Il momento in cui si acquista un biglietto per
un concerto è sempre un momento particolare che si
carica di una certa intensità. Per essere sicuro
di farmi capire bene, spesso gioco la carta del
sembrare ancora più scemo e non creare
incomprensioni con la gentile venditrice. Per
esempio, nel momento topico in cui acquisto quello
dei Cure non uso mai il mio fluente inglese, ma
per evitare che mi si venda un live show di
qualche merda dei nostri tempi, non pronuncerò
“Chiur”, italianizzandolo in C.U.R.E. ed il gioco
è fatto; il biglietto è in tasca (anche se,
normalmente, la venditrice continui a non sapere
nulla di questo gruppo che offre attenzioni
termali). Ecco, tutto questo si complica ancora
di più con gli Einsturzende Neubauten. Mi reco
dalla sopraccitata venditrice e snocciolo (questa
volta sì) il mio fluente tedesco, ma il suo
sguardo si fa corrucciato, non mi crede e,
probabilmente, pensa di trovarsi di fronte al
solito simpaticone che vuole fare il brillantone.
Allora, scandisco per bene EINSTURZENDE NEUBAUTEN,
ma questa volta il suo sguardo peggiora e pensa
che le abbia ruttato in faccia. Per evitare che
chiami la sicurezza mi affretto a scrivere su un
foglio il nome della band e, dopo interminabili
minuti, tutto si risolve. Ecco, un concerto
degli EN parte così.
Siamo a Torino, al
teatro Colosseo. Proprio nell’accogliente arena
sita nel quartiere San Salvario, li vidi anni fa,
ed oggi la band di Blixa Bargeld recupera le date
annullate a seguito del Covid. Di fatto,
questo, finisce per essere a tutti gli effetti un
tour promozionale dell’ultima fatica dei tedeschi,
quell’ “Alles in Allem” targato 2020. Band che
si presenta al solito impeccabile in abiti
raffinati. Spiccano Blixa Bargeld e Alexander
Hacke, come di consueto a piedi nudi, mentre il
premio del più elegante viene aggiudicato da
Jochen Arbeit, in un completo da sposo azzurro.
Oltre alle citate canzoni di “Alles in Allem”,
spiccano una “Nagorny Karabach”, la “How did I
die” di “Lament” e “Sonnenbarke” dal capolavoro di
“Silence is sexy”. Spiace non sentire perle del
passato più o meno recente. Ho un debole per
“Perpetuum mobile”, lasciato (come, peraltro,
molti altri album della discografia) nei cassetti
a Berlino, ed un concerto orfano di “Youme and
meyou” per chi scrive perde non poco in magia.
Stesso discorso per “Let’s do it a dada” che
rappresentava una sorta di brano irrinunciabile da
quando fu partorito “Alles wieder offen”. Una
lente di ingrandimento sui protagonisti. Blixa
Bargeld lo abbiamo già detto; è una delle voci
meno considerate nel mondo del rock, capace di
fare qualsiasi cosa, compreso diventare un vero e
proprio strumento, tanto che non è infrequente
avere il dubbio se in certi frangenti il suono
arrivi dalle sue corde vocali o dai colleghi con i
relativi marchingegni di scena. N.U.Unruh ha il
dono del rumore; pare che l’abbia inventato lui il
rumore, insieme a tutti quegli aggeggi auto
costruiti. Le sue performance sono uno spettacolo
nello spettacolo, sia nei pezzi più tranquilli, in
cui non è sacrificato, ma è complice con semplici
tocchi della melodia, sia in quelli più scatenati,
dove inevitabilmente diventa primo attore. Oggi,
invero, è meno trascinante rispetto ad altri
episodi del passato, ritagliandosi un ruolo più
marginale e riservando a Rudolf Moser il compito
di essere il principale rumorista del gruppo.
Ma la vera gioia del concerto è, soprattutto,
quello di vedere interagire insieme tutti e cinque
i musicisti. Sono una sorta di macchina oliata
perfettamente; un complesso che suona veramente
insieme, in cui ogni membro è funzionale e
indispensabile per la riuscita dello spettacolo.
Si scambiano ruoli e oggetti di scena, passando
dagli strumenti tradizionali al carrello della
spesa, dall’aria compressa a stravaganti manufatti
percussivi. Dopo un generoso concerto, la band
sceglie “Redukt” per salutare il pubblico e poi,
come gli attori di teatro, si pongono tutti in
fila per l’inchino e l’ovazione generale.
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