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LAIBACH
" WE ARE TIME TOUR" live report delle due date italiane.

Roma, Circolo degli Artisti, 20 Aprile 2004
All'idea di veder di nuovo i Laibach suonare il nostro animo si sente confuso, smarrito in un lento ma continuo migrare tra euforia e diffidenza. Una parte di noi infatti è perdutamente innamorata della loro musica e dell'immaginario cui è indissolubilmente legata, della loro indiscussa bravura e della capacità da sempre mostrata di interpretare e reinterpretare ogni canzone in una dimensione live. In noi v'è però anche una voce silenziosa che ci invita alla cautela, professando un certo timore nei confronti dell'imminente concerto vista la caduta di stile dell'ultimo album. "We are time" infatti non ci piace minimamente, troppo lento ed artefatto nei suoi ritmi vecchi e monocordi e nel suo essere eccessivamente elettronico e danzereccio e troppo poco realmente in stile Laibach. Non possiamo però non sperare di assistere ad un concerto cattivo, energico ed iconoclasta come nella miglior tradizione del gruppo, e animati da questo sentimento parcheggiamo proprio sotto l'enorme parete tappezzata di graffiti e murales del club romano. Per alcuni istanti ci soffermiamo a rimirarne le immagini, temi ispirati da Arancia Meccanica come da South Park che si riuniscono assieme a formare un unico gigantesco cocktail di colori, e ci scopriamo a pensare a quanto quest'ambiente sia diverso dalle oscure aule gotiche che ospitano la maggior parte dei concerti visti in giro. Il trionfo di colori che scorgiamo ci restituisce definitivamente il buon umore e un po' più tranquilli entriamo nel locale. L'atmosfera che troviamo ad attenderci è ugualmente allegra e giocosa, come se tutti i convenuti fossero stati contagiati dalla gaia spensieratezza di quanto ritratto all'esterno.
In un clima così sereno fugge senza troppo pesare il tempo che dobbiamo attendere per sentire le note de "Sul bel Danubio blu", che introduce sin da quando ne abbiam memoria le performance della compagine slovena. Tra giochi di luce e nubi di fumo le quasi centocinquanta persone convenute nel club si assiepano nella sala principale e quando le ultime note del valzer di Strauss si disperdono nell'aria una salva di applausi e grida entusiaste chiamano a gran voce il gruppo sul palco. Ritmiche e marziali, le canzoni si susseguono una dopo l'altra, e sebbene i nuovi arrangiamenti per basso e chitarra rendano più vivaci e coinvolgenti i pezzi di "We are time", alla lunga il talento e l'estro dei musicisti sul palco non possono nulla contro il piattume e l'omogeneità dei brani del disco nuovo. Persino l'entusiasmo dei più devoti si stempera sulla lunga distanza, e chi prima aveva accennato qualche timido passo di danza su "Tanz mit Laibach" e altri brani un po' più ritmati, ora rimane fermo, in attesa che accada qualcosa. E qualcosa in effetti sembra accadere quando irrompono sul palco due giovani tamburine in tenuta militare, che, assieme al bizzarro tastierista, costituiscono la vera novità nella formazione dei Laibach. Scattanti dinanzi alle loro percussioni, si prodigano anche come vocalist aggiunte e diventano quasi inconsapevolmente parte della struttura stessa dello spettacolo, alleggerendo la pressione che grava sulle spalle di Milan. Nemmeno loro però sembrano essere in grado di risollevare le sorti di un concerto che appare definitivamente compromesso. Dopo pochi minuti infatti, spenta la curiosità iniziale per l'elemento nuovo, si incomincia ad avvertire la sensazione di stare assistendo a qualcosa di vagamente grottesco. I movimenti ripetuti e ripetitivi delle ragazze non fanno che enfatizzare la monotonia dell'esibizione offerta ed i minuti scivolano via ancora più lenti di prima, mentre il concerto continua, sempre uguale a se stesso. La gente sembra attendere il momento in cui i veri Laibach saliranno sul palco per donar loro i classici di sempre, ma invece nulla accade. Neanche l'anthemica title-track "We are time" , con i suoi epici cori nel puro stile della band, riesce a scuotere le nostre membra ormai intorpidite dall'immobilità a cui siamo costretti sotto il palco. Il concerto si spegne in tristezza come in tristezza si è sviluppato, e solo nei bis finalmente abbiamo il piacere di sentire "Simpathy for the devil", vecchio classico del rock stravolto dal genio dei Laibach che furono e unico elemento di un passato glorioso che ci viene donato. Vorremmo saltare e scatenarci, ma invece ci abbandoniamo ad un senso di rimpianto che quasi sfocia nella malinconia: saranno pure il tempo, ma di certo non sono immortali.
Testo de: I Lupi di Winhall

