Salute
Jacopo, benvenuto sulle pagine oscure di RS NAKED
LUNCH, “Il pasto Nudo”, William S.Burroughs:
un nome che ha influenzato non poco la cosiddetta cultura industriale,
a partire sin dai seminali Throbbing
Gristle verso il termine degli anni
’70, e la cui influenza è ancora ben viva a tutt’oggi. Nel centenario
della nascita dell’autore americano, intitolare la label al suo romanzo più famoso potrebbe suonare come un vero
e proprio tributo…
Allora,
intanto ti ringrazio Stefano per lo spazio offerto sulle pagine
di RS, webzine che sfoglio digitalmente sempre con immenso piacere.
Venendo alla domanda: effettivamente sono influenzato dall'opera
di William S. Burroughs, sia a livello letterario che meta-culturale.
Il Pasto Nudo ha permeato senza dubbio i primi passi della Naked
Lunch quando, al momento della fondazione, necessitavo di un appoggio
simbolico o comunque paradossalmente non verbale, che esso sia
un libro è ininfluente, mi premevano maggiormente le implicazioni
che l'immagine del testo esercita sul pubblico, atto a differenziare
la mia etichetta dal resto del panorama. In realtà mi sono rivolto
prima alla rivisitazione cinematografica ad opera del canadese
Cronenberg per poi giungere a recuperare alcune suggestioni tratte
dal romanzo. Non è un segreto che la pellicola - ed in genere
l'apparato multimediale - attragga maggior attenzione rispetto
alla parola scritta. C'è, anche, una parte di tributo ad uno scrittore
la cui esistenza proteiforme ha consegnato al nascente
movimento “industriale” le armi sintattiche per opporsi allo status
quo e queste medesime regole grammaticali sono al centro del progetto
Naked Lunch. Il risvegliare le coscienze,
portando l'ascoltatore a relazionarsi direttamente con il formato
audio, superando il mio ruolo che è quello di semplice portatore
di informazioni, di messaggero tra l'artista e l'ascoltatore è
il mio fine ultimo.
Nella
descrizione della tua label reperibile
on line sui social networks la descrivi come una “piccola etichetta
dedicata all’area industriale, power
electronics, noise,
drone ed ambient”. Cosa ti ha spinto ad intraprendere questa sfidante
avventura nel panorama musicale italico odierno, alquanto asfittico
e sempre più ostaggio della musica liquida “usa e getta”?
A
17 anni ho cominciato a gestire un piccolo mail-order
dedicato alle espressioni estreme, underground o divergenti della
musica “altra”. Ho avuto modo di conoscere, apprezzare, collaborare
con personaggi dotati di enorme talento ovvero di invidiabile
passione, sovente senza cercare un riconoscimento altrui. In genere,
si accontentavano di una release in 20 copie su cd o cassette
riciclate, con copertine di fortuna, distribuite prevalentemente
con il passa-parola online da etichette estremamente povere di
mezzi, tuttavia ricche di buona volontà. Quest'esperienza mi ha
insegnato ad amare il supporto fisico non come un pezzo di plastica
sul quale un masterizzatore ha duplicato delle tracce, ma come
la materializzazione di ogni singolo secondo speso a registrare,
editare, missare, comporre. La musica “liquida” in mp3 non può
assolutamente consentire di ripercorrere, presi per mano dal gruppo
o dal singolo, le varie fasi del processo di creazione. Il pezzo
è lì, pronto, non spiegato né meditato. Un semplice file, uguale
ad altri migliaia che ogni giorno entrano nella memoria fisica
del nostro personal computer. Noto una certa difficoltà o renitenza
nel riconoscere la superiorità spirituale del supporto analogico
tra i miei coetanei. Numerose volte ho dovuto tentare di spiegare
il motivo per cui avere 12.000 brani musicali “rippati” a 192kb non equivalesse esattamente ad “ascoltare”
ma piuttosto ad “udire o sentire”. Con la Naked
Lunch vorrei dimostrare che la società liquida si può combattere
o, almeno, che è possibile distinguere ed avere consapevolezza
della differenza di scopi di ogni formato. Anch'io posseggo un
Ipod, mi collego a Facebook, spedisco email o navigo su Youtube.
