Ciao
Fabri. Innanzitutto benvenuto e grazie per questa intervista!
Partiamo
da emozioni recenti. È ancora “fresco” il live di Torino al
Civico 25, ci puoi raccontare le tue impressioni?
Ciao
a tutti. E’ stata una serata carica di energia, ma da quel che ho
capito in questi pochi mesi di appartenenza alla band, il pubblico
dei Rockets è sempre molto entusiasta e ti restituisce la carica. E’
un osmosi tra performer e ascoltatore. Io sono già di mio uno che
sul palco si scatena. Se poi il pubblico mi ributta indietro
l’energia, capisci che è come quando la nitro si mischia alla
glicerina: dinamite! Dal punto di vista della prestazione artistica
forse quello al Civico 25 è stato il mio show migliore da quando
sono entrato nella band. Piano piano sto prendendo le misure con i
brani e li sto facendo miei. Anche se confesso di non essere mai del
tutto soddisfatto. In ogni performance trovi il punto in cui sai che
avresti potuto far meglio e non dai importanza a quanto invece di
buono hai fatto. C’è anche da dire che uno show dei Rockets non è
statico, è quasi impossibile essere perfetti vocalmente mentre si
corre avanti ed indietro per il palco. Nemmeno Freddie Mercury sul
palco riusciva a replicare le parti vocali uguali alle versioni in
studio, figuriamoci noi mortali… o alieni… insomma… decidete
voi, ah ah ah!
Fai
parte di una storica band che, tra l’altro, qui in Italia ha sempre
ottenuto larghissimi consensi. Hai voglia di raccontarci come sei
diventato un Rockets? Gianlu
e la sua compagna erano casualmente spettatori di una mia performance
al mare. Mi esibivo nel locale di due cari amici, in darsena nel
porto turistico (non ti dico dove). Loro mi hanno visto lì e a fine
show si presentarono. Non mi dissero nulla, fin che, un paio di mesi
più tardi, Gianlu mi contattò parlandomi dell’eventualità di un
cambio di cantante nei Rockets. In verità fu la sua compagna a
ricordargli di me. Fabrice era il più dubbioso, non tanto su di me
ma piuttosto per il fatto che cambiare frontman in una band è un
passo delicato. Per mesi non si è più parlato di nulla, addirittura
mi ero ormai dimenticato di questa ipotesi, fino a quando si rifece
vivo lo staff della band. Dovetti superare alcuni step: feci alcuni
videodemo di alcuni loro brani affinché verificassero la pronuncia
inglese, la timbrica vocale e la presenza. Ovviamente fu organizzato
anche un incontro di persona in primis per una impressione
caratteriale, ma anche per questioni di immagine. Per fortuna ho
passato ogni test, ah ah ah!!!!
Il
recente “Time machine” ha messo alla prova i Rockets con dei
giganti del passato, reinterpretando in chiave (un po’) space
canzoni ormai cementate nella memoria degli appassionati. Ti senti
soddisfatto del risultato finale? E in quale brano ti sei sentito più
a tuo agio?
Sono
entrato che ormai i titoli erano decisi e gli arrangiamenti ormai
quasi finiti, quindi non è che potessi far di più di quanto ho
fatto. Non ho avuto voce in capitolo sulla scelta dei brani. Per
questo posso ritenermi abbastanza soddisfatto, ho dato il massimo nel
poco tempo che avevo a disposizione su cose che ho trovato già quasi
finite. A mia conoscenza, credo di essere l’unico cantante al mondo
che entra in una band storica e si presenta ai fans con un album di
covers tra l’altro non decise da me, quindi, è stato un po’ come
muoversi in una gabbia dorata, senza troppa possibilità di
movimento. Avrei preferito presentarmi con dei brani originali e
sicuramente la mia personalità sarebbe uscita ancor più definita.
