MICHAEL BONAVENTURE In tenebris
ratione organi
CD
(Eighth Tower Records)
Michael
Bonaventure torna con un nuovo interessante
lavoro, per la Eighth Tower Records. “In tenebris
ratione organi” è una sorta di oscuro viaggio nel
tempo e nello spazio, che parte dal krautrock e
dalla kosmische musik per arrivare al drone e al
dark ambient dei giorni nostri. Dopo i primi due
brani che sembrano usciti da una cattedrale
demoniaca dove Boyd Rice è in atto di celebrare la
sua personale funzione religiosa, così come sarà
nella seconda parte della title track più avanti,
arriva Morphodelic coi suoi toni sognanti ed i
mistici loop vocali. “Giant Silver” e “Distant
madrigal” sono invece perfetti esempi di
coesistenza di tessiture elettroniche ed
incursioni organistiche, mentre “Love transformed”
ha un tono più sacrale, come una jam session tra
Dietrich Buxtehude e dei moderni Popol Vuh.
Chiudono “Giant gold” e “Doom animal”, più
sfacciatamente estremi ed astratti. Probabilmente
unico nel panorama mondiale della musica
sperimentale, questo musicista ha il merito di
portare ai giorni nostri una visione inedita di
quanto ha ancora da dire uno strumento
straordinario e tra i più completi come l’organo,
che giace relegato negli stilemi del passato,
comparendo di rado e quasi sempre marginalmente
nei brani di gruppi moderni. Bonaventure ci regala
quindi una perla non solo musicale, ma di
saggezza, ricordandoci che a volte la vera
avanguardia è la perfetta riconversione e
ricollocazione di ciò che giace pressoché
inutilizzato in una nicchia del passato.
Sito web:
https://eighthtowerrecords.bandcamp.com/album/in-tenebris-ratione-organi
(M/B’06)
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NICK CAVE AND THE BAD SEEDS Ghosteen
CD / LP (-) Due.
Due come il doppio album che ci apprestiamo ad
ascoltare e due, ancora, come le facce di Nick
Cave. Un doppio, quello dell’artista australiano,
da non intendersi come un album variegato in cui
si alternano brani forti, intervallati a ballate
strazianti, ma un duplice modo di presentarsi: da
un lato la bestia inferocita dei concerti e,
dall’altro, il padre capace di piangere e
raccontarsi nel dolore per la morte del figlio.
“Ghosteen nasce decisamente a sorpresa,
annunciato, quasi fosse stato uno scherzo, in
quelle lettere che Nick Cave iniziò a scambiarsi
con i fan (spesso di giovanissima età) in cui ci
si raccontava e ci si metteva a nudo. E così,
dietro una copertina floreale che ci riporta ad un
clima di pace, tra prati verdi, cavalli bianchi,
leoni e altri animali (quasi i sopravvissuti
dell’Arca di Noè) e cieli sereni in cui penetra un
raggio di luce abbagliante (divina?), scopriamo il
successore di “Skeleton tree”. Ascoltandolo
“Ghosteen” non possiamo non considerarlo il
capitolo due del dolore. Un progetto musicale nato
quasi per espiare ed esorcizzare la tragica morte
del figlio. Se “Skeleton tree” era il primo canto
in cui Nick Cave metteva in musica e parole i suoi
stati d’animo, in “Ghosteen”, l’australiano sembra
sforzarsi nella ricerca di un po’ di pace (sarebbe
troppo parlare di serenità), comunque
nell’instancabile ricerca del figlio e di un
dialogo forse impossibile con lui. L’anteprima
mondiale del nuovo lavoro, spiegava le intenzioni
della band: una prima parte composta da canzoni
che rappresentano i figli, ed una seconda,
intervallata da una pausa e da una introduzione,
in cui le canzoni rimanenti rappresentano i
genitori. Le canzoni riprendono il clima
sonoro già sentito in “Skeleton tree”.
