CURRENT
93 @ WAVE GOTIK TREFFEN
30 Maggio 2009
testo e foto by Torre
Inizio
questa recensione con una premessa: da anni sono un assiduo
fan di David Tibet e del suo progetto “Current 93” (il motivo
per cui definisca in tal modo il gruppo lo comprenderete alla
fine della presente).
Avendo
quindi assistito alle loro ultime performances italiane, mi
posi
la domanda “Ma cosa c’entra un concerto acustico dei Current
93 nell’hangar dell’Agra? Proprio loro che, ultimamente, hanno
sempre prediletto locations suggestive (quali teatri d’epoca
o chiese sconsacrate) a discapito della loro capienza?” Personalmente
consideravo più appropriato per loro lo splendido spazio
del Volkerschlachtdenkmal (comunemente nota come “Krypta”)
che, nelle edizioni precedenti, ha ospitato memorabili performances
acustiche anche dei nostrani Camerata Mediolanense e Ataraxia.
Nondimeno, sulla locandina del WGT il gruppo di Tibet veniva
citato come “aNok pe Current 93”, quindi qualche sospetto
doveva pur farmelo sorgere.
Inizio
concerto previsto per l’1.30, ma fino a tale ora dal palco
non giungono segnali di vita: vuoi vedere che a Tibet sono
venuti degli scrupoli di coscienza sulla scelta della location,
e ha deciso di mollare baracca e burattini lasciandoci tutti
con un palmo di naso? Poi, timidamente comincia a muoversi
qualcosa con le prove generali di sound-check da parte dei
tecnici; quindi la comparsa della tastierista che fa una foto
a noi del pubblico e, infine, entra la formazione al completo
capitanata dal Divino Tibet (camicia e pantaloni ordinari,
scalzo e coi radi e lunghi capelli raccolti in un piccolo
chignon sulla nuca), poi via via Andrew Liles, il batterista,
l’inseparabile Baby Dee al piano e… uno, due, tre, quattro…
cinque chitarre elettriche?!? Ma che ci fanno?!? …Va precisato
che ancora non avevo ascoltato “Aleph at hallucinatory mountain”,
la loro ultima produzione.
E,
infatti, l’inizio del concerto, con”Invocation of almost”
(brano di apertura dell’ultimo cd), è decisamente spiazzante:
mi aspetto di venire cullato dalle soavi melodie acustiche
di “Mary waits in silence” o “The signs in the stars”, e invece
mi ritrovo “violentato” da vigorose schitarrate che mi percuotono
un po’ da tutte le parti. Ma è una dolce violenza e,
praticamente da subito, riconosco che il cambio di tendenza
è comunque a suo modo suggestivo. Poi, canzone dopo
canzone, il fascino del tipico incalzare ipnotico e onirico
dei vocalizzi e arrangiamenti di Tibet prendono il sopravvento
su ogni perplessità residua, e nonostante tutti i brani
proposti siano a me sconosciuti (mai come in questa occasione
Tibet ha deciso di dare particolare risalto ai suoi recentissimi
lavori). Ma, d’altronde, (opinione condivisa con molti altri
loro spettatori) questa è la particolarità che
contraddistingue i Current 93 da qualsiasi altra band, e cioè
che le loro performances si fanno apprezzare anche da coloro
che sono a completo digiuno del loro repertorio, e questo
grazie all’intensa e originale esecuzione dei brani ma, soprattutto,
per merito della conduzione carismatica di Tibet:
il quale è molto più di un lead-vocalist, è
quasi un istrionico sacerdote di un rituale consumato sul
palcoscenico con il suo pubblico proselite che altro non può
fare se non lasciarsi trasportare dall’incantesimo perpetuato.
Tra
i brani eseguiti nel live posso quindi citare, tra gli altri
e oltre a quello già menzionato, “On docetic mountain”,
“Aleph is the butterfly net” e “Not because the fox barks”
(da “Aleph at hallucinatory mountain”), “I looked to the southside
of the door” (da “Birth canal blues” del progetto parallelo
“aNok pe Current 93”, appunto) e “Black ships ate the
sky” (dall’album omonimo). Una volta adattato allo spirito
della novità, mi lascio trasportare dagli arrangiamenti
progressive-rockettari, alquanto acidi e psichedelici, molto
ben eseguiti dai giovani chitarristi della neonata formazione
e, ovviamente, dall’ipnotica e dirompente voce di Tibet, in
grado di scatenare forti emozioni pure se venisse accompagnata
dal Piccolo Coro dell’Antoniano. Per non parlare poi del tripudio
finale dove David, ormai pago dell’obiettivo raggiunto, nei
bis ci dà il contentino con “Oh coal black smith” (pubblico
in delirio con Tibet che si rilassa e gigioneggia, saltellando
per il palco e mimando pure un coniglio) e, infine, congedandosi
con una sublime versione di “Sleep has his house”.
Il
giudizio complessivo del concerto, nonostante lo spaesamento
iniziale, è dunque senza dubbio positivo. Onore al
merito quindi al “progetto Current 93”: “progetto”, appunto,
perché mi pare ormai evidente che Tibet utilizzi ormai
la denominazione del gruppo per intraprendere un percorso,
artistico ma anche esistenziale, del tutto personale e, quindi,
soggetto al rischio di continui cambiamenti repentini e radicali.