Per la seconda volta in
due anni la stagione fu aperta da un capolavoro dei Simple Minds!
Anzi, più precisamente da due capolavori, o forse da un capolavoro
e mezzo, ma andiamo con ordine.
Sembra incredibile come spesso, nel mondo del rock e affini, le cose
si ostinino a prendere strane pieghe. Con Empires and Dance
i Simple Minds si erano rivelati uno dei gruppi più validi della dark-wave
britannica, il disco aveva venduto, era piaciuto tantissimo e, come
capita spesso ai grandi, agli elogi aveva visto accompagnarsi critiche
ed accuse (di cui la più assurda ed infamante fu di consumatore
di sostanze stupefacenti lanciata a Jim Kerr). Eppure la casa
discografica, la Zoom per la Arista, continuava a dare problemi. Probabilmente
la Arista non credeva più nella sua stessa micro-etichetta, la (troppo?)
coraggiosa Zoom, e stava mano a mano tagliando i budget. Insomma,
lLp non veniva distribuito, nonostante il gran vociare che provocava
un disco di quel tipo, e ciò teneva forzosamente basse le vendite.
I cinque fecero quindi guerra alla casa discografica, con un Jim Kerr
inferocito che minacciava di sciogliere la band. Alla fine lArista
li liberò dal vincolo contrattuale che li legava, rimanendo tuttavia
proprietaria dei tre album fino ad allora pubblicati, al fine di ripagarsi
dei debiti accumulati dal gruppo. Rimasti soli, senza produttore,
manager né casa discografica, ai cinque il destino aveva però riservato
un inaspettato colpo di fortuna: grande fan di Real to Real Cacophony
ed Empires and Dance si era rivelato né più né meno che sua
maestà Peter Gabriel, il quale assolutamente li volle come spalla
al suo prossimo tour. Anche grazie alla nuova fama così raggiunta,
non fu un problema per loro contattare nuove case discografiche, raggiungendo
alla fine un accordo con la più coraggiosa delle indipendenti, così
coraggiosa e di successo che stava ormai trasformandosi in una vera
e propria major: la Virgin.
Questultima, nellaprile dell81, assegnò alla band
un produttore deccezione: Steve Hillage, famoso per il suo passato
fricchettone con i Gong, ma attualmente grande estimatore dei suoni
elettronico-teutonici di Neu e Can. Loro erano sempre loro: Jim Kerr
ad una voce sempre più calda ed avvolgente, Charles Burchill ad una
chitarra da trip lisergico meccanizzato, Michael McNeil ad una tastiera
da incubo futurista, Derek Forbes ad un basso metronomico doltretomba,
Brian McGee a tamburi industrial-tribali. Con Steve Hillage il feeling
fu tale che negli studi di registrazione ebbero origine vere e proprie
sessioni-fiume, ove la creatività sgorgava incontrollabile. Ebbene
sì, furono le mitiche Sons and Sister sessions! Sessioni
di registrazione così prolifiche che la Virgin dovette addirittura
intervenire per interromperle e scartare aprioristicamente i brani
giudicati meno interessanti (nel frattempo uno, The American,
fu pubblicato come singolo a fine maggio). Tuttavia ne rimasero ancora
moltissimi e lì per lì si decise di uscire con un doppio album.
Eppure la casa discografica intervenne ancora: i Simple Minds erano,
a suo parere, un progetto ancora troppo nuovo ed audace per rischiare
su di essi i costi di un doppio Lp. Si impose quindi una scelta: quali
brani salvare e quali gettare giù dalla rupe? Nacquero
liti e discussioni interminabili e la tensione fu tale che Hillage
fu ricoverato in ospedale per palpitazioni cardiache e,
purtroppo, dopo breve tempo, anche il batterista Brian McGee, stanco
e stressato, lasciò la band.
Venne comunque selezionato un gruppo di brani giudicati migliori (chissà
in base a quali criteri...) e finalmente, nel settembre del 1981,
Sons and Fascination fu disponibile nei negozi. Tuttavia chi
si affrettava ad acquistarlo veniva premiato con un secondo Lp, fratello
(o, forse meglio, sorella) minore (?) del precedente,
Sister Feelings Call. Come prevedibile, il successo di questultimo
fu tale che in breve tempo i due dischi vennero venduti separatamente
come album a sé stanti.
Copertina modernissima,
sfocata ed urbana per eccellenza, Sons and Fascination apriva
con uno dei suoi numeri migliori: quellipnotica e paranoica
In Trance as Mission che non faceva assolutamente rimpiangere
i tempi di Empires and Dance! Il basso, ripetitivo allangoscia,
strutturava ritmicamente un brano che apriva, con chitarra e tastiere,
a strane atmosfere quasi solari. Anche la voce... era sì bassa e oscura,
ma stranamente dolce e comunicativa. Dura poco: cambio di accordi,
scala discendente, «dream a dream a, courage of dreams, in trance
as mission, in trance, trans-American» e avanti così nella ripetitività
più oscura e alienante.