Dimentichiamoci le cavalcate marchio di fabbrica
dei Bad Seeds, qui le chitarre sono solo accennate
e diventano un piccolo contorno, mentre la parte
del leone è giocata dalle tastiere, dal pianoforte
e dai cori che contribuiscono a rendere etereo il
contesto sonoro; in mezzo a questo, la voce di
Cave, ispirata e carica di dolore (“I’m waiting
for you”). Un lavoro certamente non facile da
apprezzare al primo impatto, ma un disco che
ascolto dopo ascolto è capace di catturare perché
intenso e profondo. Mai come in questa occasione i
Bad Seeds si sono messi al servizio di Cave,
rinunciando (con la sola eccezione di un imponente
tappeto di synth) a virtuosismi di sorta o
interventi barocchi, dimostrandosi una delle
migliori band in attività. Quando commentai
“Skeleton tree” finii dicendo che era difficile
considerarlo un album musicale, apparendo quasi
una veglia funebre. A distanza di poco più di due
anni, potrei confermare la mia interpretazione,
aggiungendo l’idea che di quel lutto “Ghosteen” ne
rappresenta, di conseguenza, l’Anniversario.
Ritengo che l’ultimo album a cinque stelle dei Bad
Seeds rimanga “Push the sky away”. Ma questo è un
discorso di gusti musicali, e in certi casi la
musica deve lasciare il posto ad altre cose … e
quindi va bene anche un “Ghosteen” tra la nostra
collezione di dischi. Sito web:
https://www.nickcave.com/ghosteen/
(Gianmario Mattacheo)
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LACOLPA Ante lucem ac tenebras
Cdr (Autoprodotto)
Ritornano
i LaColpa con un ep che anticipa l’uscita del
prossimo album, dopo il convincente full length di
debutto “Mea maxima culpa” del 2017. Il
quintetto piemontese porta sul campo tre nuovi
brani micidiali, che confermano le ottime
sensazioni del precedente lavoro, rivelando un
approccio più primordiale, come a ricordare che il
genere di partenza è e rimane lo sludge, ossia il
fango, che non è altro che la terra o la polvere
da cui veniamo ed in cui ci dissolveremo, detta da
cristiani, e qui c’è tanto dei meccanismi di
questa religione oscura e apocalittica. Declinato
nelle vocals black metal del cantante Mario
Olivieri, nel noise delle chitarre rimodulate di
Davide Destro, del basso di Andrea Moio e della
batteria di Davide Boeri, che solcano terreni
crudeli e ruvidi incessantemente, in sincronia col
mastermind del rumore Cecco Testa, il risultato
finale è un inasprimento dell’impatto sonoro, un
ulteriore allontanamento dal mainstream e
un’accentuazione della voglia di portare questa
creatura abissale e demoniaca allo scoperto, come
uno dei Grandi Antichi maleodorante ed
incomprensibile, ma allo stesso tempo
profondamente affascinante. Il primo brano
“Welcoming the agony” si apre con un loop di
“Domine salvum fac” cantato dalla commovente voce
dell’ultimo cantante d’opera castrato Alessandro
Moreschi, che emerge tra lamenti di dolore: ma è
solo un attimo prima che entrino i ritmi
inesorabili di un muro doom metal e la voce di
Mario che ci dà il benvenuto in un mondo di
dolore, che si evolve in ulteriore disperazione
attraverso distorsioni e harsh noise prima di
tornare alla celestiale voce di Moreschi che
chiude il brano. La successiva “Mea maxima culpa”
preme l’acceleratore nella direzione di uno
sludge/noise più veloce e caotico, estremizzando
ulteriormente il precedente brano, senza lasciar
spazio a fronzoli melodici o atmosferici, ma
accrescendo la componente harsh noise in un
viaggio a metà tra Merzbow e Mayhem. La title
track finale sorprende ancora una volta,
mescolando suoni terrificanti ed una voce
catacombale e distorta, come negli episodi più
oscuri di band come Black Funeral, ma attraverso
ritmi lenti e tipicamente sludge, in una suite che
va oltre i dieci minuti e lascerà l’ascoltatore
disorientato e senza fiato. Questo ep che
sfiora la mezz’ora di musica, limitato a sole 33
copie, ha il sapore delle bombe che sconvolgono il
panorama musicale e accresce a dismisura l’attesa
per il prossimo full length. Ai LaColpa non
interessa il successo, non interessa fare soldi,
non vogliono piacere a nessuno, solo portare a
termine la loro ascensione musicale ed espiazione
attraverso il dolore e ci stanno riuscendo alla
grande.
