CLAN
OF XYMOX
+ DIVE + INSTITUT
ROMA - Black Out, domenica 28 marzo 2004
Non
sapevamo bene cosa aspettarci da questo concerto. Sensazione
niente affatto spiacevole, non fraintendeteci, molto simile
a quell'euforica impazienza che si prova di fronte ad un libro
nuovo che non si vede l'ora di divorare, o, se ci passate
l'espressione prosaica, dinanzi ad un appetitoso manicaretto
fumante dopo un lungo digiuno. Neanche le varie peripezie
per raggiungere il locale sui mezzi pubblici romani sono riuscite
a smorzare l'entusiasmo con cui siamo entrati in un Black
Out ancora mezzo vuoto. Uno sguardo d'obbligo al (sempre più
caro) merchandising e poi via ad accaparrarsi i posti migliori
sotto il palco guardandosi un po' in giro per occupare il
tempo dell'attesa. Non la solita gente, intorno: non le solite
teen-agers darkettone (versione gotica delle fans più accanite
di qualche boy-band di Mtv), né gli appariscenti e pomposi
vampiri che affollano le varie "gothic nights" della capitale.
Al loro posto, persino un nutrito numero di attempati nostalgici
dei "mitici" anni '80 (cosa che non fa che confermare la già
diffusa impressione che gli appassionati frequentatori delle
cosiddette serate "dark" non lo siano altrettanto dei concerti
del genere).
Giusto il tempo di formulare questi pensieri che il concerto
inizia, inaspettatamente senza neanche troppo ritardo (cosa
che, dopo le 2h di attesa che avevamo sopportato per vedere
gli Einstürzende Neubauten, non può che farci immenso piacere!).
L'apertura
della serata è affidata agli svedesi Institut (oggi una one-man-band
dopo la defezione di Johanna Rosenqvist avvenuta lo scorso
anno) che con il loro industrial / power noise estremo e qualitativamente
ben al di sopra della media hanno iniziato a sconvolgere gli
animi dei presenti, alcuni dei quali visibilmente non preparati
a subire simili attacchi sonori. Un muro pseudo-musicale di
rumore e ritmi alienanti si è infatti abbattuto come un'insostenibile
massa di suono sulla folla, quasi come una devastante ed inarrestabile
marea che spazza via ogni cosa lungo il suo cammino, annichilendo
e schiacciando fin nelle ossa ogni forma di vita incontrata.
Musica capace di procurare quasi un dolore fisico, su cui
inquiete ed incessanti si vengono a stendere le urla di Lirim
che, nonostante la sua aria un po' sperduta da bonario impiegato
statale, riesce a trovare un'infinita energia capace di esprimere
quella rabbia e quella desolazione che si annidano e si contorcono
da sempre nell?animo umano e che necessitano di essere liberate,
pena l'auto-condanna ad una morte interiore. A questo ossessionante
tappeto rumoristico ben si sposano le immagini che vengono
proiettate alle spalle dello svedese, ideale trasposizione
visiva confusa e volutamente distorta del delirio sonico portato
sul palco: quasi frutto di visioni o interferenze impazzite
provenienti da qualche mondo in rovina, il video non sembra
avere una logica se non quella di adattarsi come estetica
e "mood" ai vari pezzi, nell'idea che tutto, immagini
comprese, possa venire a formare un unico immenso affresco
industriale. Certamente, questo non è un genere musicale che
brilli per fruibilità, specie se proposto dal vivo (e la riprova
è come i tentativi di Lirim di coinvolgere il pubblico facendolo
urlare assieme a lui dentro il microfono non siano propriamente
riusciti); resta il fatto che i trenta minuti di set proposto
sono stati vissuti, pieni, completi.
Qualcuno
che invece riesce a trascinare l'audience con estrema facilità
è proprio Dirk Ivens dei Dive, piacevole sorpresa della serata.
