BLACK
FLAG: I PIONIERI DELL’HARDCORE PUNK
Stevie Chick
(Odoya)
E’
stata davvero un’enorme sorpresa vedere finalmente nelle librerie
una biografia dei Black Flag in italiano: scritta dal giornalista
musicale free-lance Stevie Chick, è un’opera doverosa considerando
l’importanza seminale che la band del chitarrista Greg Ginn ha
avuto sulla scena punk non solo statunitense ma mondiale. Composto
con la collaborazione di ex membri, amici e musicisti colleghi
del gruppo, intervistati direttamente dall’autore, il volume ha
un taglio da documentario corale, infarcito di digressioni soprattutto
sulla scena punk di Los Angeles e dintorni fra la fine degli anni
’70 e gli ’80, e sull’attività dell’etichetta fondata da Ginn,
la gloriosa SST Records, per la quale sono passati non solo Black
Flag, Descendents e Minutemen, ma anche ‘extra-californiani’ del
calibro di Sonic Youth, Hüsker Dü, Bad Brains, Soundgarden e molti
altri ancora.
Se queste fin troppo frequenti digressioni sono certamente interessanti
e utili a contestualizzare l’attività dei nostri, quello che ci
interessa è però la storia dei Black Flag, raccontata da Chick
con minuzia – il tomo ha quasi 400 pagine – fin dagli albori,
dove si dilunga sulle famiglie e l’adolescenza a Hermosa Beach
di Keith Morris e Greg Ginn: festaiolo e casinista il primo, introverso
e geniale il secondo (al punto da fondare giovanissimo una ditta
che produceva componenti per apparecchi radio da lui stesso progettati,
la Solid State Tuners che darà il nome alla SST Records), appassionati
entrambi di hard rock quando il punk ancora non esisteva, ad un
certo punto fondarono i Panic, i quali esordirono dal vivo ad
una festa in un garage e mutarono nome in Black Flag solo al momento
di pubblicare il primo e sconvolgente 7” EP “Nervous Breakdown”
nel 1979. Da quel momento la vita della band sarà caratterizzata
fino allo scioglimento da una fama e una rispettabilità sempre
maggiori nella scena hardcore punk, ma anche da due spinose costanti:
la violenza inaudita ai concerti, spesso tramutati in vere e proprie
battaglie incrociate fra fans, elementi del gruppo e la polizia
(si veda anche la prefazione di Philopat sul loro concerto all’Odiessa
2001 di Milano nel 1983, che spaccò in due fazioni il movimento
punk italiano), e i continui cambi di formazione. Questo secondo
aspetto è molto importante: spesso i BF vengono identificati ingiustamente
come la band di Henry Rollins, in quanto è stato il loro cantante
più conosciuto, carismatico e longevo, presente nel maggior numero
di dischi, nonché l’unico a intraprendere poi una fortunata carriera
solista, non solo musicale con la Rollins Band, ma anche come
autore di spoken word, attore ad altre attività che lo rendono
un personaggio unico; eppure non vanno dimenticati i precedenti
vocalist: il già nominato Keith Morris, che mollò la band dopo
l’EP d’esordio per fondare i gloriosi Circle Jerks, il portoricano
Ron Reyes, crudelmente ribattezzato “Chavo Pederast” nel secondo
EP “Jealous Again”, e Dez Cadena, dalla voce potentissima, il
quale per un certo periodo dopo l’ingresso di Rollins rimase nel
gruppo come chitarrista ritmico, e in tempi più o meno recenti
lo abbiamo visto nei ‘nuovi’ Misfits al fianco di Jerry Only.
E vi risparmio qui la giravolta dei vari bassisti e batteristi,
a volte destituiti da un sempre più settario e dittatoriale Greg
Ginn, il quale, oltre ad aver imposto prove estenuanti di parecchie
ore al giorno fin dalla fondazione dei Panic, cacciò addirittura
elementi importantissimi come il primo bassista Chuck Dukowski
e l’ottimo batterista Bill Stevenson per presunte carenze tecniche
(sic, da che pulpito poi!). Questa conflittualità interna porterà
all’inevitabile rottura fra Ginn e l’ormai insostituibile Rollins,
e quindi allo scioglimento della band nel 1986, dopo un’attività
particolarmente intensa proprio nel biennio 1984-’85, durante
il quale vennero sfornati la maggior parte degli album e tenuti
parecchi tour mondiali.
