Certo, lo spettacolo dei
Boys Next Door era sicuramente qualcosa di gotico, nonostante il deludente
risultato dellalbum Door Door. Vestiti di nero, con i
capelli dritti in piedi o scarmigliati, sul palco i cinque erano una
vera forza brutale della natura, degli Stooges con venature sinistre.
Phil Calvert, biondo e allucinato, sembrava una macchina indemoniata
ai tamburi, Tracy Pew, perennemente sotto leffetto delleroina,
imbracciava il basso ondeggiando inebetito e selvaggio, Mick Harvey,
freddo e cerebrale, sembrava quasi non esserci: osservava il pubblico
(o lo stesso spettacolo che i suoi compagni stavano mettendo in scena)
con distaccata e allucinata ironia.
Ed i due leader? Rowland S. Howard, luomo-chiodo (per magrezza),
perenne sigaretta in bocca, occhio a palla, si contorceva in modo
inquietante emettendo i suoni più strazianti dalla sua chitarra, o
eventualmente anche dal sax, mentre Nick Cave era un vero animale
scatenato: saltava, ululava, assumeva a volte pose plastiche e a volte
scimmiesche, con tutto il corredo di grida gutturali e gesti minacciosi.
Per il pubblico un loro concerto era una via di mezzo fra estasi e
tortura.
Per questo il loro manager, Keith Glass, proprietario del negozio
di dischi Missing Link volle assolutamente che incidessero un nuovo
Lp: Door Door non li rappresentava neanche da lontano. In effetti
la produzione fu affidata alla micro-etichetta interna di Missing
Link, che era però agguerrita, ben distribuita nellunderground
australiano e con ottimi contatti nella lontana Inghilterra.
Richiamato il tecnico del suono Tony Cohen, con cui avevano già ottimamente
lavorato per gli ultimi quattro brani del loro precedente album, i
ragazzi si richiusero in sala di registrazione nellautunno del
79, lasciando libero accesso alla droga e alla creatività.
Il risultato fu pubblicato a fine novembre
di quellanno: si trattava dellEp Hee-Haw, che suona
come litaliano hi-oh, il raglio dellasino.
La raffinata copertina a tinte pastello certo non poteva far immaginare
il contenuto del disco, decisamente esplosivo per la tranquilla scena
australiana di allora. Una sventagliata aperta di chitarra seguita
dal ritmo pulsante del basso lasciato solo introducono A Catholic
Skin, brano massiccio e dallincedere quasi marziale. La
voce di Nick rispetto a Door Door è più libera nei suoi gorgoglii
malati, così le chitarre di Howard e Harvey sono più ficcanti e distorte
nei loro riff beffardi. Effetti elettronici, echi e riverberi sulle
voci, il brano però finisce un po presto.
I sassofoni di Harvey segnano la melodia sghemba della successiva
The Red Clock, creando una strana atmosfera da paura. La voce,
dopo la prima melodia, scende in una sorta di coro basso e minaccioso.
Il brano, tuttavia, non è mai incombente o claustrofobico, ma con
le sue scale irregolari e col suo tempo ben scandito dal giro di basso
di Pew mantiene sempre una certa leggerezza. La parte finale attacca
con pseudo-assolo di chitarra distorta e batteria frenetica e reintroduce
i sassofoni che porteranno al termine. Però poi la chitarra beffarda
come una zanzara intona uno strano giro frenetico, finché fragorosa
non entra la sezione ritmica. Pausino, si ricomincia, poi entra anche
una voce alta e a singhiozzo: si tratta della pazzoide Faint Heart,
dove la voce si libra in tutte le direzioni della follia («alone in
the dark» è il refrain) e il ritmo sotto è frenetico e incalzante
ma spezzato e irregolare. Un punk folle che poi viene interrotto da
suoni inarticolati e in libertà, in una sorta di pausa dalla ragione.
Rumori patafici, suoni casuali, ma ecco, da lontano, la chitarra-zanzara
e il brano riprende la sua folle corsa fino alla fine.
