «necrophiliac relationship during the freezin process» o ancora «palliations from a weaker sex», che chiude un brano da lasciare interdetti.
Ma il lato B non sarà da meno, anzi! Aperto dai campanellini che avevano chiuso l’A, attacca col riff di basso di McGearty che introduce Stairs-uncertain Journey: nè più nè meno che un inno a Lucifero (anche se truccato da invito ad andarsene e/o perire), scandito dalle trascinanti percussioni ai bonghi di Belanger. Coinvolgente, vizioso, mantramico, tribale, insomma questo gruppo sforna un capolavoro dietro l’altro! «Pray to the father / to the mother / who art in heaven», con finale che richiama ancora la città di Dio. Da brividi. Ma la musica non si interrompe, anzi Agnew irrompe con uno dei suoi celebri riff, per uno dei loro più potenti e dinamici post-punk di sempre, Spiritual Cramp. Anche qui tutta la rimica e la dinamica sono affidate alla bravura dei musicicsti. Rozz non canta, declama a tempo, i suoi versi misticheggianti e deliranti «children use their fingers intead of words, I’m using my fingers instead of words». Ma la chitarra si effetta psichicamente, un lontano riff di basso fa capolino, la batteria batte un ritmo danzereccio, ed eccola, è lei! Romeo’s Distress, romantica, vorticosa, veramente irresistibile! «What’s that moving in the basement?», «kiss on my hand / after dark hand for a kiss / after dark kiss on my hand» (cosa si muove in cantina? Baciami la mano, dopo l'oscurità la mano per un bacio, dopo l'oscurità baciami la mano) e le sensazioni vibrano, e le emozioni esplodono.
Che cosa, oltre? La fine del disco, affidata prima a Resurrection - Sixth Communion: un altro inizio lento e magmatico creato da un riff di chitarra, poi scandito dalla sezione ritmica, per un’altra allucinazione mistica. Qui il protagonista si sottopone ad ogni sorta di rituale, cerimoniale o pratica per la salvezza dell’anima («I’m waiting for / consummation / contemplation / confrontation / a place to lay my body down» recita il ritornello), per poi finire con un’accusa nei confronti della confessione, misero placebo, succedaneo dogmatico della resurrezione, in un finale delirantissimo per una chitarra vorticosa quanto mai. Poi la vera chiusura, e qui Rozz Williams impara la lezione della meravigliosa Lydia Lunch, a sua volta influenzata dai lunghi deliqui di Patti Smith: uno spoken word, ovvero un brano “a parola parlata", dove persino il suo finto cantato amelodico viene abbandonato per la pura declamazione recitata. Si tratta di Prayer (ma va? anche qui una tematica religiosa? che caso!), brano aperto da effetti psichedelici e grida lontane (ricorda vagamente l’apertura di Desperate Hell, contenuta su Deathwish ma qui esclusa, insieme alla title-track e a Dogs, l’unica conosciuta). Poi voci confuse si sovrappongono in versi perduti e frasi arcane, mentre una tastiera disturba orecchio e psiche. Echi e riverberi scavano in luoghi reconditi, altre effettistiche si sovrappongono, con i synth sempre più importanti, in scala di otto note. Fine a sfumare dopo 2 minuti e un quarto, ma qualche secondo dopo voci incise al contrario (ebbene sì, questa volta come facevano i Led Zeppelin!) chiudono seccamente un disco che quantomeno lascia interdetti.
Disco che alla sua uscita suscitò quasi esclusivamente fastidio, se non indifferenza. Almeno in un caso anche ostilità, visto che una copia fu distrutta in diretta televisiva in quanto esempio di musica satanista. La cosa, e qui bisogna dirlo, è assolutamente falsa. Non perché manchino richiami al diavolo o a varie pratiche occulte, per carità, ma perché il satanismo non è assolutamente la chiave di lettura di un’opera decisamente molto più articolata, profonda e complessa. Un’opera estremamente originale, che come mai nessun’altra fino ad allora aveva rappresentato l’anima umana nella sua dolente solitudine cosmica.
Insomma, qual è la morte cristiana? È quella dell’anima, che anela al sacro e che vorrebbe essere salvata, ma che purtroppo si ritrova prigioniera in un corpo che ha fame, soffre e vuole godere. Un corpo terrestre, come terrestri siamo tutti, in questa valle di lacrime. Allora che il corpo goda, in una sorta di pazzesco inno alla deboscia (in questo Williams fu veramente insuperabile); ma la lussuria, il piacere del corpo, per quanto bello e sistematicamente perseguito, non può che rappresentare dolore e senso d’angoscia per l’anima. Perché così è solo condannata a non perseguire più verità spirituali, paradossalmente lucidissima pur nella visionarietà delle forme poetiche con cui si esprime, condannata spiritualmente a morte. Si arriva così alle conseguenze estreme dell’esistenzialismo, quelle di tipo più ineffabile e ultraterreno, anzi non ci si sbaglia se si afferma che i Christian Death hanno creato una sorta di iperbole esistenzialista, in cui lo straniero è l'anima su questa terra, in questo corpo.

Eppure col tempo il disco, trascinato dall’irresistibile Romeo’s Distress, conoscerà un lento ma costante apprezzamento da parte di pubblico e critica, prima in America e poi anche in Europa. Anzi, nella sua terra d’origine Only Theatre of Pain arriverà a creare un nuovo genere: il death rock, una forma più estrema e spinta di rock gotico. Il gruppo, sotto l’esagitata e frenetica guida di Rikk Agnew, partì per una breve e leggendaria tournée promozionale, che lo portò ad uscire dall’anonimato, anche perché spesso oggetto di cronaca: scambiati troppo sovente per satanisti, capitava che gruppi di fondamentalisti cristiani d’ogni sorta manifestassero davanti ai locali, impedendo fisicamente l’accesso al pubblico!
Ma spinte da quantità sempre maggiori di droghe, nacquero presto anche le prime invidie e incomprensioni. Soprattutto la personalità esuberante di Agnew dovette presto rendersi conto che, seppure lui fosse il giovane genio ed il deus-ex-machina del gruppo, non poteva certo competere con una figura magnetica e veramente carismatica come quella di Rozz Williams. Insomma, sul palco il vero re era lui, con buona pace del veloce ragazzo prodigio! Ovviamente la situazione non poteva durare a lungo e Agnew mandò presto tutto all’aria facendo de facto fermare l’attività della band, nonostante il pronto reintegro di Eva O. Ma mal glie ne incolse: l’industria discografica, anche quella indipendente (Lisa Fancher in testa), si era presto stufata del suo carattere bizzoso e lo condannò inesorabilemente a una carriera minore, in salita e sempre un po’ in ombra.
Ma anche ai tre superstiti non stava andando meglio, con un Williams così preso dall’eroina da non riuscire più a concentrarsi, a comporre, quasi a cantare in pubblico. Fu Belanger il prossimo a mandare tutti al diavolo, inutilmente sostituito da un certo China. Purtroppo il gruppo era ormai allo sbando.
Insomma, avevano composto un album capolavoro per poi mandare tutto in vacca. Perché erano giovani ed erano geni... ma questo era il senso delle cose.