Oltre alle vicende travagliate e dolorose, che un buon biografo
non deve omettere, dalla lettura emergono comunque chiaramente
anche gli aspetti grandiosi dei Black Flag, il perché sono diventati
un’icona assoluta del punk: 1) Una musica devastante mai ascoltata
prima di allora, con uno stile davvero unico e originale, tanto
che l’etichetta di “hardcore” può andare bene giusto per i primi
EP, ma appare già stretta con il primo album “Damaged”. 2) Una
dedizione assoluta, quasi religiosa, di tutti i componenti nei
confronti della band (unita da un’indispensabile grande fiducia
nei propri mezzi), tale da rendere possibile ciò che sembrava
impossibile, vedi gli sfiancanti tour da una parte all’altra degli
USA o per il Canada, magari con furgoni scassati, un budget ridottissimo
e quel clima di violenza e ostilità costante che ho accennato
parzialmente sopra. E che dire della fondazione della PROPRIA
etichetta per pubblicare i PROPRI di dischi senza aspettare le
grazie di qualche label? Ok, non sono stati né i primi né gli
unici ad autoprodursi, ma rimane il fatto che anche la SST Records
ha fatto scuola e ha contribuito, insieme ad altre meritevoli
realtà, a diffondere ovunque lo spirito del D.I.Y. Per tutto questo,
punk band pur leggendarie come Sex Pistols e Clash sembrano boriose
e viziate rockstar se paragonate ai Black Flag. 3) Una grafica
altrettanto unica e dall’impatto immediato sulle copertine dei
loro dischi e sui manifesti dei concerti, tutta opera dell’artista
Rayomond Pettibon (fratello di Ginn), a cominciare da quel logo
– già icona di per sé e facilmente riproducibile ovunque – con
le quattro barre simili a pistoni che simboleggiano la bandiera
nera dell’anarchia. E’ storicamente risaputo che la bandiera nera
è un simbolo del movimento anarchico e NON di destra, eppure qualcuno
ha equivocato nei loro confronti; d’altro canto bisogna dire –
e lo si capisce anche leggendo i testi – che i Black Flag non
furono mai un gruppo politicizzato alla Crass per intenderci,
e il loro “anarchismo” è stato più esistenziale e attitudinale,
una necessaria rivolta contro l’America conservatrice e poliziesca,
anche se il discorso è più complesso e non si può certo liquidare
con due righe in una recensione. Quella di Chick è insomma una
lettura fondamentale e affascinante, praticamente obbligatoria
per i fans e consigliatissima anche a chi magari conosce la band
solo o più che altro di fama.
P.S.: Dopo il continuo rifiuto di Greg Ginn a qualsiasi proposta
di seria reunion negli anni passati, i Black Flag hanno in programma
per il 2013 un nuovo album in studio con Ron Reyes alla voce e
vari concerti, fra i quali all’Alcatraz di Milano. Sentiremo se
saranno ancora all’altezza…
(Fabio Degiorgi)
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SPIONAGGIO
IN ONDE CORTE
(Libro + CD)
L’incredibile storia delle Numbers Stations e delle radiotrasmissioni
di messaggi segreti dalla Guerra Fredda ai giorni nostri
A cura di Simon Mason, Massimiliano Viel, Raffaello Bisso,
Andrea Viacava, Andrea Lombardi
(Collana Off Topic - Italia Storica)
Ho
letto con particolare interesse e passione la storia delle mitiche
"Numbers Stations", le radio ad onde corte che dal dopoguerra
in poi veicolarono - sotto fomrma di stringhe numeriche ed alfanumeriche
in codice - messaggi segreti destinati alle spie operanti in particolar
modo nelle aree interessate dalla cosiddetta Guerra Fredda.
La ricerca certosina messa in campo dai nostri mitici cinque "007"
Simon Mason, Massimiliano Viel, Raffaello Bisso, Andrea Viacava
ed Andrea Lombardi documenta con dovizia di particolari i sistemi
di funzionamento delle Numbers Stations: una fredda voce quasi
sempre femminile, ad un orario prestabilito, si inseriva in onda
enunciando con robotica cadenza infinite serie di gruppi numerici
o alfabetici, e per i molti radio-amatori non era inusuale poter
captare queste trasmissioni destinate agli agenti, e magari fantasticare
sul contenuto del messaggio tentando un'improbabile decriptatura.
A volte le voci "umane" erano sostituite da ancor più freddi sintetizzatori
vocali, e trasmettevano in lingue differenti spazianti tra il
classico inglese e tedesco, fino allo spagnolo, al francese ed
alle principali lingue slave.
DDR, Cecoslovacchia, Ungheria, ma anche Regno, Stati Uniti, Cuba
o Cina: le radio su frequenze brevi operavano dalle basi più disparate,
e per ovvi motivi furono particolarmente attive nei classici teatri
mitteleuropei toccati dalla guerra fredda. Se il picco delle trasmissioni
fu nei quattro decenni compresi tra il termine del secondo conflitto
mondiale e la caduta del Muro di Berlino (ma sistemi analoghi
erano già in voga verso il termine del secondo conflitto mondiale),
ci stupiremo nell'apprendere che esistono ancora radio del tipo
operanti tutt'oggi, seppur in numero decisamente più esiguo. Un
sistema incredibilmente efficace ed a basso costo (era sufficiente
un normale apparecchio radio per la ricezione del segnale), con
cui la Stasi, il Mossad o magari L'MI6 erano in grado di veicolare
ordini e disposizioni ai loro agenti “dormienti” in giro per il
mondo.
