WIRE
(guest: Bartok),
12 ottobre 2003, Ponderano - Biella (Babylonia)
Ultima
data della tournée italiana dei Wire, tornati di recente alla
ribalta con i mini CD "Read & Burn 1 e 2" e
con l'album "Send". Non mi dilungherò qui nel descrivere
l'importanza fondamentale che il quartetto inglese ha avuto
nella nascita e nello sviluppo nella new wave, i giovani che
sono seriamente interessati potranno trovare in rete tutte
le informazioni che vorranno, mentre la discografia fondamentale
è stata regolarmente ristampata ed è facilmente reperibile
anche nei più comuni megastores.
Stasera aprono i varesini Bartok, originalissimo ed inclassificabile
quintetto con all'attivo due album. La formazione comprende
basso, batteria, voce, tastiere e violoncello, la musica mescola
new wave anni '80, sperimentalismo, neoclassicismo e progressive,
con un risultato notevole e davvero interessante. A 'normalizzare'
il tutto in certi punti ci pensa il cantato, vagamente alla
Lou Reed. Fa piacere sentire ancora gruppi che sfuggono totalmente
a qualsiasi catalogazione per generi, infatti anche quelli
che ho menzionato io sopra sono solo delle vaghe indicazioni,
delle impressioni personali che non fanno testo più di tanto.
Verso
le 23 inizia l'esibizione degli headliners, introdotta dalla
lunga "99.9" tratta da "Send", col solo
Colin Newman al canto accompagnato dalla base, mentre gli
altri tre componenti entrano progressivamente sul palco. Solo
un'introduzione appunto, perché appena i quattro sono pronti,
inizia il concerto vero e proprio, con raffiche punk-noise
di brani tratti dall'ultimo album e dagli EP sopracitati.
Se già su disco questi pezzi erano decisamente abrasivi, dal
vivo lo diventano ancora di più, con un muro di suono spessissimo
e volutamente disturbato e disturbante. Non avevo mai visto
i Wire dal vivo direttamente, ma solo su una rara videocassetta
con un loro concerto tenuto per una televisioneolandese
nel 1979 (l'epoca di "154"), cmunque
noto che, a parte i capelli più radi e più bianchi, nulla
è cambiato nella presenza scenica: da segnalare soprattutto
il secondo chitarrista B.C. Gilbert, perennemente immobile
e girato su un fianco, eppure è lui che crea le semplici ma
fondamentali parti soliste. A differenza che sui vecchi album,
nei lavori recenti canta quasi sempre il solo Colin Newman,
quindi anche stasera il bassista Graham Lewis lo sentiamo
poco alla voce solista, solo su "Agfers of Kodack".
Dopo nemmeno tre quarti d'ora al fulmicotone in cui vengono
passati in rassegna anche brani come "Read & Burn",
"Spent", "Comet" e "In the Art of
Stopping", solo per citare qualche titolo, i quattro
escono per la prima pausa. Richiamati dal caloroso pubblico
(discreto come numero, con un'età media piuttosto alta), nella
seconda parte del concerto - molto più breve della prima -
eseguono solo brani dell'album d'esordio "Pink Flag",
del 1977, ovviamente suonati con la stessa carica devastante
di quelli di "Send".Finita anche questa seconda
parte, alcune luci si accendono e pensiamo che lo show sia
terminato definitivamente, quando invece, richiamati nuovamente
dal pubblico entusiasta, i quattro rientrano per l'ultima
volta ed eseguono un unico brano monocorde ed estremamente
distorto, che non avevo mai sentito prima e che sembra un'improvvisazione
dilatata, con un progressivo crescendo di magma rumoroso.
Inutile usare altri termini per descrivere questo concerto:
i Wire sono sempre stati dei grandi sperimentatori, ma stasera
hanno fatto del vero PUNK (condito da dosi massicce di noise-rock),
naturalmente alla maniera loro ed in grado di far impallidire
quei numerosi ed insulsi gruppi che, fregiandosi di questa
etichetta, imperversano negli ultimi anni con troppe pose
e poca personalità. L'unico mio rammarico è non aver udito
nemmeno un brano da "154" e "Chairs Missing"
(i miei album preferiti, soprattutto il primo dei due, considerato
un capolavoro anche da quella critica ufficiale con la quale
mi trovo spesso in disaccordo), del resto, come ci ha spiegato
alla fine del concerto il gentilissimo Colin, la scaletta
di questo tour era impostata interamente sui pezzi "materiali",
quindi capisco che i brani più "cerebrali" del loro
repertorio avrebbero spezzato un certo equilibrio. E' andata
benissimo così quindi, alla faccia di tutti coloro che criticano
i musicisti di una certa età per partito preso e senza distinguo.
Aspettando il prossimo "Read & Burn 3", lunga
vita ai Wire!
(testo: Fabio D., foto: Ki)
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