Sito web:
https://www.facebook.com/LaColpa666
(M/B’06)
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COMMON
EIDER KING EIDER
Egregore Download (Cold Spring Records)
Per
questo nuovo lavoro del collettivo Common Eider
King Eider, Rob Fisk, unisce le forze con Yan
Arexis dei Cober Ord per dare vita ad un album di
drone/ambient rituale, fatto di quattro suite
popolate di rumori sinistri, vaghe percussioni e
riverberi marcescenti. Il lavoro affonda le sue
radici nei Pirenei in cui hanno avuto luogo i
rituali legati alla luna nuova di maggio del 2018
che costituiscono coi loro sussurri e i loro
rumori ambientali, la struttura portante delle
quattro tracce, che sono sostanzialmente offerte
fatte durante le invocazioni occorse tra le tarde
ore notturne e le prime del mattino, e richiamano
apertamente i quattro elementi base dell’alchimia,
fuoco, vento (o aria), acqua e terra, associati in
questo caso rispettivamente a sole, respiro,
sangue e ossa.
È
un lavoro dall’andatura lenta, incessante,
metodica e paziente: non può essere ascoltato come
un comune disco, ma vissuto, soprattutto a livello
interiore. Degno corollario sono i visual
riportati nella grafica del cd a cura di Kevin Gan
Yuen dei Sutekh Hexen.
Sito web:
https://www.facebook.com/CommonEiderKingEiderCaribouPeople
(M/B’06)
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DRAB MAJESTY Modern
mirror CD (Dais Records)
Ma quanto è bello tornare sentire della
(nuova) musica anni 80’!, e poco importa se è
stata composta in ritardo di una trentina d’anni
circa. I Drab Majesty, alla terza prova in studio,
si confermano degli splendidi portavoce di una
musica con connotati musicali non mascherati e,
volutamente, messi in evidenza come farebbe un
culturista pieno d’olio durante la sfilata. “A
dialogue” ci fa entrare in questo mondo retrò in
cui un imponente battaglione di tastiere presenta
un sound vagamente inquietante su cui si appoggia
un cantato freddo e robotico. “The other side” fa
sentire un po’ più le chitarre, in un pezzo che è
meno dark e più tendente al pop (ma di matrice
sempre e comunque eighties); stessa cosa dicasi
per “Ellipsis” che, scelta come singolo, forse
rimane un po’ meno a presa immediata, rimanendo a
metà strada tra un brano oscuro ed un bel pop.
