WIRE
@ circolo Magnolia, Milano. 25 Luglio 2017
Testo e foto di Gianmario Mattacheo
Non l'hanno ancora perso il filo gli Wire che al Circolo Magnolia
di Milano sono pronti per la prima di due tappe italiane, inserite
in un world tour, promozionale di "Silver/lead", uscito solo qualche
mese fa.
Il Magnolia rimane un accogliente luogo di concerti da gustare nelle
serate estive, attraverso gli ampi spazi verdi, le aree ricreative
e gli immancabili stand gastronomici. Alle 21.30 il pubblico è in
parte sorpreso ed in parte divertito, quando si trova davanti a
tre metallari vestiti con maschere bondage (o qualche lottatore
di Wrestling alla Ray Mysterio, scegliete voi) che pone in essere
una musica distante anni luce da quella che sarà proposta dagli
headliner: scelta discutibile da parte dell'organizzazione!
Dopo questa nota di colore, Colin Newman, Graham Lewis, Robert Grey
e Matthew Simms iniziano un concerto di fronte ad un pubblico che,
nel frattempo, ha ordinatamente riempito la piccola arena del circolo.
È la voce di Newman ad aprire il concerto, mentre a sorpresa viene
ripescata "Ahead" (da "The ideal copy") e da subito notiamo un audio
scadente; eccezion fatta per chi si è posizionato vicino al mixer,
tutti gli altri spettatori faticano a scandire le parole del leader
che risultano nascoste, basse e poco chiare. Da "Diamonds in cup",
proposta come seconda canzone, la band presenta, seppur random,
praticamente tutto il nuovo album. Complice il sopraccitato audio,
purtroppo nessun brano viene gustato come meriterebbe. Spicca una
"This time" (Lewis alla voce) che si esalta nel suo sonnecchioso
sound o "Short elevated period (sul finale del main set), convincente
nel trovare melodie accattivanti dietro un muro di feedback creato
dalle due chitarre.
I quattro Wire sono proprio come ce li ricordavamo: Newman con le
sue poche(issime) parole e tanta professionalità; Lewis stiloso
al basso e decisamente più comunicativo; Grey una macchina perfetta
ai tamburi; Simms …. quello nuovo. Una band che non ha bisogno di
fronzoli o di effetti speciali. Basta la loro serietà e la loro
musica, insomma. "Three girl rhumba" è il doveroso richiamo all'esordio
discografico di "Pink flag", allo stesso modo in cui "Red barked
trees" celebra l'ottimo album omonimo di qualche stagione fa; "Small
black reptile" ricorda, invece, "Manscape" (uno degli album meno
convincenti degli Wire) ed il piacevole tormentone di "Over theirs"
festeggia ancora quel "The ideal copy" che, proprio quest'anno,
spegne le trenta candeline.
Per i rientri la band sceglie la canzone che titola il nuovo album,
per poi passare al trapassato remoto di "Chair missing" con "Used
to" e finendo con il punk/post punk di "Stealth of a stork".
Saluti educati, piuttosto frettolosi e nessun gesto gratuito alla
platea. Non ci si aspettava nulla di diverso.