Intervista
di Lara Bertoglio
Foto di Alberto Ghizzi Panizza
A pochi giorni dall'uscita dell'album "Sine Die", la band emiliana
dalle forti influenze new wave racconta in esclusiva a Rosa Selvaggia
il nuovo progetto. L'intervista a seguire, e le note del comunicato
stampa, tracciano in maniera molto chiara il pensiero della band,
sospesa tra ricordo e futuro.
"Lavoro potente, epico, lirico e oscuro, un'ulteriore passo in
avanti nell'evoluzione musicale del gruppo, che partito da un suono
più tradizionale ha costantemente personalizzato il proprio mondo
musicale, rendendolo più potente ed aggressivo… Liricamente il disco
si struttura attraverso una serie di brani nei quali il temp o, il
suo scorrere ed il suo divenire sono il motivo trainante. Come sempre
intrise di poesia, le liriche vagliano da più sfaccettature questo
argomento, utilizzando letteratura, sogno, magia e alchimia come strumenti
di analisi di questa unità di misura dell'esistenza umana".
Marlat,
bentornati sulle pagine di RosaSelvaggia, è un piacere ritrovarvi.
MARLAT: E' un piacere anche per noi avere la possibilità
di poter parlare della nostra nuova opera discografica. Grazie per
l'attenzione che ci state dedicando!
Partiamo subito. "Sine Die" è il nuovo biglietto da visita di questo
vostro marcato ritorno, a distanza di tre anni dal bellissimo "Ruvidacenere"
e nato ciò che vi aspettavate? Raccontateci questo progetto: come
è stato concepito, come si è sviluppato in seguito e per quale motivo
avete scelto questa locuzione latina come titolo.
ALBERTO:
Due anni dopo l'uscita di "Ruvidacenere", ovvero nell'estate 2014,
ci siamo ritrovati con una formazione modificata e ben assestata,
un live-set ben rodato e un buon numero di nuovi brani su cui lavorare.
Ci sembrava il momento giusto per cominciare a concentrarci sul seguito
del nostro EP, che ci aveva dato tante soddisfazioni e aperto molte
porte.
L'obiettivo, com'è ovvio, era alzare l'asticella.
Ci siamo subito immersi in un meticoloso lavoro di arrangiamento e
di valorizzazione di quelle che sono le nostre caratteristiche distintive,
in particolare l'intreccio delle due voci ed un sound oscuro ma allo
tempo stesso potente, energico e coinvolgente.
Oltre a questo, l'obiettivo principale era compiere un ulteriore passo
in avanti: non volevamo semplicemente mettere in fila altri quattro,
cinque pezzi, ma intendevamo dare alla stampa una vera e propria opera
full length con alla base un concetto, un tema, che venisse introdotto
da un incipit, chiuso da un finale, e che nel mezzo venisse sviluppato
da un numero sufficiente di brani, nel nostro caso otto. Insomma,
come quegli album che ci hanno fatto impazzire da ragazzini! La soluzione
che meglio si sposava con questo progetto e il budget a disposizione
era quella di realizzare l'intera pre-produzione nel nostro home-studio,
per poi definire e amplificare il tutto in uno studio professionale
adatto a questa impostazione di lavoro e in grado di dare la giusta
potenza al nostro sound. La scelta è ricaduta sullo Sliver Music Studio
di Parma che vanta una grande esperienza nell'ambito metal, garanzia
quindi di un sound potente e incisivo.
Questa strada ci ha permesso, tra l'altro, di avere un controllo praticamente
totale sul risultato finale, i cui contorni, come esclamai al primo
ascolto, combacian o in modo meraviglioso con l'ombra delle idee dalle
quali è nato. Siamo quindi pienamente soddisfatti del lavoro svolto
e consci di avere raggiunto il nostro obiettivo, cioè fare un passo
in avanti sotto tutti i punti di vista. Anzi, per molti aspetti, di
passi in avanti ne abbiamo fatti almeno un paio.