Ma cerco di separare la sfera inerente alla virtualità , la quale
non è il Diavolo per definizione, ha i suoi innegabili meriti,
da quei momenti in cui mi ritaglio uno spazio nel quale il “fisico”,
il corporeo prende il sopravvento, il tempo torna a scorrere lentamente,
le informazioni reperibili in un minuto sono una minuzia, dove,
in conclusione, restiamo, io ed l'opera scelta, soli a studiarci
nella stessa stanza.
Maurizio
Bianchi e Siegmar Fricke
da un lato, ma anche Le Cose Bianche e E
Aktion: tra le tue prime proposte troviamo i mostri sacri
del genere affiancati dalle più valide avanguardie che ne stanno
perpetrando il messaggio, personalmente lo trovo una scelta bellissima.
Cosa possiamo attenderci nel prossimo futuro da Naked
Lunch?
Nel
futuro della Naked Lunch ci sono i Lilyum (vi ricordo che il 25 settembre esce il loro nuovo
disco!), gruppo oramai alla quinta fatica discografica, da Torino
che mi hanno presentato un album dagli attributi, veramente, parlando
di black metal, ai livelli delle migliori
uscite internazionali. Sergio, il master-mind, ha svolto un lavoro eccezionale in fase compositiva.
In successione, il nuovo CD de Le Cose Bianche, previsto per fine
ottobre, “Pornography Should Not Be An Illusion”, nel quale Gio incontra alcune tra le figure chiave nella “scena”, ossia
Eraldo Bernocchi, Paolo Bandera,
Wertham, la Macelleria Mobile di Mezzanotte.
Un'uscita che gli affezionati ad un suono analogico, violento,
ma allo stesso tempo profondamente filtrato dalle singole personalità
in gioco, ameranno. Assieme al summenzionato album, i primi cinquanta
ordini riceveranno una copia della ristampa cdr
di “Aesthetics Of A Good
Pornographer”, edito in passato da Industrial
Culture solo su cassetta. A novembre sarà il turno di una formazione
post-black capitanata dal romano Rodolfo
Ciuffo, i Seventh Genocide, che pubblicherà
con me il secondo full-lenght della
loro promettente carriera. Sempre in autunno sono previsti “Cluster
B” dei fenomenali E-Aktion e la ri-edizione
su cd di “Modern Holocaust”
di LCB, il primo suo lavoro. Nel 2015, pur essendo relativamente
presto, vorrei lavorare con il binomio Corrado Altieri-Gianluca
Favaron (ci sono già delle idee e dei
pezzi), poter continuare la mia collaborazione proficua con Giovanni,
che sta mettendo mano ad un nuovo, interessantissimo progetto,
intitolato “Born” che vedrà protagonisti
ospiti davvero inattesi. Senza, tornando al presente, commettere
il peccato di dimenticare l'uscita di The Anguish,
avvenuta la settimana scorsa, il progetto ispirato a Whitehouse
e SPK di Daniele Santagiuliana.
Il
supporto fisico sta al centro della filosofia di realtà come la
Naked Lunch, sia esso il classico cd/cdr
piuttosto che l’impareggiabile nastro analogico che tanto amiamo.
A proposito di quest’ultimo, so che hai lanciato da poco una sussidiaria
della NL, “City Of The Red Light”. Una
nicchia nella nicchia potremmo dire… Hai in previsione la stampa
o ristampa di qualche supporto in vinile, magari a tiratura limitata?
