ROSA+CRUX
Milano, Transilvania Live, 26 Dicembre 2004
testo by Tanks – tanks06@libero.it
photo by Erzsbeth & Nikita
I
Rosa Crux giungono a Milano
in un triste Santo Stefano di devastazione.
Pioviggina, c’è poca gente in giro, e si scommette sulla bassa
affluenza di pubblico. È questa l’unica data italiana per
il gruppo, che in quest’occasione promette uno spettacolo
in grande.
Giungiamo al Transilvania dopo aver trangugiato lì accanto
una pizza malsana e rivoltante. Poca gente, ma di lì a poco
il locale si riempie, presenze dal Nord e dal Centro si aggirano
in piccoli gruppetti silenziosi, curiosando tra i due stand
presenti posti l’uno di fronte l’altro, quello del ligure
Transmission, fornitissimo davvero, e quello nostro più intimo
(ma non per questo meno interessante n.d.N.).
L’atmosfera è sommessa ma incuriosita: iniziamo a sbirciare
tra le strumentazioni presenti sul palco, sapendo che è proprio
questa una delle peculiarità del gruppo: è da vent’anni che
questo band transalpina capitanata dal geniale Oliver Tarabo
(cantante, chitarrista, nonché inventore del magnifico BAM
- Batteria Acustica Midi – ossia quattro tamburi, tre cimbali,
due timpani, una grancassa ed un tamburello che attraverso
dispositivi tecnologici suonano da soli), e Claude Feeny (pianoforte,
campane e coro) sperimenta senza sosta, indagando in modo
colto la tradizione esoterica, riesumando gestualità ancestrali
ormai perdute, innovando la ricerca sonora con strumentazioni
geniali.
A loro non servono clamore o eccessivismi di cui troppo spesso
si servono gruppi per sopperire ad una mancanza di talento.
I R+C sanno creare un’architettura sonora immaginifica, profonda
ed oscura attraverso una finissima ricerca tesa al recupero
della manualità artigianale, il piacere del fare, ed ad una
metodologia rigorosa, squisitamente riservata, lontano dai
soffocanti e limitanti compromessi cui spesso si sottomettono
i gruppi pur di vendere. Ma i talenti veri si riconoscono.
In quasi due ore di performance siamo letteralmente rapiti.
La sala è immersa nell’oscurità. Candele accese, fumi profumati,
i rintocchi di 8 campane malefiche.
“Abbraxas”, “Invocation”, “Helhel”, “Moritvri”, “Orgue”, “Eli-Elo”,
"Ovi non Cessant", "Terribilis" (tra i
brani in scaletta, n.d.N.) sono musicalità preziosissime che
sanno di ritualismi arcaici, sottilmente evocati in un cantato
in latino ed ebraico (le lingue dei testi esoterici). Al lato
destro del palco, oltre la contrabbassista Armelle Payen,
ci sono semi-nascosti, cinque coristi, quattro donne ed un
uomo, sottolineano, sbiascicano, incidono, stridono, ticchettano
simboli Cabalistici cantati con pathos da Oliver. Dietro scorrono
le immagini in b/n della Danza della Terra, gesti semplici
ma lontani e perduti,
gesti nei quali affiora la primigenia, perfetta, sacra, Assoluta
comunione dell’Uomo con la Natura, fino alla Morte. Un uomo
nudo viene portato in un enorme e spoglio stanzone, e rinchiuso
in una gabbia metallica che viene fatta oscillare fino a sbattere
sul BAM. Ne scaturisce un tocco sacro e potente. Quindi uomo
e donna vengono condotti da alcuni cavalieri medievali in
un bosco, al centro di un cerchio di fuoco.
Fuoco, aria, terra. La danza ha inizio. Alle immagini sullo
schermo si sovrappongono quelle reali: al centro della sala
vengono posti due cubi lignei colmi di fango, giungono due
donne nude, una bianca ed una nera (riconoscibili solo dai
tratti fisionomici poiché sono totalmente coperte di fango)
che sedute sulle ginocchia con una treccia di corda in bocca
iniziano una danza vorticosa, drammatica, sollevando su loro
stesse e tutt’intorno il fango. L’oscillazione è convulsa,
l’espressione è totale. Polvere alla polvere.
Sarebbe riduttivo definire l’esibizione dei R+C un semplice
concerto, in realtà essa è molto di più, uno spettacolo totale
che strega, una performance rituale che per un attimo ci sfiora
al Sacro. Indelebile.