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NICK CAVE AND THE BAD SEEDS
Live Arena di Verona, 4 luglio 2022.

Testo e foto di Gianmario Mattacheo



L’Arena è sempre stato un mio pallino. Nei miei giri di fantasia ho sognato di assistere qui a grandi concerti. È vero, i Cure non ci sono neppure passati, ma quando ho visto che Nick Cave con i suoi cattivi semi avrebbe suonato nella più suggestiva location di Verona, il comprare il biglietto rappresentò già un bel pezzo della concretizzazione di quel sogno.

Dopo una giornata da bollino rosso per il caldo, proprio nell’imminenza del concerto, accade il classicone degli eventi live, ovvero un bell’acquazzone che costringe a rimandare, di un’ora abbondante, lo spettacolo. Per fortuna la pioggia battente ha infierito, ma non ha ucciso, stemperandosi verso le 22.00, proprio in prossimità del rimandato segnale di start.
Scalpita Re Inchiostro quando sembra non aspettare altro che dire al suo pubblico di “prepararsi all’amore”; “Get ready for love” (anche se prende una pericolosa “tibiata” mentre sta per andare in zona Sclavunos e coriste) e subito dopo “There she goes, my beatiful world”, canzoni con cui si apre il concerto, ma è con il terzo pezzo che ci si infiamma, facendo evaporare tutta l’acqua caduta nella serata. “Ah, voglio parlarti di una ragazza” è l’incipit di “From her to eternity”, quel brano la cui resa live è capace di superarsi in ogni occasione, ma anche quello che, da solo, basterebbe a giustificare la trasferta.
C’è però qualcosa di “anomalo” nel concerto, soprattutto rispetto agli ultimi Cave visti dal vivo.
Troppa, troppa distanza tra il palco e le prime file. Se a questo aggiungiamo come tutti fossero obbligatoriamente costretti sulle sedie, non è difficile immaginare la difficoltà aggiuntiva per l’australiano.
Il concerto prosegue con un Cave che ringrazia più volte il suo pubblico. Mentre si susseguono i brani: “Jubilee street” è senza dubbio una delle migliori, “Carnage” una delle nuove e più apprezzate in scaletta e “Tupelo” il classicone che non può mancare.
Fatta salva la premessa di qualche riga sopra, Cave non vuole comunque rinunciare ad contatto con i suoi fedelissimi; ecco, allora, spingersi tra le prime file e fare quella roba che solo lui compie in quel modo. Tocca mani, si fa sommergere dai più invasati, grida in faccia alle persone, per poi commuoversi, mentre alza le braccia in cielo.
Classici e brani meno scontati si danno il cambio. La cavalcata per eccellenza di “Mercy seat” e “The ship song” sono due momenti imprescindibili, “Red right hand” uno dei tanti capolavori di “Let love in”, mentre “White elephant” è un brano accreditato ai soli Cave e Ellis.
Un rientro con l’ovazione per “Into my arms”, in cui non mancano baci tra innamorati e luci dei telefonini e “Vortex”, afferente all’orbita delle B-side del gruppo.