In “Noise of the void” (una delle tracce migliori)
regna l’atmosfera ed è piacevole quel cantato che
pare arrivare da lontano, per un brano in cui le
elettriche mostrano i muscoli sul finale;
“Oxytocin”, ancora, sembra che trovi un equilibrio
perfetto tra le chitarre pungenti, i
sintetizzatori e la voce che prova a dare un
qualcosa in più sul versante melodico, mentre
“Long division” sembra fatta apposta per essere
suonata in quelle discoteche di chi ha deciso di
fermare le lancette dell’orologio al 1989,
perfetta nel suo essere dark con un ritornello
catchy destinato a rigirarti in testa. Chiude
“Out of sequence” con un sound in cui è un pò più
forte la vena dark truzza (in precedenza “Dolls in
the dark” aveva fatto la stessa cosa), in un brano
in cui la band sembra accostarsi maggiormente a
firme quali Sisters of Mercy, ma mantenendo
altissima la qualità del prodotto. “Modern
mirror” è un disco che non cambia assolutamente
nulla. Qui non si inventa nuova musica e tutto ciò
che sentiamo è stato già scritto; ma è un disco
piacevole, bello, dotato di fascino. Un disco che
pensiamo che non invecchi perché nasce già con un
po’ di polvere sulla copertina. Una sorpresa
discografica ed una delle cose più belle ascoltate
in questo 2019; un disco che rimarrà a girare
nello stereo anche dopo questa recensione, ne
siamo certi. (Gianmario Mattacheo) |
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IL
GOLEM DI CRISTALLO εἴδωλα CD
(Dusty Buddha Recordings)
Debutta
finalmente “Il Golem di Cristallo”: nato nel 2015
dalla mente di A. S. (ex Malasangre, RBMK), è un
progetto che si è sviluppato nel tempo attraverso
la partecipazione di musicisti provenienti da
diverse esperienze musicali, che ne hanno
determinato la commistione di stili, da
psichedelia a doom e post-rock fino al dark
ambient. Quattro tracce, lunghe suite rituali
orchestrate da S.B. da mediamente dieci minuti
l’una, dove la chitarra di A. B. e la batteria di
M.T. fanno da sostrato fondante di rituali e
rievocazioni di leggende, come quella della Ourang
Medan declamati da voci distorte: gli arpeggi di
chitarra affondando le radici nei gruppi della
scena prog rock italiana degli anni ’70 come
Goblin, Jacula e Biglietto per l’Inferno e lo
stesso nome del gruppo rievoca gli horror italiani
del medesimo periodo. La struttura musicale si
completa con la parte elettronica e rumoristica a
cura di A.S. e D.C. È un album originale che non
segue correnti definite o “modaiole”, ma piuttosto
trova una via personale nella perpetrazione di una
forma musicale come quella rituale, che sempre più
appartiene all’elettronica, qui vista invece in
chiave doom/post-rock.
Sito web:
https://www.facebook.com/ilgolemdicristallo
(M/B’06)
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LLYN Y CWN
Twll Du
CD
(Cold Spring Records)
Nuovo
lavoro per il gallese Ian Powell: Ian è un tecnico
che lavora per la School of Ocean Sciences presso
la Bangor University e che ha la fortuna di
trascorrere gran parte del suo tempo al lavoro sul
mare e nell’Artico a bordo di navi utilizzate per
la ricerca scientifica. Questa è quindi la
principale fonte di ispirazione per i suoi lavori,
che oltre a includere pezzi di maestoso ed intenso
ambient sullo stile di Lustmord e Sleep Research
Facility, unisce alla musica fotografie mozzafiato
raccolte dallo stesso Powell durante i suoi
viaggi. Più similmente al lavoro di quest’ultimo
progetto, l’intento di Powell è quello di
trasportare l’ascoltatore nelle gelide lande
desolate, come già fece Kevin Doherty con “Deep
Frieze”. Il risultato sono 55 minuti di puro dark
ambient che racconta la storia di Twll Du ossia il
“buco nero”, la spaccatura situata nel nord del
Galles, che divide la roccia di Clogwyn y Geifr in
Y Garn e Glyder Fawr e da cui esce spesso vapore
facendole guadagnare l’altro soprannome di “cucina
del diavolo”. Intensi riverberi che sembrano
mareggiate portano l’ascoltatore in uno stato di
sonno ipnotico, facendogli percepire tutta la
desolazione e la bellezza di questa musica.