Sassofoni distorti e fuori scala con chitarra straziata introducono
Death by Drowning, che però assume subito un tono basso e molto
dark, con batteria marziale. La voce sussurrata, quasi suadente, parla
di ricerca di aria e del dolore di una morte orribile, soprattutto
quando il pezzo sale di tono e il sax acutissimo e distorto disegna
un riff beffardo tipico loro. Lacuta distorsione del sax raggiunge
il parossismo poi il pezzo torna tranquillo e minaccioso per un secondo
giro. Ma in seguito la chitarra assume il suo ruolo e la voce spastica
di Nick grida per poco i suoi deliri, poi tutto torna come prima,
per lultimo, devastante giro. Bellissima!
Lultima The Hair Shirt è il pezzo forte del disco: un
inizio sostenuto ma quasi normale, finché il grido strozzato e inarticolato
di Nick fa partire la terribile macchina ritmico-rumorista dei cinque
in una cavalcata mozzafiato. Per un attimo la voce torna intonata
e appassionata come nel precedente album, ma in un contesto
diversissimo. Stacchetti, pause tattiche, non fanno che aumentare
leffetto trascinante del brano, soprattutto quando la chitarra
è libera di sventagliare a piacere. Altre voci distorte e torturate
si aggiungono, in un brano libero e selvaggio quasi un prototipo del
marchio di fabbrica di Cave. Anche se lallucinante parte di
chitarra al terzo minuto è tutta opera di Howard
Si può tranquillamente affermare che Hee-Haw stia a Door
Door come la seconda parte di quel disco stava alla prima, anzi
forse il contrasto è ancora maggiore. Finalmente i Boys Next Door
erano riusciti ad esprimere compiutamente il loro devastante potenziale!
Eppure la cosa non servì a molto. Il disco passò quasi inosservato,
apprezzato con sufficienza dalla parte più radicale dellunderground
australiano. Per i Boys la delusione fu grande. LAustralia non
li amava particolarmente: ricca e benestante, con uneconomia
in continua espansione, sembrava proprio non avere bisogno di loro.
Era leterno confronto fra apocalittici e integrati, che stavolta
andava loro contro.
La decisione, con Glass, fu quindi presto presa: bisognava trovare
il coraggio a due mani ed affrontare lavventura in Inghilterra.
Laggiù la musica era in pieno fermento, un posto per loro ci sarebbe
sicuramente stato.
I Boys Next Door diedero il loro
ultimo concerto nella terra natia il 16 febbraio 1980, al Crystal
Ballroom. Per quella data avevano preparato anche il loro nuovo 45
giri, dato gratuitamente agli astanti. E fu ancora sorpresa. Il lato
A, Happy Birthday, iniziava ancora con chitarre in libertà,
fino allingresso devastante di un enorme Tracy Pew e dalla batteria
precisa e scandita di Calvert. La voce sembrava ordinata anche se
lievemente ossessiva («Its a very happy day / We are at lots
of fun fun fun / And its ice-cream and jelly / and a punch in
the belly»), fino ad un vocalizzo allucinato in alto. Poi lassurdo
ritornello, con coro call and response irresistibile e grida
scimmiesche del cantante. Poi la chitarra si perdeva in suoni inarticolati
e psico-elettronici, mentre sotto Pew procedeva inamovibile col suo
ipnotico giro. Una rullata di tamburi ed il brano riprendeva impetuoso
fra grida gutturali e chitarre straziate, fino allorgia vocal-tribale
del finale «running round the house».
Happy Birthday era un vero esempio di musica selvaggia e rivoluzionaria,
pur rispettando una struttura precisa (e a modo suo orecchiabile)
e la tradizione del call and response. Fu uno dei loro capolavori,
da allora immancabile dal vivo. Il pur piacevole retro, Riddle
House, con chitarra in reggae distorto e voce adulta, non lasciò
nessuna traccia di sé. Da notare comunque lassolino centrale
per oboe arabo, una chicca del bassista Pew, che una volta tanto prendeva
il posto del polistrumentista Harvey.
Col cuore gonfio di una delusa
amarezza, i cinque ragazzi abbandonarono lAustralia alla volta
di Londra, con grandi speranze e nessun rimpianto. La storia saprà
come ricompensarli.
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