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EINSTÜRZENDE NEUBAUTEN
13 e 14 Novembre 2010 @ Estragon, Bologna

testo by Gabrydark
foto di Cristian Moro

Sono trascorsi due anni da quando vidi all’Estragon gli Einsturzende ed il loro ritorno addirittura con due serate successive, il 13 e il 14 novembre, la prima con un live classico, la seconda con video e performance, incuriosisce come sempre.

Costituitasi agli inizi degli anni ‘80, la band berlinese si è distinta per originalità e sperimentalismo nell’ambito della musica, producendo sonorità innovative tratte da materiali industriali ed inediti per la realizzazione di strumenti musicali. Quest’anno in occasione del trentennio di attività e di sodalizio portano tra Stati Uniti ed Europa il loro tour dal titolo “Three decades of Einsturzende Neubauten”.

Il live di Bologna è sold out da tempo e la sera del 13 il pubblico è folto; all’interno ogni spazio è occupato da qualcuno, quando alle 22.00 in punto , non per niente sono tedeschi, gli Einsturzende iniziano il concerto, fra gli applausi e le grida dei fan tra i quali si ode parlare francese, tedesco, inglese e tante inflessioni dialettali italiane.
Blixa Bargeld appare appesantito, ma non la sua voce ancora possente, vitalissima, modulata durante l’esecuzione da note basse e scure ad altre acute e stridenti. Dopo il primo pezzo egli saluta in un italiano leggermente faticoso il popolo di via Stalingrado, alludendo all’ubicazione dell’Estragon, suscitando l’entusiasmo, che sarà sempre vivace ed alimentato anche dall’energia degli altri componenti della band.

Strumentisti veramente di grande qualità, in grado di trarre suoni da ogni oggetto, quelli classici, come il basso o la batteria, a marchingegni assurdi formati da tubi o putrelle d’acciaio, accompagnano o sostituiscono con la loro veemenza il cantante, dimostrando una condivisione di intenti che viene dalla loro trentennale esperienza insieme. Veramente carichi sono il bassista Alexander Hacke , che con la sua canottiera proletaria domina lo spazio e la scena musicale, insieme al grandissimo percussionista Unruh e il batterista Rudolf Moser che si esibisce in uno strepitoso e furente assolo su sbarre d’acciaio; ad essi si unisce anche la più flebile ed onirica chitarra di Jochen Arbeit.
Il concerto procede con una scelta di brani che spaziano tra l’irruenza di suoni contemporanei come si sentono nei cantieri o nelle fabbriche, ma miracolosamente e meravigliosamente duttili e manipolati a costituire delle melodie, a cui vengono inframmezzati alcuni brani più tranquilli, quasi a volere suscitare una volta di più stupore per come sia possibile creare un sound tenue, addirittura fragile e malinconico da materiali duri e rigidi.
Mentre mentalmente sto paragonando la band ai futuristi dei primi del ‘900, che adoravano ascoltare e riprodurre i rumori delle macchine , dei meccanismi industriali , il “grande“ Blixa cita sorprendentemente Russolo e Marinetti , non risparmiando al pubblico italiano una dissacrante osservazione su come sta il duce, confermando comunque la matrice culturale da cui sono partiti gli Einsturzende; rafforza questo concetto suonando lui stesso uno strano strumento che ricorda “l’intonarumori”, un generatore di suoni acustici elaborato nel 1913 da Russolo.
L’entusiasmo del pubblico è all’apice e Blixa si muove col corpo all’unisono con la musica (lo ricordavo più statico nell’altro concerto, ora sembra aver perso quell’imperturbabilità un po’ algida che creava un certo distacco fra palco e platea) e viaggia rapidamente verso il termine del live.
Alle insistenze dei fan risponde con un bis strepitoso che suscita ovazioni e giubilo.
Ricordo alcuni tra i brani più famosi e belli suonati nel live come The Garden, Die Befindlichkeit des Landes,Let’s do it a Dada ,Headcleaner,Total Eclipse of the sun.

Il concerto conferma comunque la sempreverde espressività del gruppo che continuamente sollecita il pubblico tra raffinate ricercatezze melodiche e devastanti ossessivi rumori, tra energiche note d’impatto e fibrillazioni sonore appena percettibili sottolineando la sua attualità ed importanza nel mondo della musica per la sottesa fondatezza culturale che lo contraddistingue, che, per fortuna nostra e loro , non ha ceduto nemmeno un po’ alla commercializzazione ed alla banalità oggi imperante.

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