Allegato al volume, che esce per la serie OFF TOPIC della genovese
“Associazione Culturale ITALIA STORICA” , un interessante cd con
una vasta selezione di registrazioni originali delle principal
Numbers Stations. Il volumetto costituisce in definitiva una perfetta
sintesi del malloppo uscito sotto il nome di "The Conet Project"
nel 1997, includente addirittura 4 cd con registrazioni di Numbers
Stations.
Una curiosità per concludere: alcuni degli autori dell'opera fan
parte della scena musicale genovese d'avanguardia, in qualità
di membri dell'ensemle ultra-sperimentale My Right of Frost. Chissà
se qualche estratto di queste registrazioni verrà inserito come
base in una delle loro prossime registrazioni...!
Info: http://associazioneitalia.blogspot.it/2013/02/spionaggio-in-onde-corte-lincredibile.html
(Oflorenz)
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COLPO
D’OPPIO
Ugo Sette
(Lupo Editore)
Ugo
Sette è
un giovane scrittore “nato per caso a Parigi” che ha esordito
con racconti su alcune antologie. “Colpo d’oppio” contiene invece
i suoi primi due romanzi, “L’alieno” e “L’importanza di essere
Ugo ovvero a me (mi) piace la morte perché mi fa capire che
sono vivo”, entrambi con forti connotazioni autobiografiche.
Ne “L’alieno” il protagonista Ugo è un inventore di oggetti
strani che vive nella città veneta di Q. (nonostante la sola
iniziale, il contesto regionale della storia è evidente). Partendo
dalla morte della nonna, affrontata con apparente cinismo, Ugo
si trova coinvolto suo malgrado in una serie di situazioni grottesche,
collocandosi appunto come “alieno” rispetto a un mondo circostante
provinciale, meschino e massificato, sempre pronto a giudicare
e condannare chi osa uscire dalle consuetudini. Se la vicenda-perno
è l’uccisione di un cane per legittima difesa da parte del protagonista,
con conseguente processo ai limiti del surreale, capitolo dopo
capitolo ci viene mostrata una carrellata di personaggi bersagliati
per la loro stupidità: dalla (ex) fidanzata opportunista di
Ugo, Marianna, al proprietario del cane ucciso, Baragozzi, che
arriva a chiedere la pena di morte per il reo confesso, dai
fighetti pseudo-intellettuali che animano il cinema di Q. nella
serata con biglietto ridotto, al noto ma innominato presentatore
televisivo della Rai che, preso da “un delirio di onnipotenza”,
ci prova spudoratamente con il nostro inventore durante le registrazioni
di una trasmissione. Rispetto a questa sfilata di macchiette
si elevano come coprotagonisti positivi Marzio, l’amico scrittore
di Ugo (personaggio assai complesso che vi lascio scoprire da
soli), e Laura, animalista militante e intelligente. De “L’alieno”
colpisce soprattutto lo stile secco e conciso, con frasi lapidarie
e d’effetto, cariche di disincanto e tagliente ironia sulla
società occidentale contemporanea.
Il secondo romanzo “L’importanza di essere Ugo…”
è il prequel de “L’alieno”: qui Ugo racconta di se stesso dal
momento in cui, ancora studente universitario di Antropologia
Filosofica, inizia a frequentare un corso di scrittura creativa
organizzato nella città di Q. Saltando fra noiosi esercizi di
pianoforte imposti dalla madre, qualche esame all’università,
gli appuntamenti con la fidanzata Martina, discendente da una
famiglia di streghe e lei stessa fattucchiera, e avventure occasionali,
Ugo imbroglia i compagni del corso e il docente Imìl Zozougi
spacciando per propri dei racconti palesemente copiati da alcuni
grandi della letteratura. Ma l’unica ad accorgersene è Francesca,
affascinante sessantenne co-organizzatrice del corso, la quale,
in punto di morte, darà l’input a Ugo su cosa fare della propria
vita. Ammetto che “L’importanza…”, pur piacevole e dotato di
profondità dietro al suo linguaggio estremamente diretto, mi
è sembrato leggermente meno affascinante de “L’alieno”, forse
anche a causa di alcuni dei racconti-plagio inseriti che, troppo
lunghi, tendono ad appesantirne la lettura, di per sé scorrevolissima.
Presi nell’insieme, i due romanzi sono totalmente complementari
fra loro, e si offrono come buona prova per uno scrittore capace
di far riflettere sulle assurdità della vita con tono scanzonato
e dissacrante.
(Fabio
Degiorgi)
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