Sito web:
https://llynycwn.bandcamp.com
(M/B’06)
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MOLOCH
CONSPIRACY
Baclou Download (Eighth Tower Records)
A cinque
mesi dall’ultimo “KUR”, che ha visto la
collaborazione con Xerxes The Dark e Uunslit, esce
il nuovo album del progetto del francese Julien
Lacroix. Il lavoro intitolato “Baclou” si basa
su field recordings effettuati dall'autore durante
un lungo viaggio nelle foreste del Suriname e
della Guyana Francese, che conferiscono un tono
isolazionista e fortemente ambientale nel vero
senso del termine alla struttura tipicamente
drone/dark ambient dei singoli brani. È un album
come di consueto oscurissimo, capace di portare
alla luce la spietatezza della natura rigogliosa
di quelle regioni, ma anche la sua fase notturna e
putrescente, chiamando in causa il Baclou,
creatura probabilmente derivante dal golem, parte
integrante del folklore della Guyana.
Attraverso la musica si compie un viaggio
disorientante, preda del caldo tropicale, del
tripudio di forme di vita spesso letali, in una
costante ricerca di sicurezza e di un luogo sicuro
che non ci può essere, dove percussioni tribali in
lontananza ricordano che il pericolo peggiore
forse proviene dalla nostra stessa specie.
Sito web:
https://www.facebook.com/moloch.conspiracy
(M/B’06)
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OPIUM DREAM
ESTATE
Dark
shines CD
(Attuned Records)
A due
anni di distanza dall’ultima uscita, che fu del
doppio singolo “Kneel To The Cross / For Old
Times’ Sake”, ritorna questo quartetto parigino
con un ep di ottimo livello, a cavallo tra indie
rock, folk psichedelico e blues. Sei tracce in
meno di mezz’ora di musica che lascia il segno sia
per la varietà di stili, che soprattutto per la
straordinaria capacità di farli convivere e
amalgamarli con una formula più che convincente.
Ritmi lenti, un cantato coinvolgente ed
emozionante e delle oscure melodie irresistibili
come in “Swampsong”, che ricordano da vicino le
strampalate narrazioni di Nick Cave, che si
ritrovano in “Gotta get murdered” ed i King Dude
nella bellissima opener “Black desert blues” non a
caso, vista la pesante influenza del rock
americano, ma anche i Death in June e Sol Invictus
più neo-folk nel brano “A mermaid”. Se queste sono
le premesse, davvero non manca nulla al
travolgente successo di questa band.
Sito web:
https://www.opiumdreamestate.com
(M/B’06)
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SINEZAMIA Fingere di
essere CD (Sliptrick records)
Ritorna una nostra vecchia conoscenza, i
Sinezamia, band mantovana attiva dal 2004 che ha
prodotto diversi singoli, EP e demo. "Fingere
di essere" è il secondo album di lunga durata della
band capitanata da Marco Grazzi. L'influenza
dei Litfiba ha da sempre contraddistinto la musica
dei Sinezamia ma in questo album, che contiene
dieci tracce, la band ha un tocco più personale
come nel brano "Nel Blu" e in "Lontano", pezzo
degno di nota, in cui le atmosfere alternative
rock anni '90 si fanno sentire di più. Altro
brano secondo me che si distingue è "Fingere di
essere", che da il titolo all'intero lavoro, che è
il brano di punta dell'intero lavoro. I brani
che preferisco sono "Se non provo più" e "Ora e
qui", pezzi più lenti che ricordano i Litfiba e
mischiano le sonorità raffinate di "Litfiba 3" a
quelle più rock di "Terremoto". Le atmosfere
generali che si sentono nell'album sono un misto
tra new wave, alternative rock e hard rock
(soprattutto la chitarra in alcuni punti). Con
"Fingere di essere" i Sinezamia osano di più
rispetto alle precedenti produzioni cercando di
dare un tocco più personale a questo album
nonostante sia un periodo non facile per chi
produce musica. La musica è in crisi, ormai
l'utente medio "usa e getta" brani in streaming e
ascoltati di fretta. Nononstante questo la
band, attingendo da più generi musicali, produce
un album, che se ben supportato, potrà soddisfare
un pubblico decisamente più eterogeneo.
http://www.sinezamia.it/
(Nikita) |
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SOLCO
CHIUSO Slanci Tremori Schianti
CD (Steinklang Industries)
Side-project di
Gabriele Fagnani della Corazzata Valdemone, Solco
Chiuso nasce nel 2014 ed esordisce di fatto nel
2015 con ‘Human Textures’, replicando due anni
dopo con il granitico ‘L’Alcova d’Accaio’, da noi
trattati all’epoca su queste stesse pagine.