FILIPPO: Relativamente al titolo del disco, abbiamo
scelto "Sine Die" perché durante la lavorazione la tematica del "tempo",
sotto differenti forme, emergeva a vari livelli di lettura in buona
parte dei brani. Abbiamo compreso che una forza misteriosa ci aveva
spinto a fare questo, e per rendere omaggio a questa forza creativa,
all'unanimità si è deciso di dedicare a questo argomento il concetto
di fondo del progetto. La scelta della locuzione latina è stata fatta
in quanto il latino è una lingua sospesa nel tempo, quindi ci sembrava
la più indicata a riassumere le nostre argomentazioni. Oltre a proporre
un significato per la tematica del disco, lo chiarisce in modo molto
più diretto. "Sine Die" è un lavoro nel quale ogni singola sillaba,
nota, battuta, immagine o frame grafico è stato concepito in modo
ragionato e consequenziale.
Il
suono potente e incisivo del quale parlate si avverte al primo ascolto
e chi ha seguito i Marlat fin dagli esordi percepisce una svolta aggressiva
e oscura: una sorta di sentiero malinconico che porta verso una destinazione
ignota. "Sine Die" non è solo un disco, ma una vera e propria bomba
a orologeria pronta ad esplodere tra le mani da un momento all'altro,
ne siete consapevoli?
ALBERTO: Beh, speriamo che esploda dopo averlo lanciato
sul mercato! Siamo consci delle sue potenzialità. L'album ha tanti punti
a suo favore, tra i quali l'accessibilità a diversi tipi di orecchio;
ma rischiamo di non essere oggettivi nel giudicare il frutto del nostro
lavoro. Diciamo che a noi piace tantissimo e per ora tanto basta. Poi
siamo ovviamente curiosi di vedere la reazione del pubblico. Crediamo
che rimarrà un po' spiazzato al primo ascolto, e se ciò avvenisse lo
riterremmo un buon segnale: significherebbe, tra le altre cose, che
non ci siamo fossilizzati su quanto fatto sinora ma che, al contrario,
ci stiamo evolvendo.
Rispetto
ai precedenti Ep questo da un punto di vista acustico risulta decisamente
più "pesante", soprattutto per quanto riguarda le chitarre. Si tratta
di una evoluzione stilistica attivamente perseguita dai Marlat o di
un capitolo che si chiude con questo album?
FILIPPO: La scelta di un suono chitarristico più potente
è stata ponderata e frutto di una decisione stilistica. Abbiamo notato
quanto ci facesse godere questo suono distorto ed incisivo in sede live
e nelle prove, di conseguenza è diventato uno dei cardini del nuovo
disco. Allo scopo mi sono anche costruito una chitarra dotata di un
pick up molto potente (che ho chiamato "The Witch") che ho utilizzato
per le ritmiche dei sei brani più "tirati" del disco, e ci siamo rivolti
ad uno studio di registrazione nel quale sapevamo che il suono di chitarra
sarebbe uscito bello grosso. Per il futuro non si può dire, magari ci
lasceremo ispirare da qualcosa di diverso, oppure accentueremo ancora
di più queste sonorità, è ancora presto per dirlo. Sicuramente molto
dipenderà dalle sensazioni che questi nuovi brani sapranno suscitare,
in noi e nel pubblico, durante i live.
Otto
tracce, otto frecce dirette al cuore. Deduco una selezione non facile
per arrivare alla giusta conclusione dell'opera. Qual è il brano che
reputate migliore e quale invece vi ha fatto più "sudare"?
ALBERTO: Probabilmente il brano migliore è anche quello
che ci ha fatto più sudare: "Distante" è un brano che Filippo ci ha
proposto tre anni fa e abbiamo impiegato un anno prima di arrangiarlo
a dovere e proporlo dal vivo. Arrivato poi in studio, ha subito un'ulteriore
elaborazione grazie all'intervento di Luca Cocconi in console; un tocco
che ha fatto cadere ogni indugio in merito alla decisione di farlo diventare
il primo singolo dell'album.
