Tra le svariate
motivazioni che ci portano a un concerto c’è anche
il non trascurabile aspetto del divertimento.
Penso che chiunque abbia acquistato il biglietto
per i Rockets sia partito dal medesimo assunto;
l’obbligo è svagarsi e, se possibile, con il
carico più grande di sorrisi.
Con un ritardo di circa
mezz’ora (mannaggia!) la storica band di space
rock saluta a suon di musica il pubblico. I nuovi
Rockets sono lo storico Fabrice Quagliotti
(tastiere, voce e vocoder), Rosaire Riccobono
(basso), Gian Luca Martino (chitarra), Eugenio
Mori (batteria) e il nuovo arrivato Fabri Kiarelli
(voce). E non potevano che essere le tastiere di
Quagliotti a inaugurare la serata con il sempre
suggestivo “Anastasis”, traccia musicale
dell’album “Plasteroid”.
Una nota doverosa per
l’outfit: si presentano con tutine nere borchiate
e stivaloni, mentre le epidermidi si presentano
argentate, necessario tributo per dare continuità
con la storia.
Da subito siamo colpiti
favorevolmente dal nuovo frontman, calato
perfettamente nella parte di portavoce di questi
alieni sonori. Quando parte “One more mission” è
lui a confessare al microfono: “Questa mi piace un
sacco”, dando il via a uno dei brani più noti di
“Galaxy” (e invitiamo a ripescare la copertina
dell’LP, una vera opera d’arte).
Osservando i cinque sul
palco abbiamo il piacere di constatare quanto
stiano suonando insieme, padroni e virtuosi dei
rispettivi strumenti, interagendo spesso e
coinvolgendosi a vicenda. Il ruolo di capitano
dell’astronave spetta, ovviamente, a Quagliotti,
ma è Kiarelli che dal palco funge da collante con
gli altri musicisti. Anche nelle (numerose) parti
strumentali la nuova voce dei Rockets continua il
suo recitato, non lasciando il palco, ma
continuando a partecipare con una robotica
immobile presenza.
Tra un brano e l’altro
Fabrice Quagliotti parla al pubblico in francese,
salvo prendersi una pausa, scherzandoci su:
“grazie per aver applaudito … anche se non avete
capito un cazzo!”.
Si attinge un po’ da
tutti gli album, ma non mancano anche un paio di
estratti dal recentissimo lavoro di cover “Time
machine”, Così, quando inizia “Jammin”, Kiarelli
dice “Questa l’ho scritta io” e noi possiamo
ascoltare un insolito reggae spaziale, allo stesso
modo di una “Riders on the storm” in cui i Doors
vengo teletrasportati sulla plancia
dell’Enterprise.
Ma il grande botto i
Rockets lo raggiungono con due pezzi anticipati
dalla robotica voce di Quagliotti; prima “Electric
delight” e, sul finale del set, parte “On the road
again” e giù tutti, tra il pubblico, a ciondolare
i testoni.
Ci sono gli immancabili
bis, in cui una brillante “Venus rapsody” lascia
il posto alla festa generale di “Galactica”. Ed è
festa, visto che dalla chitarra di Martino partono
pure i fuochi d’artificio. Una band vera (ancora
viva) e … sì, ci siamo divertiti. |