L’elemento futurista, già presente nei lavori
precedenti, si realizza pienamente - sin dal
titolo - in questo ultimissimo ‘Slanci Tremori
Schianti’, in uscita per la storica label
austriaca (già da qualche tempo stabilitasi in
Lettonia) Steinklang Industries. Il nostro
Marinetti ma anche la francese Valentine de
Saint-Point, autrice nel 1912 del ‘Manifesto della
Donna Futurista’, donano linfa ed ispirazione al
lavoro di Solco Chiuso, che con le sue trame di
sulfureo industrial-ambient desidera fortemente
affermarsi come un contemporaneo ‘Intonarumori’
della nostra era. Lo desidera, e ci riesce: i
dodici manifesti sonori del disco traspongono
idealmente ‘Slanci’, ‘Tremori’ e ‘Schianti’ di
futurista memoria riattualizzandoli tramite i
mezzi elettronici della moderna tecnologia, che
ben si amalgamo con gli stralci di scritti di
Marinetti e della Saint-Point marzialmente
declamati da Gabriele. ‘Volontà Esorbitata’,
‘Vampa Trionfale’, ‘Manifesto dell’Ultra
Violenza’, ‘Poesia Incendiaria’: eccovi qualcuno
tra i titoli altisonanti che compongono l’opus di
Solco Chiuso, parole come schegge d’acciaio che si
trasformano in suoni altrettanto incandescenti. Se
il main-project della Corazzata si addentra
ultimamente verso territori di stampo neo-folk,
Solco Chiuso tiene pienamente fede al verbo
industriale, che ben si confà all'immaginario di
acciaio scintillante e levigato dell'universo
futurista. Dodici ‘Strilli di Metallo Scottante’,
parafrasando il titolo del capitolo di chiusura
del disco, da ascoltare a volume potente rimirando
una galleria di immagini geometriche in perenne
movimento di Balla e Boccioni. Ultima curiosità:
il disco esce l’ undici di ottobre dell’anno in
corso, perpetrando la tradizione del giorno undici
come data ricorrente nell’uscita di non poche
opere e manifesti futuristi. Info:
https://steinklangindustries.bandcamp.com/album/solco-chiuso-slanci-tremori-schianti-cd-oct-2019
(Oflorenz) |
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SONOLOGYST
Phantoms Download (Unexplained Sounds
Group)
Prosegue
incessante la ricerca sonora di Raffaele Pezzella
coi suoi Sonologyst, progetto ispirato alle
sperimentazioni rumoristiche degli anni ’50-’60,
attualizzate con gli strumenti moderni. L’album in
questione suona come un freddo collage sonoro che
ricorda i momenti più estremi di artisti come
Maurizio Bianchi o Steven Stapleton.
L’introduttiva “Phantoms” ne è il perfetto
esempio, introducendo un’atmosfera malata e
allucinata che non abbandonerà il disco fino alla
fine, mentre forse il pezzo migliore è “Shamanic
rite passing on a surgery table equipped with
azzax and trumpet view” una sorta di rituale à la
Zero Kama in chiave noise, che i ricorda i sabba
demoniaci dei primi Current 93. I campionamenti su
cui nascono i vari brani assumono un accento
totalmente distopico, asserviti ad una funzione
inquietante e disorientante. Field recording e
musique concrète si uniscono in un patto
scellerato col fine di riportare in auge quanto di
più oscuro è stato prodotto nei decenni scorsi con
il solo ausilio di scarsa strumentazione e tanta
ispirazione, questa volta però in maniera
consapevole e con alle spalle tanta tecnologia e
mestiere.