Che sia per talento naturale o per l'esperienza dovuta a più
di venti anni di militanza in innumerevoli gruppi e progetti
della scena elettronica/ industriale (dai seminali Klinik
ai più noise e "tribali" Sonar), la presenza sul palco e l'impatto
visivo del frontman belga sono tali da non fare assolutamente
rimpiangere l'assenza di altri musicisti o strumenti sul palco.
Con Dive viriamo verso canzoni vere e proprie, contraddistinte
da una matrice matrice rumoristico / industriale sempre predominante
ed incisiva, ben lontana dai ritmi danzerecci ed accattivanti,
anche se spesso abusati dell'ebm. Con le sue movenze e la
sua capacità di interpretare ogni brano, il signor Ivens ha
il pregio di saper rendere "vivo" ed intenso un concerto altrimenti
glaciale nei suoni e un po' troppo omogeneo nelle strutture
musicali e nell'utilizzo delle luci (onnipresenti strobo sicuramente
d'effetto, ma autentica tortura per chiunque porti delle lenti
a contatto!), creando un quadro ben più vicino ad una rappresentazione
teatrale che non ad un semplice concerto in un locale. Il
pubblico sente quando un artista sta vivendo la propria musica
e non semplicemente svolgendo il proprio lavoro ed è quello
che spesso fa la differenza.
Punto
quest'ultimo che forse dovrebbero imparare gli head-liners
della serata, i tanto attesi Clan of Xymox., autori di uno
show schizofrenico e diviso tra la potenza delle basi
(che mettevano addosso veramente una gran voglia di ballare)
e la staticità del gruppo on stage, letteralmente da sbadiglio.
Le melodie di chitarra sembravano un morbido cuscino per i
volti del Clan qui riunito, tanto erano inesistenti e poco
graffianti e la statuaria (più per la sua immobilità che per
altro) bassista Mojca si segnala nell'indolenza generale per
esser riuscita ogni tanto a produrre uno stanco sorriso sul
volto, unico segno di vita di qualcuno che sembra più pensare
alla cena che alle linee essenziali di basso, davvero troppo
essenziali. Lo stesso Ronny Moorings, esageratamente calato
nella parte del frontman carismatico, ci dà l'idea di star
partecipando allo spettacolo con la stessa voglia che avrebbe
un ragazzino di cimentarsi con i compiti per le vacanze in
una bella giornata di sole, per non parlare della tastierista-bella-statuina
che continuava a fissare il vuoto con uno sguardo tra il languido
e il completamente sperduto. Forse l'hanno portata per la
sua bellezza, chissà. Uno spettacolo freddo, dunque, come
se i raffinati autori di dischi del calibro di "Clan of Xymox"
e "Medusa" (che sono certamente una pagina nella storia del
cosiddetto "dark" ) dovessero / volessero mantenere un'algida
eleganza anche dal vivo, oppure semplicemente non riuscissero
a rendere in versione live l'impatto di brani come "A day",
il cui epocale riff di chitarra sembrava scivolare con poca
convinzione giù dal palco. Neanche classici come "Michelle"
si sollevavano dalla piatta staticità generale. Con "Back
door", il Clan sembra riprendersi un po' e "Jasmine and rose",
con la voce di Mooring quasi eldrichtiana, e la storica ed
articolata "Louise" lasciano sperare in un prosieguo migliore
del concerto. Ma queste son solo pie illusioni, gli altri
pezzi, da "There's no tomorrow" fino ad arrivare a "Innocent"
e "The bitter sweet" dal poco convincente "Notes from the
underground" e a "Farewell" dall'ultimo omonimo album, si
susseguivano con i loro arrangiamenti maturi e sofisticati,
ma senza quel sentimento capace di rendere un concerto un'esperienza
che valga la pena vivere.
Lasciamo il Black Out con molti buoni ricordi dei primi gruppi
sentiti, ma anche con una spiacevole sensazione di incompiutezza,
come se nei nostri cuori fosse rimasto ben poco di quell'ora
e mezza in compagnia di un Clan simile ad una donna splendida
quanto gelida e senza cuore. Un compitino ben fatto, dunque,
ma del tutto privo dell'ingrediente più importante: la magia.
(testo by: I Lupi di Winhall)
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