FILIPPO: E' stato interessante il metodo per definire
la scaletta del cd. Infatti, dopo aver deciso il numero di brani da
incidere, abbiamo scremato una rosa di ben undici canditati. Per la
scelta sono stati utilizzati diversi criteri; una volta definiti i pezzi
imprescindibili, ogni membro della band ha eletto il proprio brano preferito,
di cui si faceva "curatore". Dopodiché è stato fatto un lavoro di selezione,
guidato dai concetti di equilibrio e omogeneità. Il risultato è un lavoro
che soddisfa tutti e nel quale ogni traccia esprime pienamente le proprie
potenzialità.
Uno dei concetti ricorrenti del disco è
la rinascita/mutamento, ma come hanno vissuto i Marlat questa trasformazione
dagli albori a oggi?
FILIPPO: Dentro di noi, tra la fine del 2013 ed i primi
mesi del 2014, è scoccata una scintilla che ha provocato un vero e proprio
incendio. Invece di "bruciare, nel silenzio", queste fiamme sono state
in grado di liberare le nostre anime; e dalle sue ceneri siamo usciti
molto più forti di prima. I concerti che abbiamo fatto nel 2014 e nei
primi mesi del 2015 ci hanno dato consapevolezza dei nostri mezzi e
il coraggio di decidere per noi stessi. Da questo dipende l'enfasi e
la potenza di "Sine Die". C'è chi dai cambiamenti si fa abbattere, chi
invece li sfrutta per crescere e migliorare, per avere maggiori stimoli,
questi siamo noi.
Altro
tema fondamentale nei testi (come nella musica) è il ricordo e in questo
album più che negli antecedenti è vivo, pulsa e fa male. Mi sbaglio?
FILIPPO: Non ti sbagli affatto. Come abbiamo detto all'inizio,
ci siamo accorti nella stesura del disco che il tema del tempo, che
poi è legato in modo intrinseco ai ricordi, affiorava in modo più o
meno esplicito in ogni brano. Focalizzarci su questo argomento è stato
quasi come fare un' autoanalisi. Guardarsi indietro, e ricordarsi di
come si era prima crea una sorta di scollamento dalla realtà e definisce
un sentimento malinconico (come lo hai giustamente definito sopra),
che a tratti può essere soffuso e colloso, a tratti può irrompere in
modo violento nelle nostre anime.
Brani emblematici in questo senso, seppure spinti da motivazioni e contesti
diversi, sono "Dora Markus" e "Distante". Il primo è ispirato ad una
poesia di Eugenio Montale, e invece di riprenderne la trama ne riprende
il senso e l'atmosfera raccontando di questa persona, Dora, che scrutando
tra i suoi ricordi ritrova poesie e fotografie di un passato nel quale
era stata bellissima e si accorge che questi ricordi la feriscono come
lame, ma questo dolore è allo stesso tempo per lei un piacere.
In "Distante", invece, attraverso una serie di immagini e ricordi dell'infanzia,
cerchiamo una risposta sul perché abbiamo paura. Questo tema, sarà ulteriormente
sviluppato nel video clip del brano, che abbiamo girato con il regista
Matteo Taglioli. "Distante" sarà il primo singolo tratto da "Sine Die"
e il video sarà presentato in anteprima nel corso del release party
che terremo qui a Parma il 16/10/2015.
Ritrovare
inserita nel cd "Io sono la notte", presente nel primo demo "nottesempre",
completamente riarrangiata e intrisa di velata inquietudine è stato
un tuffo al cuore. Amo particolarmente quel pezzo, lo trovo oggettivamente
bello e al contempo spietato. Stesso discorso vale per "Brucia nel silenzio".
Da che cosa è dipesa questa scelta?