Sito web:
https://sonologyst.bandcamp.com/
(M/B’06)
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TÖRST
/ CANECAPOVOLTO
In
France CD (autoprodotto)
A circa
quindici anni di distanza ritornano a lavorare
insieme i salernitani Törst ed i catanesi
Canecapovolto. Alfieri di uno sperimentalismo
spinto sin dagli esordi negli anni novanta, e
allergici a qualunque tipo di limitazione legata
al genere trattato, entrambi hanno perseguito la
loro poetica ricca di personalità fino ad oggi.
Spiriti affini, ritrovano loro stessi alla
perfezione, come se il tempo non fosse mai
trascorso: ne risulta un lavoro dichiarato come
trasposizione di sogno, ricolmo di campionamenti e
strumenti come campane tibetane, [d]ronin, flauti,
percussioni, pianoforte, theremin e chitarra, coi
contributi di Stephen D. Conway nelle parti
declamate e di John Crosby alla chitarra nel brano
“This sensation was strong”. Il cd da 33 minuti
circa scorre via in un sol fiato, come una visione
astratta che pare un incrocio tra i Kapotte Muziek
e la trascendentale collaborazione Nebulon &
Hybrids “Clavis”, con eccellenti momenti di drone
ambient e scarno rumore mai stucchevole, che
disorienta l’ascoltatore e non gli permette di
fermare la giostra su cui è salito.
Sito web:
http://www.torst.com;
https://vimeo.com/canecapovolto
(M/B’06)
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VIOLENT FEMMES
“Hotel Last Resort” CD
(PIAS recordings)
Non occorrono troppe
parole per spiegare il perché ogni uscita che
riguardi VIOLENT FEMMES è attesa con grande
partecipazione emotiva e difatto ogni loro nuovo
disco è una conferma della quale si può solo
parlare in termini di capolavoro. Pionieri
indiscussi di un Alternative-Rock che riesce a
mescolare alla perfezione più generi, la band
proveniente da Milwaukee, Stato del Winsconsins
centro-nord degli USA, con HOTEL LAST RESORT
giunge all’undicesimo album in studio. Il loro
stile acido conserva intatta la solita malinconia
alcolizzata; è un viaggio di andata e ritorno
consumato nel whiskey. Gli umori sono Borderline,
debitori del Rock’N’Roll e del Punk, loro punto di
partenza quarant’anni fa. Lo spoken iniziale di
Another Chorus apre alla serie di canzoni lacerate
e laceranti dove fanno capolinea Blues (I’m
nothing, Paris to Sleep), Country (I Get What I
Want, Not OK, Everlasting You, This Free Ride),
Gospel (I’m Not Gonna Cry), Folk (Sleepin’ at the
Meetin’) e suoni autoctoni (Adam Was A Man, It’s
All Or Nothing) che rimandano ad Hallowed Ground.
La title-track che da il nome alla release vede
come ospite alle chitarre Tom Verlaine dei
TELEVISION mentre la conclusiva God Bless America
sembra, o meglio è una provocazione nel suo
patriottismo Post-Hippy da rivoluzionario
sognatore (nonostante l’amore dichiarato da parte
di Gordon Gano, leader e voce del gruppo). La
presenza di ospiti di un certo livello non è nuova
nei loro lavori: John Zorn, Steve Mackay sono solo
alcuni dei nomi con cui hanno collaborato.
Tornando all’album ed alla musica più che di
Alternative-Rock potremmo parlare di Art-Rock;
tredici canzoni nel loro inconfondibile stile non
aggettivabile. La verità è che i VIOLENT
FEMMES hanno da sempre unito poesia a musica
prendendo le distanze da tutto e tutti; per questo
le loro composizioni risultano essere da sempre
taglienti e tormentate. Mi inchino a questa
ennesima riprova.
(Luca
Sponzilli) |
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