Poi, improvviso, uno scatenato ritmo funky. Una discoteca del futuro?
Sì, ma urbana ed, anchessa, alienante. Una danza elettronica,
esistenzialista e a suo modo suo elegante, col bellissimo ritornello
«Rolling and tumbling / ambition in motion / rolling and tumbling
/ she's sweating bullets» (rotolando e ruzzolando, ambizione in movimento,
lei suda proiettili). Si tratta della
viscerale Sweat in Bullet da cui sarà addirittura tratto un
singolo (il terzo), un momento psico-tronico che però fa da preludio
ad un primo
come dire? Raggio di sole? Momento di respiro? In
effetti 70 Cities as Love Brings the Fall apre con un bellissimo
accordo di tastiere, poi un suono elettronico assurdo, come un muggito,
ad introdurre un cantato quasi normale, quasi ottimista. Per carità,
non è un brutto brano, anche il ritornello sincopato è molto piacevole
e il bridge che lo segue torna alle atmosfere oscure abituali, ma
certamente i 5 dimostrano di cercare qualcosa di diverso. Il brano
comunque è molto bello e straniante, potente eppure disperato, con
quel suo stranissimo muggito
Una percussione da incubo marziale fa ripiombare il disco in atmosfere
torbide, benché il buon Jim Kerr tornerà ancora solare. Si tratta
di Boys from Brazil, brano famoso per la sua melodia dolce
e ripetuta mille volte, su un tappeto percussivo ossessionante. Il
finale leggermente psicotico nobilita non poco. Poi il capolavoro
commerciale, oltre che secondo singolo, dellalbum: effettaccio
elettronico ad introdurre un ritmo danzereccio irresistibile. La tastiera
fa da ombrello ad una chitarra effettatissima e scatenata. Epico e maestoso
Kerr attacca la bella melodia di Love Song, ballabile molto
più elegante e meno esagitato, sebbene forse anche meno innovativo
di I Travel. «Stay below, shout below, flesh of heart, heart
of steel». Bravi!
Poi, delizia per orecchie elettroniche, latmosfera si fa sommessa
e soffusa. Le tastiere regnano sovrane, benché non manchi una stranissima
chitarra acidula in sottofondo (nella scelta dei suoni i Simple Minds
erano maestri, soprattutto se coadiuvati da Hillage) e ipnotiche percussioni
quasi caraibiche, su un lavoro di basso molto articolato e complesso.
Si tratta di This Earth you Walk Upon: una melodia lenta, maestosa
e ipnotica sui temi della fraternità degli esseri umani, che permette
a cuore e cervello di viaggiare lontano. E che dire dellemozionante
assolo di chitarra centrale? Uno dei loro capolavori assoluti (e forsanche
sottovalutati). Lemozione va a sfumare.
Il disco procede con il brano omonimo, Sons and Fascination,
decisamente un ritorno ad Empires and Dance. Un brano oscuro
e difficile, mentale ed elettronico, coinvolgente e straniante come
solo loro sapevano fare. Come a dire: noi in questo siamo insuperabili,
e non ci siamo traditi. Però stiamo anche cercando cose nuove.
Fortunatamente queste cose nuove non compariranno nellultimo
brano dellalbum, Seeing Out the Angels, forse non un
vero capolavoro (è più ripetitivo che ipnotico), ma meravigliosamente
sostenuto da una tastiera aperta, un basso pulsante in bella evidenza
e una percussione bassa e leggermente ossessiva. Loscurità permane,
anche nella perdita di speranza del testo.
E, sempre fortunatamente, queste cose nuove non la faranno
da padrone neppure sul contemporaneo Sister Feelings Call, che contiene brani
assolutamente allaltezza dellalbum gemello. Eppure fu
fatto per apparire minore: copertina dimessa (stesso stile ma monocromatica),
un brano in meno e due strumentali, di cui uno è semplicemente una
reprise. Ma il disco si apre in maniera super-dinamica e danzereccia
proprio con uno strumentale, Theme for Great Cities: una tastiera
lontana, quasi in sordina, disegna la linea di accordi, poi fragorosa
entra la sessione ritmica con la chitarra, per un irresistibile funky
tecnologico del futuro. Una variante solare e aperta concede momenti
di esaltazione.