FILIPPO: Abbiamo sempre ritenuto che questi due brani
fossero ancora in embrione, ma allo stesso tempo che avessero grandi
potenzialità da sfruttare al meglio. Abbiamo quindi deciso di provare
qualche arrangiamento alternativo e le idee che sono uscite fuori erano
decisamente in linea con lo spirito di "Sine Die", pertanto abbiamo
pensato bene di inserirli nel nuovo disco in queste versioni totalmente
diverse dai brani che cinque anni fa avevamo inciso nel nostro primo
EP / Demo. "Io sono la notte" è un brano carico di pathos, avvolgente,
molto in stile "disintegration", mentre "brucia nel silenzio" che in
origine era una ballad, è diventato un brano potente, trainante e decisamente
ballabile. In un certo senso, i due brani, sono arrivati a compensarsi
per uno strano gioco di equilibri.
Parliamo
dell'artwork che ritengo sempre di estrema importanza. Un disco deve
presentarsi bene anche attraverso la copertina che solitamente ne descrive
e ne svela il contenuto. Che valore date alla componente grafica in
questo progetto?
ALBERTO: La copertina per noi è parte integrante dell'opera
e quindi molto importante. Tanto che, avendo una certa esperienza nel
mondo della grafica, preferisco occuparmene in prima persona, dal concept
alla realizzazione esecutiva. L'artwork ha il ruolo fondamentale di
imprimere nell'occhio le atmosfere che arrivano all'orecchio. Nel caso
di "Sine Die", e qui torniamo al discorso iniziale, ha anche la responsabilità
di esplicitare il concetto che l'album si propone di indagare. Crediamo
che in questo senso la copertina, nella quale un orologio privo di lancette
si staglia su un cielo cremisi, introduca a dovere il tema portante
dell'album, cioè quello del "tempo", declinato sotto diversi punti di
vista. Si parla dello scorrere incalzante e ansioso del tempo che resta.
Di ricordi che dal passato ritornano nel presente sotto forma di sogno.
Si parla di tempo che scorre a ritroso. E del tempo futuro, cioè del
nostro destino. Si parla, infine, dell'eternità, di cerchi e cicli infiniti.
Questo solo per citare i riferimenti più palesi, ma lasciamo all'ascoltatore
il piacere di "leggere tra le righe" e approfondire il discorso. Tornando
alla copertina, altrettanto importante è il titolo che riporta: un album
deve "suonare bene" sin dal titolo; ma, ancora una volta, questo non
basta. Deve anche dare una chiave di lettura della copertina e dell'intero
lavoro.
Come abbiamo detto in precedenza, per questo motivo, "Sine Die" (dal
latino "senza scadenza", e, per estensione, "all'infinito") è una locuzione
che ci è subito sembrata il perfetto sigillo ai concetti di cui sopra.
Francesca
per te che sei un po' "streghetta" la musica è come un incantesimo o
mi sbaglio? Una magia continua che spinge con curiosità creativa alla
ricerca di un lato "armonioso" della vita per ritornare a stupirsi e
non dare mai nulla per scontato. Oggi, dove tutto è razionalmente guidato
dalla ragione e dal distacco alla meraviglia c'è bisogno di magia e
di credere ancora nelle favole? FRANCESCA:
Vero! La Musica (La Dea Musica) è, direi per antonomasia, un archetipo
di sensazioni primordiali e di emozioni senza tempo. Sin dalle origini,
ogni attività dell'uomo viene accompagnata dall'incalzare di note e
canti; dalle atmosfere dei canti gregoriani, alle musiche di corte medievali,
dai rulli di tamburi dei processi, ai canti dei Trovatori, sino alla
semplice ninnananna che una madre canta al proprio bimbo. Tutto è musica,
tutto è magia.
I miei incantesimi vengono spesso cantati in filastrocche (strizza l'occhio),
che la mia nonna mi ha insegnato ad intonare sin da piccina. I testi
che scrivo sono direttamente ispirati ad esperienze "fuori dalla normalità":
di questo non me ne vergogno, perché vivo il tutto come un privilegio.