La
City Of The Red Light è un'avventura
nata dall'idea folle di proporre sonorizzazioni nuove in un formato
“superato” ed ovviamente, se si materializzerà l'occasione propizia,
non escludo la pubblicazione di un vinile limitato. Mi piacerebbe
poter riproporre le vecchie tape di Dead Body Love, ad esempio
“Prayers For The Sick”,
magari rimaneggiando il contenuto in modo da non limitare il progetto
alla semplice ripresentazione di lavori ben conosciuti. Non amo
un approccio siffatto: sottrae semplicemente risorse a quelle
che tu hai definito “avanguardie”, distribuendole al culto dell'
“Hauntology” (Simon Reynolds ha coniato
il termine) e di conseguenza, abituando il pubblico ad aspettarsi
un perenne ciclo di pubblicazioni, ripubblicazioni, edizioni remastered, edizioni speciali e via dicendo, incapaci di apportare
nuova linfa al movimento. Per questo, al momento opportuno, il
primo LP sarà proposto ad un progetto contemporaneo. Lo stesso
vale per le cassette. Essendo un atto d'amore - siamo ben consci
che il tempo non è clemente con i nastri - rispondono al primitivo
anelito all'espressione, alla comunicazione in forma di suoni.
Relegando, per un istante, le leggi della domanda/offerta così
meccaniche e geometriche, sullo sfondo.
Molti
di noi sono figli della new wave e del
post punk, altri – spesso i più giovani - provengono
da metal estremo e talvolta prog. Qual è il tuo background Jacopo?
Mi
sono formato attraverso un variegato percorso musicale, plasmando
la mia identità in accordo con le varie fasi. A 16 anni ho scoperto
Bob Dylan, la presenza più costante ed onnipresente, anche
nel mio quotidiano, imparando sulle sue canzoni a suonare la chitarra
acustica, impersonando il “menestrello” armato solo di sei corde
ed armonica a bocca.
Ho
conosciuto il mito della frontiera, reso vitale dall'occasione
di un provvidenziale soggiorno a New York (per motivazioni sportive,
ossia per completare la famosa maratona), dell'equilibrio precario,
per mantenere il quale, citando proprio Dylan, da “Romance In
Durango”, “Desire”, 1976, si deve vendere il proprio strumento
per un pugno di dollari ed un posto (metafisico) in cui nascondersi,
in quanto ci si scopre “outlaw” ed in
fuga. Tempo dopo a questa base si aggiunsero gli LP progressive,
dai King Crimson ai Pink Floyd, dai Metamorfosi al Balletto di
Bronzo, passando per incarnazioni meno classificabili, ad esempio
i Gong, fino all'approdo a lidi krautrock, durante un viaggio a Londra. E' stato il mio periodo
meno focalizzato, libero, spontaneo, preludio ideale ai primi
acquisti in ambito noise e sperimentale
(l'immortale “Symphony For A Genocide” e il disturbante “Paranoia”
di Marco Corbelli). Parallelamente ho approfondito il metal estremo
- principalmente black, drone e funeral
doom - recensendo svariati album sulle pagine di Metallized. Ricordando ora quei giorni, vorrei poter provare
nuovamente il brivido sulla schiena dovuto alle asprissime chitarre
presenti sul primo Burzum o l'aura malvagia
scaturente dallo scream malato di Dead
o di Attila. Purtroppo ci si abitua, ci si assuefà ad una determinata
tipologia di scelte stilistiche, smarrendo troppo velocemente
l'emozione travolgente iniziale. In aggiunta, conosco bene i lavori
di Velvet Underground, Joy
Division, Death In June
(ottima la monografia di Aldo Chimenti!), Current
93, NWW, Codeine, Half Japanese...insomma, evitando
di dilungarmi, ho un background eclettico, indispensabile per
dare alla Naked Lunch un ampio respiro. Ho vagato parecchio in un paio
d'anni per negozi di dischi, perennemente alla ricerca di musica
che respirasse, parlasse, discutesse, profetizzasse, ponesse in
dubbio le mie certezze. Ho trovato queste peculiarità, ad oggi,
oltre che nelle pubblicazioni del menestrello di Duluth, soprattutto
in Maurizio Bianchi, di cui curo la distribuzione, il quale, nel
corso della sua carriera, mi ha continuamente obbligato a riconsiderare
le mie posizioni riguardanti la “composizione”.