Ottimo brano, ma Sister Feelings Call, ha ben altri assi nella
sua manica. Parte infatti subito dopo un altro dei brani più famosi
del periodo: il già sentito singolo The American. Cassa a martello,
basso ancora funkeggiante (Derek Forbes era uno dei pochi tranquillamente
paragonabili a Jah Wobble, il primo mitico bassista dei PIL), voce
seria. Il ritornello ripete «uh, ameri- ameri- ameri- ameri- american»,
il ritorno è deflagrante. Il brano, nel termine, vira verso uno splendido
assolo di chitarra elettro-funky, così incisivo e pungente da non
avere pari della new wave britannica.
Ma non cè il tempo di tirare il fiato, la successiva 20th
Century Promised Land incalza col suo ritmo avvolgente e la sua
tastiera cadenzata. Brano bellissimo, certo, però
anche qui
emergono certe atmosfere
come definirle, epiche? Solari? Che
in questo contesto possono anche andar bene, ma che purtroppo (e la
maggior parte dei lettori lo sa benissimo) saranno la tomba dei Simple
Minds già dal successivo lavoro discografico. Meglio il finale, percussivo
allangoscia. Ma certamente meglio sarà la successiva Wonderful
in Young Life: ritmo nevrotico sul rullante, voce sotto, atmosfera
nervosa ai limiti del fastidio, ma variante più rilassata e quasi
riflessiva. Forse neanche in questo caso siamo di fronte al capolavoro,
ma la serietà e il talento di Jim Kerr e soci fanno veramente impressione.
Ad atmosfere depresse si tornerà con la successiva, funerea League
of Nations. Sì, latmosfera incede cupa ma sempre stranamente
nervosa, tra stranianti percussioni elettroniche ed un orientaleggiante
(e bellissimo) riff di sintetizzatore, supportato da un basso funky
tanto rasente al fretless da far invida a Mick Karn dei Japan! Solo
dopo un po entra la voce, bassa, solenne e tenebrosa. «League
of Nations
relief! Relief! Relief!», nullaltro, sembra
quasi di sentire i Joy Division in salsa elettronico-tailandese. Questo
brano meravigliosamente dark fu inspiegabilmente escluso dalla versione
su Cd di Sister Feelings Call che, una volta di più, fu costretto
a risultare secondario rispetto al fratello maggiore.
Tuttavia lo spazio/tempo sul supporto ci sarebbe stato, questesclusione
rimane dunque ingiustificata. Solo recentemente, nel 2003, la riedizione
rimasterizzata su Cd renderà giustizia allintero progetto.
Due brani chiudono il disco: il primo è il capolavoro Careful in
Career, molto elettronica, ma col bellissimo riff chitarristico
che la apre e la struttura, seguito dalla scala discendente di violoncello.
Latmosfera cambia spesso, conosce momenti deliziosi e diversi,
ma elettronica e archi (forse sintetici) non tolgono mai al brano
unaria inquieta e sinistra. «Pouring in ecstasy / In performance
or in ecstasy», in una delle performance (appunto) più intense di
Kerr: «Ive come so far already», ancora bravi! Laltro,
Sound in 70 Cities altro non è che la versione strumentale
di 70 Cities as Love Brings the Fall. Leggermente più lungo
di quello cantato, il brano ne evidenzia la ricchezza dellarrangiamento,
oltre alloriginalità spiazzante dellassurdo muggito sintetico.
Insomma, le Sons and Sister
sessions diedero origine ad una coppia di capolavori. Ed i Simple
Minds conobbero le luci della celebrità. Col vento in poppa delle
vendite degli Lp, per non parlare di quelle dei due singoli The
American e Love Song, si trovarono un nuovo batterista
e partirono in tour in Inghilterra, Canada e Australia (paesi in cui, addirittura,
i due singoli avevano toccato i primi posti delle charts ufficiali).
E il vento del successo, della celebrità, della sicurezza soffiò anche
nei loro cuori. Nel marzo del 1982 apparve il nuovo singolo, Promised
You a Miracle, dallottimismo e dalla solarità ai limiti
dello stucchevole: le cose nuove di cui sopra. Nellestate
di quellanno il nuovo Lp, New Gold Dream (81, 82, 83,
84), che certamente non aprì la stagione dark. A molti appassionati
della new wave inglese quel disco piacque ancora moltissimo, così
intriso di elettronica suadente e affascinante. Secondo chi scrive,
e secondo ogni dark che ami definirsi tale, a parte la title-track
e poco altro il disco è da buttare: con gli stessi suoni faranno (leggermente)
meglio nellalbum dopo, Sparkle in the Rain.
Ma a parte il fatto che quello fu veramente il canto dal cigno, e
la commercialità (oltre allinconsistenza artistica) dei
lavori successivi non fece altro che dimostrarlo, ciò che fu veramente
grave era la fine di unepoca.
I Simple Minds dark erano definitivamente scomparsi. Peccato.
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