Nel Medioevo quelle come me sarebbero state arse al rogo, per me ora
lo sforzo (ed il piacere) più grande è trasformare queste sensazioni
quasi inspiegabili in parole e melodie comprensibili "all'umanità".
La vita è davvero un dono meraviglioso, ma purtroppo ce ne dimentichiamo
ogni giorno, avvolti dalla superficialità e dall'indifferenza del mondo
in rovina, snaturato ed arido di sentimenti ed emozioni.
E' qui invece la chiave di tutto: ritrovare nelle semplici cose la gioia,
stupendosi ancora, come il "fanciullino" di Pascoli, di fronte alla
natura e ai piccoli doni.
Sembra un concetto tanto distante dalla nostra contemporaneità, ma io
ho la certezza che se ognuno di noi si fermasse ogni giorno a guardare
dentro se stesso alcuni minuti in silenzio, potrebbe davvero ritrovare
una parte di sé ormai dimenticata da tempo.
Da
questo, quindi, ne deriva la necessità di scrivere un brano come "Malinconica"?
"Malinconica" è, in un certo senso, l'anello di congiunzione con il
nostro disco precedente, la continuazione di "Triora" il brano presente
in "Ruvidacenere" che racconta le oniriche esperienze di echi di vite
precedenti di una "Guaritrice" cioè quelle che un tempo venivano additate
come "streghe" e per questo arse al rogo.
Non è un'esigenza, ma un gesto spontaneo.
Lo scrivere una canzone "alla" memoria e "della" memoria è come parlare
nella propria lingua: in modo semplice e spontaneo come i gesti quotidiani.
Dopo
anni intensi costellati di live, collaborazioni varie e questo nuovo
nato all'attivo c'è qualcosa che cambiereste? Fareste delle scelte musicali
differenti pensando al vostro modo di vivere e sentire la musica oggi?
FILIPPO: L'evoluzione spesso è fatta di step casuali.
Si può provare a prevedere cosa accadrà in futuro in modo da gestire
gli eventi della nostra vita, ma questo non sempre è possibile. Si può
pianificare e progettare, ma, a lavoro ultimato, ci sarà sempre spazio
per dei ritocchi o dei rimpianti. Pertanto ci capiterà sempre di pensare:
"questo lo avrei fatto diversamente". Sinceramente, non credo abbia
molto senso. Bisogna anche rendersi conto che gli errori che si commettono
fanno parte della nostra evoluzione e che non tutto è controllabile
al cento per cento. Inoltre, talvolta, alcuni errori, o meglio, alcune
cose che non suonano in modo, diciamo così: "canonico" possono definire
il suono di una band nei secoli dei secoli.
Vi
lascio, ringraziandovi, con un'ultima domanda. Partirete presto con
un tour promozionale, cosa succederà sul palco, cosa si dovrà aspettare
il pubblico che vi segue?
FRANCESCA: Stiamo provando ad organizzare un po' di concerti
per la promozione del disco. Per ora abbiamo fissato il release party
"in casa" per il 16/10/2015 all'APP Colombofili di Parma, un'altra data
sempre a Parma al circolo Giovane Italia il 5 dicembre e un live a Camposanto
(MO), alla Fermata 23 tra gennaio e febbraio. Altre date sono in attesa
di conferma. I concerti si baseranno sul nuovo disco, lasciando spazio
a qualche vecchio brano e a qualche cover che ci piace suonare. Sul
palco saremo come sempre intensi e potenti: l'impatto scenico e la potenza
della musica per noi sono fondamentali.
Non ci resta che ringraziare e salutare RosaSelvaggia per averci concesso
questo spazio nel quale raccontare "Sine Die", e soprattutto le persone
che da sempre ci sostengono e ci donano calore e luce nei live, sul
web e nella vita di tutti i giorni. Grazie a tutti, Marlat loves you.
Contatti:
Mail and Booking: marlatband@gmail.com
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