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WAVE GOTIK TREFFEN,
Leipzig 25/28 maggio 2007

Memorie da un viaggio solitario

di: Oflorenz

Torino, ore 4,30, il taxi viene a prendermi nella notte, direzione Caselle. Ore 11,55: sbarco a Leipzig Halle, dopo la solita serie di succhi d’arancia e panini liofilizzati “made in Lufthansa”. Il fido Hotel Berlin mi attende con la consueta cortesia ed attenzione, e dopo un paio d’ore di dormita eccomi al Press Office dell’Agra per ritirare l’agognato pass. La bella tesserina plastificata penzola dal collo: che le porte della Sassonia si spalanchino immantinente, si riparte per la magnifica avventura!

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Il caldo soffocante che si alterna ad acquazzoni quasi tropicali renderà la vita non troppo facile quest’anno per gli avventori del Wgt; ma con il solito entusiasmo ed un ombrellino pieghevole ogni ostacolo è superato, ed eccomi nei familiari padiglioni dell’Agra in cerca di cd rari e fanciulle teutoniche da fotografare. Quest’anno, oltre le solite coloratissime sexy-fetish girls, le soldatesse imperano in quel di Lipsia, come la vasta galleria fotografica che mi porterò indietro testimonia. I flash impazzano, tutti fotografano tutti, bellissimo!! Lo stand di Maya Hansen spicca per colori e bellezza, con i suoi splendidi corsetti e gonnelline in tulle, e dentro di me decido di dedicare la palma di Miss Agra alla sua proprietaria, perfetto mix tra semplicità e sogno gothic.

La sera è prevista un’apertura delle danze in grande stile: In the Nursery suoneranno musiche di Wagner, Liszt, Mahler e Grieg da loro riadattate in chiave moderna di fronte all’imponente Volkerschlachtdenkmal. Sono lì per tempo, temendo un afflusso massiccio che comprometta la visibilità dell’eccezionale evento. Ma un temporale pauroso spazza impietoso Prager Strasse e dintorni, tenendo lontani, fino all’ultimo minuto, i fans dal vasto piazzale antistante il mitico monumento celebrante la Battaglia delle Nazioni del 1813. I gemelli Humberstone sono sistemati ai due lati del laghetto rettangolare alla base del Volks., saggiamente protetti da due tendoni bianchi. Prove di luci e proiezioni multiformi fanno presagire quello che sarà uno spettacolo indimenticabile, appena scalfito dalla furia del tempo inclemente. Per un’ora, riparati da ombrelli e rifugi di fortuna, assistiamo al lento svelarsi delle forme del mastodontico monumento, per un effetto di luci e colori davvero da brivido. La musica dei 2 ITN fa il resto, regalandoci una “grand opening” della 4 giorni oscura come mai nel passato. Il rientro in hotel è a dir poco difficoltoso, con slalom tra pozzanghere grandi quanto laghi nella speranza di schivare indenni fulmini e saette che cadono minacciosi da un cielo apocalittico.

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Il caro amico Manuel mi aveva anticipato qualche piccolo segreto sulla performance delle Dame Mediolanensi (moniker utilizzato solo per questa speciale esibizione in terra germanica) nella Krypta del Volkerschlachdenkmal, prevista per la serata del sabato. Mai però mi sarei atteso una magia come quella vissuta nell’ora abbondante di show fra le fredde ed imponenti mura del monumento. Daniela Bedeski, la prima cantante di Camerata Mediolanense Luminitca , ed Anna Maria Cristian (Camerata Sforzesca) entrano nel disco centrale della Krypta sostenendo tre lunghe candele, e muovendosi all’unisono in una sorta di danza pagana accompagnata dalle note di Elena alle tastiere; ai due lati i percussionisti, Manuel e Marco, stanno impassibili di fronte ai loro tamburi. Il repertorio di questa sera è fatto di molte riproposizioni di antichi brani italiani del XVI secolo nello stile tipico della Camerata Sforzesca, con qualche apprezzatissimo inserto dai dischi della Mediolanense, come il bellissimo traditional sovietico Podmoskovnye Vecera. Il violoncello di Anna Maria ed il clavicembalo di Elena disegnano arabeschi di rara bellezza, mentre Daniela e Luminitza si alternano al canto sfoggiando bellissime maschere simili a quelle tipiche del carnevale veneziano. Di certo uno dei picchi assoluti dell’intero Treffen.

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L’ UT Connewitz è situato a pochi metri dal famigerato Werk II. Per me un’assoluta novità, da conoscere in occasione della giornata Cold Meat che vede aprire gli svedesi Stormfågel di Eva Mag. La cantante di origine magiara sfoggia una camicetta bianca sopra una coloratissima gonna rossa e verde con ampie tasche, per una sorta di costume che a me pare in stile simile a quello tipico bavarese. Le arcaiche melodie dei tre coinvolgono il pubblico dell’UT, che mi dicono essere un vecchio teatro ora riadattato a centro sociale. Echi degli austriaci The Moon Lay Hidden Beneath a Cloud risuonano tra noi, mentre alle spalle del gruppo un video ci conduce nella natura incontaminata di un bosco di chissà quale parte d’Europa; mi domando quanto sarebbero grandi gli Stormfågel se suonassero tutte le loro parti, invece di affidarsi pesantemente a basi pre-registrate: per progetti del genere, non di stampo prettamente elettronico o dark ambient, risulta riduttivo il ricorso alle basi, pratica che purtroppo viene spesso adottata da un sempre maggior numero di progetti dell’area oscura.