Marcon (VE), "Magic Bus" - 21 Aprile 2004
Mi sembra d'essere un cliente abituale del Magic Bus in quel di Marcon (VE).
Sono due volte che ci torno nel giro di 4 giorni! Questo è un ritmo da fanatico forzato di rock-clubbing, ma come posso mancare ad un concerto dei Laibach a pochi kilometri dal mio luogo di lavoro quando per giunta gli sloveni presentano e promuovono il nuovo album con un nuovo tour e susseguenti nuove coreografie? Subito appena entrati sorprende il fantastico banchetto del Laibach-merchandise con Laibach-cinture, Laibach-cravatte, Laibach-mini torcia elettrica… ed ancora poster, bandiere, spillette, cartoline, libri… persino un set per lucidare gli anfibi intitolato per l'occasione "Glanz mit Laibach"! Mi sembra inutile ricordare in questa sede che i Laibach sono forse l'emanazione più conosciuta del collettivo artistico NSK.
Tralascio anche tutti i codazzi di commenti e commentini, polemiche e blateramenti che hanno accompagnato l'uscita di WAT (WE ARE TIME), ultimo album dei nostri.
Con un leggero ritardo sul programma, cosa che probabilmente ha scocciato non poco ai musicisti in questione, i Laibach compaiono sul palco esordendo con B-MASHINA, pezzo d'introduzione anche in WAT. Ma prima ancora, nel pre-ascolto, dimenticavo di segnalare una sorprendente versione di "Sulle onde del Danubio" di Strauss nel quale era stato infilato con precisione chirurgica un continuo ticchettio di metronomo in contrattempo che dava al valzer viennese in questione una strana coloritura ska… semplicemente geniale! Dopo l'intro i Laibach presentano una corta selezione di alcune delle cover che li hanno resi celebri, tra cui "Alle gegen Alle" dei DAF, che, per inciso, è il pezzo che meglio si integra con il nuovo repertorio. Quindi mentre il cantante si allontana, i rimanenti membri della band si producono in un pezzo strumentale che sembra essere preso di peso dal repertorio prog dei nostranissimi Goblin. Quando Milan ritorna sul palco, a torso nudo ed abbronzato come un sirenetto balneare, i nostri riattaccano con "God is God", canzone tratta dal loro "anticristico" Jesus Christ SuperstarS. Ma è dal brano seguente in poi che il nuovo tour si differenzia dai precedenti. La coreografia da "Tanz mit Laibach" in poi prevede nuovi bellissimi video proiettati sullo schermo gigante alle spalle della band ed un paio di valchirie in fez e treccine, canotta, pantaloni alla cavallerizza e lucidi stivali che ai tamburi sostituiscono gli efebi a torso nudo che accompagnavano i Laibach nei precedenti tour di Opus Dei e MacBeth. Forse i più "duri e puri" avranno visto di cattivo occhio questa sorta di "veline" rivisitate in chiave marzial-militaristica, ma v'assicuro che l'impatto scenico era davvero notevole, come in una coreografia della Riefenstahl. Ed anche se dell'apocalittico i nostri non condividono i suoni di chitarrine da falò dei boy-scout, sicuramente nessuno avrà nulla da ridire sui testi: "I barbari stanno calando per distruggere le vostre città e la vostra disneyland" recita "Now you will pay", e trovo che non ci sia miglior "istantanea" per fotografare i tristi tempi della nostra stupida contemporaneità. Ed ancora "Hell: Symmetry", "Achtung!", "Ende"… Anche se dubito che oggidì si presti attenzione agli attributi che si usano, molti diranno dei Laibach che forse sono "pop" oppure "concettuali", ma sicuramente tutti dovranno usare l'aggettivo "apocalittico"! Chiudono la performance con WAT: "Noi Siamo Tempo". Una performance con un ordine "infernalmente simmetrico", studiata e curata nei minimi particolari, diametralmente opposta all'esibizione dei KRAJOBRAZ che si sono esibiti dopo gli sloveni.
I Krajobraz (parola polacca che indica "paesaggio") sono una delle nostrane formazioni noise più spaccatimpani che abbia sentito. I loro concerti sembrano una sorta di happening anni '70, anarco-intellettualismo mischiato a grezzo rock'n'roll. Del quartetto in questione tutti si accorgono della bravura del batterista, che da un po' d'anni milita in una delle più note formazione jazz locale. Invece pochi altri si accorgeranno che sotto l'apparente "casino" c'è un preciso controllo di volumi, amplificazione e di mixer gestiti da Max Modolo, un abile tecnico del suono che stufo di prestare servizio (dietro compenso pecuniario, ovvio) di fonico in giro per il settentrione d'Italia durante l'estate, al seguito di improbabili festival e zotiche orchestre da fiera, qui, con la sua di band, si diverte a mettere in opera quei trucchetti a base di "feedback controllato" che ha appreso dal suo lavoro. Sono da vedere dal vivo, e vi consiglio di portarvi dei tappi per le orecchie se siete "deboli di trombe d'eustachio"!
Testo By Devis (www.sottomondo.com)

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