The
CURE
Werchet Festival, Werchet (Belgio), 28
Giugno 2012
Testo
di Gianmario Mattacheo
Foto di Gianmario Mattacheo e Nicola De Brita
Il
festival rock di Werchter, piccola cittadina non distante da Bruxelles,
è uno dei più grandi festival europei e, attivo dal
1974, ha già ottenuto premi come miglior raduno musicale nel
mondo (dal 2003 al 2007).
Le
premesse, dunque, non sono buone per chi voleva una giornata musicale
all’insegna del poco caos e della tranquillità: quello odierno
pare essere il mega raduno estivo in cui un’infinità di band
sono impegnate in una serie di palchi differenti.
Per
i Cure si tratta di proseguire l’european tour partito lo scorso 26
maggio nell’olandese Pinkpop, facendo nuovamente visita a Werchter
dopo le esibizioni del 1981, 1990, 1995, 2000 e 2004.
La
prima apparizione dei Cure al festival balga è ricordata, inoltre,
per un episodio che coinvolse i nostri, prima dell’esibizione di Robert
Palmer. I
Cure (al tempo gruppo di supporto di Palmer) suonarono oltre il tempo
previsto dall’organizzazione, facendo innervosire lo staff di Palmer
(e del festival) che minacciò di staccare la corrente. La
risposta dei Cure fu quella di estendere oltremodo “A forest”, dilatandola
ulteriormente e provocando l’ira degli organizzatori: la “perla”,
invero, si sarebbe verificata solo qualche attimo dopo, quando Simon
Gallup, scendendo dal palco, si avvicinò al microfono per gridare:
”Fuck Robert Palmer, Fuck Rock’n roll”!
Ma
questa è storia, datata trentuno anni. Oggi i Cure sono qui
per un altro festival da suonare innanzi ai propri fan (chissà
se c’è ancora qualcuno di quell’estate del 1981) e davanti ad una
moltitudine di persone intervenute per l’ascolto degli altri artisti
in cartellone. In
particolare sul Main Stage si alternano RiseAgainst, Blink 182 ed
Elbow, protagonisti del lunghissimo programma del festival. I
Rise Against si prendono proprio sul serio, ponendo in essere un rock
duro, aggressivo e irascibile che, tuttavia, mi convince assai poco;
la risposta del pubblico, invece, è quella più alta,
manifestandosi in partecipazione collettiva ed in cori continui. Gli
ex giovani punk scanzonati dei Blink 182 (che collaborarono con Robert
Smith nel 2004 nella canzone “All of this”) si presentano alquanto
imbolsiti e fuori
moda.
In
effetti, è palese il tentativo di dar vita ad un concerto simpatico
e abbastanza carico d’energia, ma è innegabile che sentire
dei quarantenni cantare filastrocche, nate per far ballare i teenager,
crea quantomeno un certo imbarazzo. Gli
Elbow, invece, dimostrano una qualità senza dubbio superiore.
Un rock a tratti pomposo e a tratti raffinato che potremmo definire
“delicatamente sentimentale”: consensi sinceri.
Il
tempo di sistemare nuovamente il palco ed ecco che si presentano on
stage i protagonisti di oggi.
Il
solito boato accompagna i Cure per un’attesa, quella di oggi, piuttosto
estenuante. Alle solite lunghe pause che accompagnano gli inizi dello
spettacolo, oggi si aggiunge l’aggravante di una giornata caratterizzata
da un caldo africano; i 40°, indicati dal termometro posto all’ingresso
del festival, fanno perdere fiducia al più tenace e caparbio
sostenitore del Werchter! L’intro
di “Tape”, cui fa seguito “Open” ha l’onere di aprire lo spettacolo.
“I really don’t know what’s I’m doing here”, sono le prime parole
della canzone che aprì l’album “Wish”, un lavoro che in questo
2012 spegne le venti candeline. Sempre
da “Wish”, viene proposta “High” (che fu singolo del gruppo e venne
accompagnata da un video particolarmente indovinato), mentre con “The
end of the world” ascoltiamo il pezzo trainante dell’album omonimo
del 2004.
La
band sembra suonare più sciolta rispetto al Pinkpop, anche
se i protagonisti non ci sembrano così divertiti, come in altre
esibizioni del passato (probabilmente la canicola e la giornata massacrante
hanno parzialmente inciso anche sulla band).
Per
entrare appieno nel clima del festival si deve aspettare una serie
di canzoni rock/pop dall’indiscussa presa sul pubblico. Prima “Push”
e “Inbetween days”, poi “just like heaven” e “From the edge of the
deep green sea” scaldano (come se il caldo di oggi non fosse stato
abbastanza) il pubblico, mentre “Pictures of you” e “Lovesong” portano
quell’immancabile dose di romanticismo che solo il signor Smith sa
donare con tanta facilità.
I
ritmi e l’affiatamento sono senz’altro migliorati adesso; la sintonia
dei quattro (cinque?) Cure è eccellente e notiamo con piacere
un Gabrels sempre più suo agio nel ruolo di secondo chitarrista,
fungendo da supporto a Smith, ma suonando, al tempo stesso, con maggior
personalità. “The
walk” è la canzone che si discosta dall’andamento odierno del
concerto: l’unica vera dance song di stasera ha il merito di far ballare
la folla oceanica del Werchter. Eseguite
a memoria “One hundred years” (porta il più puro sound dei
Cure) e “A forest” (accompagnata da un battito di mani continuo),
ovvero due “ineliminabili” della ditta, ma attese dal pubblico con
rinnovata attesa e trasporto.
Dopo
una breve pausa, a conclusione del main set, il gruppo torna sul palco
per eseguire “Friday I’m in love” e “Boys don’t cry”, due hit eseguite
praticamente di corsa. Eh
sì, siamo alle solite. Smith confessa di avere esaurito il
tempo a sua disposizione (bisogna rispettare il cartellone del festival)
e, poi, il copione che si ripete praticamente identico ad ogni uscita.
Smith
che si avvina al microfono quando si è spento l’eco dell’ultima
nota; poche parole di ringraziamento ed un gesto quasi di scusa per
non poter suonare di più; per non poter prolungare le emozioni.
Non
preoccuparti Robert, sono state tante anche oggi.