Coinvolgente Coph Nia, in elegante completo nero proprio come il fido percussionista Linus Andersson. Il suo show sta a metà tra una messa nera in chiave elettronica ed un apocalittico mantra di folk noir, con pezzi quali Oath, Religion o la cover della celeberrima Sympathy for the devil di rollingstoniana memoria che risuonano malvagi tra le decadenti volte del vecchio teatro.

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Dal Nord Est del nostro paese ci fanno sentire orgogliosi di esser italiani gli All my faith lost, che hanno l’onore di aprire la serata dell’Anker culminante nel formidabile show di Ataraxia in versione “Kremasta Nera”. Eleganti, un tantino emozionati, Viola Federico e Fabio ci regalano un’oretta di piccole gemme tratte dai loro lavori passati (riconosco soprattutto gli estratti dall’unico cd in mio possesso, As you’re vanishing in silence) ed anticipazioni dell’imminente The Hours, raccogliendo applausi a scena aperta. Bellissimo il brano della splendida collezione di Finalmuzik Tal Mont del Lune, Land’s End, e curiosa la scenetta verso la fine, quando Viola, nel suo bel vestito bordeaux, abbandona le tastiere per accovacciarsi a bordo palco, e suonare lì qualche nota su di un minuscolo pianoforte “giocattolo”.

Lux Interna, pur provenendo incredibilmente dagli USA, si muovono molto bene nei consueti canoni stilistici del neo-folk acustico germanico, con tutte gli strumenti a corda suonati con perizia e la doppia voce maschile/femminile a donare colore e calore all’esibizione. Da queste parti, dove Forseti e Sonne Hagal sono piuttosto amati, Lux Interna giocano in casa, e la risposta dell’Anker è sentita e fragorosa. La loro Horizon scalda il cuore, dimostrandoci che anche le praterie americane possono partorire emozioni come i boschi della Foresta Nera. Bravi!

Con il mini d’esordio Berlin ed il seguito di lunga durata Nera, il progetto del lussemburghese Jérome Reuter Rome ha raccolto parecchi consensi presso la stampa specializzata. Evidente è il richiamo ai tempi dell’asse Roma-Berlino, ed alle vicende in qualche modo legate alla seconda guerra mondiale. Noto tra l’altro alle percussioni il danese Thomas di Die Weisse Rose, già visto all’opera in occasione del festival elvetico di Soleil Noir dell’anno passato. Non ho ancora avuto modo di ascoltare il recentissimo Confessions d’un voleur d’ames, ma gli estratti dai primi due lavori sono convincenti e ben suonati dal trio sul palco, coadiuvato da una serie di video a tema proiettati incessantemente alle sue spalle. Lo spazio dedicato a Rome, e devo dire meritatamente, è lungo, ed arriviamo senza accorgerci alla mezzanotte e mezza in fervente attesa della rappresentazione di Ataraxia dedicata al concept Kremasta Nera. Purtroppo non ho potuto assistere all’altra esibizione del gruppo modenese insieme a Rosa Crux nella bellissima Schauspielhaus, dove è stato presentato il penultimo lavoro Paris Spleen. Ed e così che anziché nelle atmosfere “burlesque” di Montmartre che certamente avranno respirato i fortunati della Schauspielhaus, noi altri ci si immerge tra gli antichissimi culti di Samotracia, per quello che oltre un semplice concerto è un vero proprio viaggio spirituale difficilmente descrivibile a parole. Il gruppo di Francesca ha una marcia in più degli altri, poco da fare. La sua voce profonda in The Nine Rituals ipnotizza l’intera platea, dalla fossa dei fotografi scorgo fanciulle che danzano ad occhi chiusi e volti dalle espressioni rapite balenare qua e là in mezzo ai giochi di luce provenienti dal palco. Le incursioni “etniche” delle percussioni di Spaggiari non sono mai troppo sopra le righe, e non stravolgono il marchio del suono neoclassico tipico di Ataraxia, mentre Vandelli e Pagliari sono come sempre deliziosi ai loro strumenti, ricamando un mosaico sonoro su cui la voce di Francesca non può far altro che andare a nozze. Inarrivabili.

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E siamo giunti, con un velo di tristezza, all’ultimo giorno di Treffen, lunedì 28 maggio. Solo il pensiero dello show di Dernière Volonté nella favolosa Kuppelhalle del Volkspalast riesce a rincuorarmi, e per non pensare all’aereo che mi aspetta l’indomani mi rituffo tra i corridoi dell’Agra per qualche altro acquisto, ed un’altra esaltante session fotografica tra bellezze locali tutte agghindate a festa.

