Non posso fare a meno
di iniziare queste righe di commento partendo con
la più banale delle frasi sullo scorrere del
tempo: “Ma come passa veloce … ecc. ecc.”.
Non mi riferisco alla
durata del concerto (non sono ancora arrivato alla
cronaca vera a propria), ma alla mia
personalissima esperienza con i Placebo. Già,
perché controllando i vecchi tagliandi che
conservo, mi rendo conto che sono trascorsi 17
anni dall’ultima volta che li vidi in azione e,
come è facile comprendere, il 2006 mi sembra
passato da poco più di cinque minuti!
Un grazie lo riservo
sempre a Red Ronnie. Fu lui (con “Help”, gioiello
di trasmissione su Videomusic) che mi fece
scoprire questo gruppo e ricordo, mentre partivano
le note di “You don’t care about us”, l’emozione
per quelle note che mi stavano portando a
capottarmi dalla poltrona e gridare: “Questa sarà
la nuova “Inbetween days o la nuova “Boys don’t
cry” degli anni 2000!”.
Ok, finita la fase
nostalgia, possiamo tornare a noi. I Placebo
portano in tour il loro ultimo album e, nel farlo,
scelgono una location difficile da eguagliare in
quanto a bellezza. Il Sonic Park di Stupinigi ha
il pregio di tenersi,
infatti, di fronte ad una delle più affascinanti
costruzioni di Torino, ovvero quella palazzina di
caccia, storica residenza sabauda, meta costante
di visitatori in ogni periodo dell’anno.
Dopo la performance dei
Bud Spencer Blues Explosion, i due Placebo (in
completo bianchissimo) fanno l’ingresso,
accompagnati da ben quattro turnisti.
“Forever Chemicals” è
il pezzo d’apertura, esattamente come lo fu
dell’ultimo lavoro in studio, assoluto
protagonista dei concerti di quest’anno. Di fronte
ad un pubblico numericamente discreto, ma ben
lungi dal rappresentare un qualsivoglia sold out,
il duo appare subito in palla e, con la bellissima
“Beautiful James”, loro accendono la corrente e
noi stacchiamo la spina per un’ora e mezzo di
divertimento.
La resa sul palco è
quella che ci aspettiamo, ovvero un sound dominato
da chitarre, ma, prima ancora da un’elettronica
sempre presente, capace di fare da collante con la
caratteristica voce un po’ nasale di Molko.
Nella porzione centrale
apprezziamo una “Happy birthday in the sky”
(dimessa, per non usare la parola triste) che
parte tranquilla, prima di accendersi sul finale
e, soprattutto, quella che sarà l’unico estratto
dall’album d’esordio, ovvero una coinvolgente
“Bionic”.
Poi Brian Molko la
mette in politica: “Giorgia Meloni, fascista e
razzista … Vaffanculo!” Ma sì, ci sta, come darti
torto. Peccato soltanto che le sue riflessioni
socio politiche non abbiamo avuto il tempo di
esprimere interessanti punti di visti sul Dragone
e sul Conte; certo avremmo imparato di più su cosa
significa fascismo da chi ci vede dall’estero.
La parte più
coinvolgente della serata si ha quando i Placebo
tirano fuori un trittico particolarmente centrato:
“For what is worth”, “Slave to the wage” (premio
canzone della serata) e song to say goodbye”,
portano ai primi veri balli in platea, prima di
“Infra red”, scelta per chiudere il set.
La partita, per essere
conclusa definitivamente, ha bisogno dei bis.
“Shout” dei Tears For Fears è accolta benissimo
dal pubblico e “Running up that hill” trova una
seconda e abbastanza scontata giovinezza, dopo che
“Strangers things” ha rimesso sulla cartina
geografica musicale il nome di Kate Bush.
La note negativa,
almeno per chi scrive, è quella di non avere
neppure un estratto dall’album che considero il
loro capolavoro, ovvero “Without you I’m nothing”.
Questo è un vero peccato. |