Ma credo comunque di esser riuscito a mettere la mia firma anche se
si tratta di covers. Il confronto con i cantanti originali è
inevitabile. Seppur cercando di discostarmi dalle versioni originali,
le tonalità erano decise ed anche in questo caso, ho dovuto giocare
in un campo che non sempre era il mio terreno ideale. C’è un brano
in particolare che è la cosa più lontana che possa esistere dal mio
mondo musicale… e il mio mondo musicale, credimi, è vastissimo, ma
quella song proprio non appartiene al mio background. Per quel brano
ho dovuto fare un grosso lavoro di auto convincimento e tutt’ora ho
sentimenti contrastanti. E’ stato come chiedere ad un elefante di
volare, non so se mi spiego. La mia personalità verrà fuori del
tutto con un album di brani originali ai quali participerei nella
scrittura musicale, negli arrangiamente e facendo i conti solo con me
stesso come cantante, senza pensare a confronti con altri.
Rimanendo
su “Time machine”, abbiamo letto, prima della sua uscita, parole
di encomio verso di te, pronunciate da Fabrice Quagliotti. L’ho
letto un po’ come la vera investitura del tuo ruolo di frontman.
Come ti senti al riguardo e com’è lavorare con lo storico
tastierista? Fabrice
mi ha accolto con entusiasmo e ne sono onorato. Ancora mi do dei
pizzicotti chiedendomi se davvero sto lavorando con una figura
storica della musica europea degli ultimi 40 anni. Non me lo sarei
mai immaginato. In generale c’è molto rispetto delle parti.
Inoltre c’è molto cameratismo, la band quando è insieme si
diverte sia sul palco che soprattutto fuori, quando siamo in abiti
civili. Si ride un sacco!
Sei
il nuovo arrivato nella band, ma, come ho accennato nel report del
concerto, sei già entrato perfettamente nella parte, senza timori
reverenziali. Come vedevi i Rockets, prima di essere un Rockets?
Devo
essere sincero, non sono mai stato un fan. Non perché non mi
piacessero, ma semplicemente perché i miei ascolti si rivolgevano
altrove. Quando i Rockets del periodo silver erano al top del loro
successo, io ero ancora un ragazzino. Feci in tempo ad ascoltare
Galactica ma da lì a breve mi trasferii in Messico per il lavoro di
mio padre e non ero ancora un music addicted, quindi non ebbi modo di
approfondire i loro lavori. Tornato in Italia ero già in pieno trip
metal e hard rock e credo che i Rockets fossero già in discesa. Ricordo
però che Galactica mi aveva flashato già da piccolo, è un pezzo
che in tutti questi anni mi è sempre gironzolato per la testa,
perché ha quel sound rock con quel ritornello ipnotico. Lo associo
ai tempi in cui guardavo Goldake, Mazinga, Jeeg… e Galactica era la
colonna sonora dei sogni extraterrestri di ogni bambino di allora,
cantata da questi 5 alieni argentati. Puoi immaginare che viaggi
mentali che ci facevamo con i compagni di classe!
Nello
scrivere il report mi hai fatto notare un errore, quando scrissi che
era “One more mission” la canzone che ti “piaceva un sacco”.
In realtà era “Non stop”. Quali altri brani, oltre alla citata,
ti portano un maggior trasposto emotivo, specie durante i live?
In
The Galaxy è magica, Rock n Roll Loser ha un tiro pazzesco. Anche
Future Game, Rockets Land e Lost in The Rhythm sono una bomba dal
vivo. Un brano che trovo spettacolare è Legion of The Aliens, ma lo
canta Fabrice e per questo sono invidioso, ah ah ah!!! Mi
piace Our Rights perché è uno di quei brani in cui imbraccio la
chitarra. Credo che dal vivo adesso abbia un sound più energico che
in passato. Two guitars is megl che one.
Spero
che presto venga inserito in scaletta il brano Universal Band, è una
bomba e con le due chitarre sarà ancora più infuocata.
Ma
chi è Fabri Kiarelli prima di essere la voce dei Rockets? Quali le
tue influenze musicali, il tuo background?
Servirebbe
un’intervista solo per rispondere a questa domanda. Musicalmente
nasco rocker: già a 10 anni impazzivo (e impazzisco tutt’ora) per
Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, i primi ACDC, Kiss, Judas
Priest, Iron Maiden, Ted Nugent. Ho una venerazione quasi religiosa
per i Rush, amo da sempre il rock americano di Journey, Styx,
Foreigner, Kansas, Cheap Trick, Molly Hatchet, Eagles… sono un
discreto musicologo in tal senso. Non mi fermo mai ad un paio di
brani, ma approfondisco da sempre la produzione di ogni band ed ogni
artista. Attorno ai 20 anni è scoppiata la passione sfrenata per la
musica afro americana: funk, blues, jazz, soul e non ho più smesso
di studiarla e suonarla: Prince, Earth Wind and Fire Sly and The
Family, Rare Earth, Wilson Pickett, Bill Withers, Donny Hathaway,
etc. Stevie
Wonder mi aprii nuovi orrizzonti, l’ho ascoltato allo sfinimento.
