Curiosamente un genere minore
degli anni 70, il cosiddetto kraut rock, diede origine alla musica
tenebrosa di maggior valore del decennio, ben oltre le volgarità un
po pacchiane di certo hard rock prima e certo heavy metal dopo.
Nei primissimi 70 nacque in Germania (da qui il termine canzonatorio
kraut) unincredibile e fiorentissima scena di rock
elettronico e/o sperimentale. Gruppi come i Popol Vuh ed i Can, per
non parlare degli psichedelici Amon Düül, segnarono una vera e propria
primavera creativa nella terra di Goethe, creando una scena che per
inventiva ed innovazione non avrà più uguali. Molte di queste band,
influenzate anche da certo pessimismo cosmico di molti
filosofi tedeschi (da Schopenauer a Nietzche), indugiarono in toni
depressi o finanche funebri, ma qui vogliamo focalizzare lattenzione
sullopera della più tenebrosa (anche se effimera) di tutte loro:
gli epigrammatici Faust, gruppo che si è meritato lappellativo
di meno romantico del mondo.
Nati nel 1970, dei musicisti si sa pochissimo,
quasi neanche i nomi, a causa del loro estremo riserbo. Il primo disco
del 1971 da subito libero sfogo alle loro boutade soniche,
ispirate tanto da Zappa quanto dal cabaret brechtiano, ma intrise
di una drammaticità ed una cacofonia tanto oscure quanto minacciose.
Il brano
(in realtà si tratta di una lunga suite musicale completamente sconnessa)
capolavoro è Miss Fortune, con un inizio tribale e chitarre
jazzate e psichedeliche. Segue un silenzio spettrale e poi una cantilena
da muezzin accompagnata da un piano beffardo, in crescendo fino alla
baraonda più tempestosa ed indistinguibile. Poi il tutto si placa,
lasciando solo il canto di un pazzo e gli echi del corridoio della
sua prigione (con un piano ancora più crudele). Dopo altra cacofonia,
il tenero finale: due voci parlano una parola a testa, dal lancinante
primo verso are we supposed to be or not to be?: probabilmente
limmagine più angosciante del rock tedesco.
Per altri due dischi i Faust non fecero (o fecero poca) storia. Il secondo,
So Far (del 72) è molto meno esplosivo ed iconoclasta, sebbene
forse non meno dissacratorio e zappiano, e comunque con
la bella e paranoica Its a Rainy Day. Il terzo fu una
sorta di raccolta di primi demo, intitolato infatti Tapes. E
il più raccomandato per chi ha amato il caos cacofonico del primo
album ma, trattandosi appunto di prove, aggiungono assai poco al loro
percorso artistico.
Molto più calmo e musicale sarà il quarto album (semplicemente intitolato
Faust IV), del 1973. Ai fini del presente testo i brani più significativi
sono la suite iniziale Krautrock (titolo decisamente autoironico)
e la depressissima e tenue ballata Jennifer. Il primo, come
si diceva, è una sorta di suite musicale simile (rispetto al resto del disco) alle loro prime
sperimentazioni: una sorta di raga indiano emerge da una nota sepolcrale
bassa e cupa, ma i suoni, magmatici e distorti, poco a poco crescono
fino alla deflagrazione psico-sonica più devastante.
I Faust si scioglieranno subito dopo, totalmente ed assolutamente
ignorati da pubblico e critica. Ma come per molti altri antesignani
del suono oscuro (Velvet Underground o Nick Drake o ancora High Tide),
le poche tracce della loro presenza ed i pochi sinceri appassionati
della loro musica tenebrosa ne terranno vivo il culto, praticamente
fino a costringerli a successive reunion e ad assegnar loro il posto
che meritano nella storia del rock. Cioè quello di massimi cultori
del cupo, esteti della paura e dellorrido, del triste e del
lurido.
Ma
non sarebbe giusto concludere con loro il discorso sul kraut rock.
Persino il gruppo di punta del genere, quei celeberrimi Kraftwerk
che raggiunsero il successo internazionale con Trans Europe
Express, hanno avuto un passato depressoscuro. Si
ascoltino i primi due album (Krafterwerk I e II, entrambi del 70)
per credere: cacofonie notturne, elettronica minimale e fatta in casa
di suoni cupi e rumori molesti. Accelerazioni di tempo che creano angoscia, percussioni
elettroniche dalla freddezza glaciale. Il quartetto tedesco autore
di queste prime perle di desolazione era costituito da Ralf Hutter
alle tastiere, Florian Schneider a flauto e violino e dai percussionisti
Michael Rother e Karl Ginger.
Quando i quattro si separarono, i primi due iniziarono la fortunata
carriera dei Kraftwerk di successo con il più armonico
e solare, appunto, Ralf & Florian (1973); gli altri due fondarono
i Neu. Inutile dire che furono proprio i due defezionari a dare il
tono lugubre dei primi due album del gruppo madre, ascoltare i tre
LP a nome Neu per credere: estremisti del rock nero-tecnologico, il
duo ha creato un nuovo
genere senza voce né tastiere (almeno per il primo album). Lunghe
suite si succedono sinistre, composte principalmente di percussioni
elettroniche di ogni tipo sovrapposte solo da feroci e ripetitivi
riff elettrici. Unesperienza devastante.
Ma gli stessi Ralf e Florian non rimasero immemori del loro passato
tenebroso. Nel 77, praticamente allapice del loro successo,
su Trans Europe Express appunto, i Kraftwerk aggiunsero due perle
nere: una di depressione catatonica ed una di ossessione tecno-robotica.
La seconda preziosa canzone dellalbum, The Hall of Mirrors,
parla in tono catacombale, monotono ed ipnotico del nostro rapporto, quantomeno
schizofrenico, con l'identità riflessa. Mentre la successiva Show-room
Dummies è lallucinata paranoia di manichini che prendono
vita, novelli zombie tecnocratici. Due brani che reggono perfettamente
il confronto con le migliori produzioni di stampo gotico, incoronando
il gruppo ed il kraut rock tutto al ruolo di grande anticipatore non
solo del dark in sé, ma anche di quella sua importantissima costola
affermatasi nella seconda metà degli anni 80 e conosciuta come industrial.
indice
- avanti