SIGUE
SIGUE SPUTNIK
19 ottobre 2003, Milano (Transilvania Live).
Nostalgia,
passione inguaribile per la musica degli anni '80, ricordi
dell'adolescenza e della pre-adolescenza... ecco le motivazioni
che hanno spinto vari miei amici e conoscenti, me compreso,
a vedere i Sigue Sigue Sputnik questa sera. Non si può negare
che, quando sfondarono le classifiche nel 1986 o giù di lì,
Tony James e soci possedevano una carica veramente innovativa,
grazie ad una coinvolgente miscela di rock'n'roll, elettronica
e punk (quest'ultimo più che altro per l'immagine). Poi le
loro ambiziose previsioni di restare sulla cresta dell'onda
come rappresentanti del "rock'n'roll del terzo millennio"
non si sono avverate, e, finiti presto nel dimenticatoio,
ogni tanto i S.S.S. riapparivano con lavori privi di quella
freschezza posseduta dall'album "Flaunt It".
Verso le 22:30 il Transilvania è abbastanza pieno, il concerto
è aperto da un gruppo proveniente da Padova di cui non ricordo
nemmeno il nome, ma non ha molta importanza: propone un hard-rock
con chitarra sovraccarica di wah wah e con un cantante vanesio
dalle pose glam e dai fastidiosi atteggiamenti da rockstar.
Riconosco alcune cover (MC5, Dead Or Alive), ma il tutto lo
trovo pacchiano e sgradevole.
Ma ecco finalmente i S.S.S., con formazione ridotta a tre:
Neal X alla chitarra e alla voce solista, al posto dell'effettivo
singer Martin Degville (la cui assenza era già nota da tempo),
Tony James (bisogna ricordare che fu il bassista dei leggendari
Generation X) alla chitarra sintetizzata, più una fanciulla
che manovra l'apparato elettronico. Sono sempre severo con
i gruppi che abusano delle basi pre-registrate, ma nel caso
dei nostri già si sapeva che le utilizzavano in abbondanza,
e poi preferisco vedere una band ridotta al minimo piuttosto
che sei elementi di cui due finti batteristi che fingono di
suonare dei pad, come avveniva agli esordi. Si potranno fare
tutte le battute sulla pancia di Neal
X e sull'aria da Elvis ultraquarantenne che emana, ma la sua
voce è davvero notevole e non fa sentire per
nulla
la mancanza di Degville. Tony James invece ha lo stesso aspetto
di diciassette anni
fa, visto
da lontano,
con maglia larga cadente e chiomone fuxia a nascondere rughe
e altri segni dell'inevitabile vecchiaia. Il loro show è proprio
gradevole quindi: chitarre
tipicamente punk'n'roll,
bella presenza scenica e bei brani che catturano, anche se
ovviamente le ovazioni del pubblico sono maggiori con i vecchi
hits come "XXI Century Digital Boy" e "I Love
Missile F1-11", nella quale viene inserito un refrain
di "Symphaty for the Devil" dei Rolling Stones.
Veramente potenti sono, nel finale, le cover di "L.A.
Woman" dei Doors, con una base che ricorda i Suicide,
e "69" degli Stooges. Considerando che nessuno di
noi si aspettava nulla di speciale questa sera, e che al contrario
qualcuno temeva il peggio, possiamo tornare a casa pienamente
soddisfatti!
(testo: Fabio
D./
foto: Nikita)