George Benson è una mia grande influenza chitarristica così come lo
è Van Halen nel rock. Adoro Pat Metheny, Larry Carlton, Steve
Lukather, Gary Moore, Dann Huff è tra i miei idoli….Non faccio
distinzioni di genere. Amo il bebop di Sonny Rollins, Pat Martino,
Miles Davis, il jazz anni 70 di Herbie Hancock, il jazz rock di Jaco
e dei Weather Report, Chick Corea e i suoi Return To Forever. Anche
gruppi storici anglosassoni mi hanno rapito il cuore: Police, Pink
Floyd, Beatles, Eric Clapton, Elton John, Bowie. Il pop di Simply
Red, Depeche Mode, il rock ed il cantautorato di Billy Joel, Michael
McDonald, etc, il rock sofisticato dei Toto, degli Steely Dan. Degli
italiani citerei Dalla, Bennato, Renato Zero e Pino Daniele. Potrei
andare avanti per ore ad elencarti tutte le bands e gli artisti che
ammiro. Amo
tutta la buona musica.
Che
tipo di artista sei? Qual è la tua dimensione ideale? Insomma, ti
trovi più a tuo agio in uno studio di registrazione o su un palco?
D’istinto
preferisco il palco, ma non mi dispiace nemmeno stare in studio
durante il processo creativo. Sono un songwriter, un arrangiatore ed
un musicista, quindi non posso non amare lo studio di registrazione,
così come da performer non posso non amare il palco. E’
un po’ come chiedermi se preferisco i primi piatti o i secondi. Se
dovessi scegliere con un fucile puntato, allora ti direi il palco, ma
proprio perché costretto a decidere, altrimenti non mi pongo il
problema. Sono i due rovesci della stessa medaglia.
Una
cosa mi ha colpito del concerto, ovvero il modo in cui coinvolgevi il
resto della band. È un atteggiamento che ti viene naturale? Ce ne
vuoi parlare?
E’
un insieme di cose, ma viene abbastanza naturale interagire con la
band e con il pubblico. Per me solitamente ogni show è come se fosse
l’ultimo. Vai sul palco e dai il massimo perché il pubblico è lì
per te, non puoi deluderlo, non puoi far finta di essere dietro ad
una scrivania a sbrigar scartoffie come se non te ne fregasse nulla.
Ho sempre sognato fin da piccolo di essere davanti ad una platea.
Chiamiamola mani di protagonismo, ma lo faccio in maniera sana. Non è
solo esibizionismo. Credo faccia parte della natura del frontman,
devi essere un po’ sfacciato. Un mix di narcisismo, di mestiere, un
po’ perché reciti la parte e, molto ma molto, perché ci credi,
altrimenti si prenderebbe il primo che passa e lo si mette sul palco.
Ci
sono concerti in programma nel prossimo futuro per la band?
Qualcosa
c’è, ma a memoria non saprei dirti esattamente. So che ci sono un
paio di appuntamenti: Pistoia, Udine, non ricordo quando, ma in
generale il calendario si sta ancora definendo.
Hai
un sogno che si deve ancora avverare?
Posso
ritenermi ampiamente soddisfatto così come sono. Ho suonato in giro
per il mondo e per l’Italia con artisti più o meno famosi, sia
come cantante che come chitarrista. Era quello che sognavo da piccolo
e il sogno si è avverato più di una volta. Se proprio devo trovare
qualcosa, c’è un desiderio: i miei album solisti meriterebbero
molta più visibilità. Non tanto per me, ma per il pubblico che ha
voglia di ascoltare la buona musica, mi si perdoni la presunzione.
Vuoi
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mondo dei social?
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Fabri Kiarelli, Instagram: Fabri Kiarelli Music
Grazie
Fabri. Buona musica e ti auguriamo il meglio
Grazie
a voi. Ci si vede in giro on the road… again!
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