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SONIC YOUTH
@ HAMMERSMITH HMV APOLLO, LONDRA. 31 Dicembre 2010

Testo by Gianmario Mattacheo
Foto by Silvia Campese

Per aspettare il 2011, i Sonic Youth propongono un brindisi davvero accattivante; festeggiare insieme alla più grande band di alternative rock americano, all’interno di uno dei teatri più prestigiosi della Londra concertistica. All’invito rispondiamo immediatamente sì. L’HMV Hammersith Apollo ci era già noto dal maggio scorso, quando ci godemmo lo spettacolo degli Stooges di Iggy Pop. Adesso e con identiche aspettative, ci apprestiamo a farci ritorno, pronti ad ascoltare (e vedere) una band davvero difficile da imitare, per particolarità e classe. Il teatro che si presenta già colmo quando sono appena le 20.00 (anche se la band principale si sarebbe esibita solo cinque minuti prima della mezzanotte!) accoglie l’eterogeneo pubblico della notte di S.Silvestro.
L’attesa si prevede lunga (del tutto sconosciuti a chi scrive i nomi delle band che anticipano i newyorkesi) e, come tradizione, non ci rimane che ingannare il tempo tra i divanetti ed il bancone del “Circle bar”.
Quando giungono le 23.00, decidiamo di fare il nostro ingresso nell’arena. Sul palco troviamo i Shellac, gruppo che, invero, ci sorprende per la qualità della musica espressa. Riff ipnotici e buona presenza scenica per un piacevole aperitivo, in attesa dei botti finali. Questi, come da copione, arrivano alle 23.55, quando Kim Gordon, Thurston Moore, Lee Ranaldo e Steve Shelley (a questi aggiungiamo un session man alla chitarra) salutano un’arena completamente gremita. Immediatamente dal soffitto cadono moltissimi coriandoli dorati: “Happy new year” gridano i sonici mentre partono le note di “Brother james”. È un inizio davvero con il botto: un’introduzione chitarristica da brividi ed una Kim Gordon esageratamente grintosa sono il miglior modo per salutare il nuovo anno. Le chitarre di Moore e Ranaldo sono un marchio inconfondibile del suono targato Sonic Youth. I due “maniaci” della chitarra sembrano sul palco come dei gemelli in lotta per la ricerca del suono più distorto, innovativo ed alternativo. Si muovono praticamente in simbiosi ai lati dell’eterna Kim Gordon. Lei, per contro, è la vera immagine dei Sonic Youth. Bella, decisa, aggressiva, seducente e a tratti provocante, la bassista ci regala anche una voce così “sporca” e sincera che ci fa capire ancora una volta come sia lei l’unica riot girl del pianeta terra. Quando arriva “Schizophrenia”, il pubblico saluta la canzone con un boato terrificante, mentre l’ultima canzone del main set è per “Massage the history” (da “The eternal”) in cui Thurston Moore abbandona l’elettrica per sedersi su uno sgabellino ed imbracciare una “modesta” chitarra acustica; tra queste note, il cantato roco e sussurrato della Gordon, porta lo spettatore quasi in uno stato di trance. La prima canzone dei bis è affidata a “The sprawl”, in cui Lee Ranaldo suona la chitarra come se fosse un violino, prima di tornare a suonare il suo strumento nella maniera tradizionale. Segue “Cross the breeze”, hit conosciutissimo tratto da quel manifesto che si chiama “Daydream nation”, album che nel 2007 la band ripropose per intero in una serie di concerti. Un’ultima pausa ed infine rientrano i quattro per proporre quella che, probabilmente, è la miglior canzone dei Sonic Youth. “Kool thing”, perla di “Goo” è un brano difficile da eguagliare per fascino. Le chitarre di Ranaldo e Moore che diventano (in certi momenti) rumore lancinante, la Gordon che canta e balla sinuosa, la voce della musa che a tratti sembra trasformarsi in un sussurro svogliato, fanno di questo epilogo un regalo delizioso. Verso la fine dell’ultimo pezzo la Gordon, quasi a voler ringraziare i compagni di viaggio, si avvicina ad abbracciare il marito chitarrista e, in un secondo tempo, l’amico Ranaldo, in quello che rimane un momento d’intimità rubato o regalato alla platea. Poco d’altro da aggiungere. Un ottimo concerto condotto da una band superlativa. Buon anno.