Il Volkspalast è ubicato in una sorta di cittadella fieristica nella zona di Prager Strasse, e non credo ai miei occhi quando accedo all’interno dell’elegantissima ed estesa struttura circolare della Kuppelhalle. Se pensavo di aver individuato nella Schauspielhaus la location più chic di Lipsia e del WGT, mi devo ricredere. Questo magnifico teatro, dai sontuosi lampadari in cristallo e dai rossi tendoni in velluto, conta su di una serie infinita di bar con luci soffuse e molteplici angolini con soffici divani in pelle per un totale relax tra un’esibizione e l’altra; il pubblico che assiste agli show può comodamente disporsi intorno al palco, di foggia semi-circolare, per una visibilità che risulta ottimale da qualsiasi posizione. Il fatto che la serata in questione attiri poi il classico pubblico retrò tutto divise grigioverdi e pettinature femminili anni ’40 regala un effetto davvero meraviglioso alla serata, con l’impressione di essere proiettati in un sol respiro nella Berlino di Lili Marlene.

I tedeschi Kammer 7 possiedono un’impronta orchestrale malinconica tutto sommato originale, valorizzata dal fatto che i 6 sul palco suonano i loro strumenti senza (almeno apparentemente) ricorrere troppo massicciamente a basi pre-registrate. Mi sembra di assistere ad un concerto per una festa della Wermacht, in un’atmosfera a tratti surreale dalla quale fatico a destarmi, probabilmente ancora rapito dalla magia del luogo.

Una bella sorpresa i mascherati :Golgatha:, per quanto indubbiamente derivativi in maniera a tratti palese dai Death in June di The World that summer piuttosto che dai Current 93 più folkeggianti. L’uso delle sinistre maschere, la voce del cantante talvolta simile a Tibet in maniera impressionante, e l’approccio in genere dei 3 richiama indubbiamente alla mente i 2 gruppi che in questo campo hanno tracciato, forse più di ogni altro, le linee guida.

Rosse rune campeggiano sugli stendardi pendenti dai tamburi, e la filiforme e sinuosa figura di Sorakey mi fa pensare alla Rose Mc Dowell dei tempi che furono, quando ancora faceva la sua sporca figura nella inlay cover di 1888

Al di là comunque di ogni considerazione il gruppo esegue egregiamente il suo compito, rendendomi sinceramente curioso di “assaggiare” al più presto il loro disco Seven Pillars.

Vera sorpresa della soirée é per me l’artista della scuderia Tesco Apoptose, fautore di una performance di avvincente dark-ambient potenziata e sostenuta dall’apporto di circa una quindicina di tamburi della Fanfara di Lipsia. Impressionante anche il colpo d’occhio sul palco, con i ragazzi e ragazze della banda schierati alle spalle del nostro, e le loro ritmiche marziali e potenti ad insinuarsi come staffilate nei gelidi paesaggi elettronici tratti da Blutopfer e Nordland prima, dall’ultimo Schattenmädchen verso la fine. Proprio i brani dell’ultimo lavoro, come la titletrack o Karla, sono accompagnati da dilatate e coloratissime immagini psichedeliche sul pannello dietro il palco, riprendenti il bellissimo artwork del cd esplorante il mondo degli incubi infantili.

Il tempo è giunto per il big act della serata, attesissimo. Dernière Volonté sono innegabilmente una delle punte di diamante della scena neo-folk europea, e le ariose melodie dal sapore mittel-europeo dell’ultimo Devant le mirroir hanno fatto breccia nel cuore degli appassionati del genere. Il Geoffroy di stasera sprizza adrenalina da ogni poro, e mentre il fido compagno alle percussioni - come un metronomo d’acciao - gli crea una base senza perdere un colpo, lui gira per il palco giocando e scherzando con il pubblico, tendendo mani, e spruzzando acqua a destra e a manca. Dimentichiamo la staticità del passato, stasera DV sono due ma sembrano il doppio, con Geoffroy indiavolato che non sta fermo un minuto, e canta per noi tutti gli inni più belli dell’ultimo disco e i classici dei vecchi lavori. Mancherebbe solo Un Refrain solitaire per farmi del tutto felice, ma insomma… di che mi lamento!

In realtà una cosa di cui lamentarmi ce l’ho, eccome: i due francesi hanno terminato, ed il pubblico lentamente prende a sciamare con ordine verso le uscite. Questo significa che il sogno sta finendo, 4 giorni volati in un amen. Fuori piove, e l’aria è fredda. L’Hotel Berlin non è lontanissimo, per cui decido di farmela a piedi, sotto la pioggia. Durante il tragitto mi ricanto il refrain di La Nuit Révient, per scacciare la malinconia. La mattina seguente mi aspettano nuovamente le “razioni K” della Lufthansa, ma soprattutto il rientro nella piatta normalità, dopo ben 96 ore nel mondo parallelo del più grande festival oscuro del mondo intero.

Oflorenz

p.s. un ringraziamento ed un caro saluto a Manuel + Mediolanum crew (Roberto se non ricordo male!), con cui ho condiviso i pochi momenti di compagnia di questo Treffen. A presto da qualche parte, “looking for Europe” in qualche altro angolo di mondo.

 

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