So
che hai un personale progetto attivo in ambito Noise-PE,
Joy De Vivre.
Ci racconti qualcosa della tua creatura?
Joy De Vivre è nato un paio di mesi
fa per dare voce alle mie visioni mentali. Film, letteratura,
arti figurative lasciano un segno nella mia psiche che non riesco
ad indagare se non rivolgendomi al suono, al rumore, all'indagine
analogico-elettronica. Gli stimoli sensoriali si accumulano fino
al punto di rottura. Allora ho impellente necessità di dare forma
alle vibrazioni sismiche, impiegando il minimo materiale possibile.
E' un'introspezione, non uno sfoggio del mio supposto virtuosismo
strumentale. Si tratta, ulteriormente, di un gioco di maschere,
poiché non è un segreto il mio irrefrenabile desiderio di interrogare
il singolo frammento della mia personalità. Non sarei in grado
di perseguire il mio obbiettivo ricorrendo alla scrittura convenzionale,
non avendo, in tal caso, la completa libertà di de-strutturare
e de-comporre sintagmi, progressioni, cadenze, strutture e sovra-strutture.
Sarei ingabbiato in un sistema le cui regole sono stabilite da
enti superiori, indifferenti. Invece io voglio un linguaggio personale,
singolo e plurimo, che spinga chi condivide con me il “viaggio”
ad interrogarsi, a comprendere o, meglio, a scavare nella sua
individualità, partendo da eventuali punti di contatto tangibili.
Di
frequente, infatti, ogni traccia richiama un vissuto, ritualmente
trasformato in onda sonora manipolando field-recordings
catturati in una situazione particolare o, quando ciò non è oggettivamente
fattibile, che abbiano in sé degli elementi legati all'accaduto.
Ho realizzato brani partendo da registrazioni dei corridori della
metropolitana di Parigi, di una via secondaria in notturna di
Londra, oppure, percuotendo oggetti di uso comune, bicchieri,
quaderni, matite, sedie, tavoli, fiammiferi, ho provato a dare
al sentimento della noia, così percepibile, un'identità concreta.
In altre occasioni impiego un sintetizzatore, il mitico Korg
MS-20, o la mia chitarra per estrapolare le basi su cui operare.
Ho
in programma un box formato da quattro C60, in cui co-suono con
Maurizio Bianchi, Paolo Bandera, Corrado
Altieri, Adriano Vincenti e Daniele Santagiuliana,
intitolato “Seelenleben” (“vita interiore” in tedesco), dedicato alla
spiritualità individuale, impreziosito dagli artwork
di Susanne Wolfsgruber,
artista che ho scoperto per una pura casualità. Inoltre sono previste
uscite correlate alle pellicole di Ingmar
Bergman, cdr a tiratura limitata in cui provo a scolpire un' ambientazione,
un “soundscape” direttamente o indirettamente
ispirato ai suoi ritratti cinematrografici.
In passato ho pubblicato come Thanatos un tentativo per sola chitarra,
fornendo la mia versione di drone-ambient melancolico e bucolico,
“Not All Who
Wander Are Lost”,
recensito discretamente anche su Heathen
Harvest. Prima ancora una cassetta di
harsh noise
come Mirrorphobia, usando le registrazioni
urbane di cui scrivevo sopra. Non compongo per un bisogno spasmodico
e patologico di attenzioni, anzi. Sinceramente a volte, spente
le macchine, mi sento appagato ed addirittura non diffondo il
prodotto di quella sessione. Credo nel valore intrinseco della
performance, sto infatti cercando di portare Joy De Vivre live, l'unico luogo
in cui il brano, improvvisato o “elaborato”, vive compiutamente
nell'eterno ciclo del cambiamento. Se lo vedo stabile, terminato,
concluso, rischio di smarrire presto il mio interesse o il mio
slancio creativo. E' uno dei motivi per cui Joy
De Vivre ha un catalogo indefinito,
aleatorio, transeunte.
Grazie
per lo spazio che mi hai dedicato.
J.