Unire la vacanza con un
concerto è sempre il modo migliore di trascorre il
tempo.
Se poi il concerto in
programma vede protagonisti Kraftwerk e Nick Cave
and the Bad Seeds, il tutto rende ancora più bella
la trasferta.
Al Rock en Seine ho il
ricordo dell’ultimo concerto che vidi dei Cure,
prima che il covid congelasse sogni ed esistenze.
Il Domaine National de Saint Cloud rimane
un bel luogo per vivere l’esperienza live; un
grande parco alle porte della capitale in cui
numerosi gruppi si alternano dal pomeriggio.
Appena il tempo di ascoltare le ultime note dei
London Grammar (a proposito, vorrei approfondire
questa interessante giovane band) che alle 21.15 i
computer dei Kraftwerk sono già sui blocchi di
partenza per dare spettacolo.
Pronti e via e indosso
gli occhialini 3D che l’organizzazione fornisce
agli spettatori dello storico gruppo tedesco e sì,
mi sento per il solo fatto di averli inforcati,
già una sorta di uomo del futuro, pronto allo
scoperta di nuovi mondi.
“Numbers” e “Computer
world”, ci immergono subito nel loro più tipico
sound elettronico, mentre gli occhiali 3D fanno
vivere un’esperienza perlomeno insolita. Poi, da
lì in avanti, partono classici senza tempo in cui
non è difficile immergercisi: “Spacelab”, “The man
machine”, “Autobhan”, “Computer love” e “The
model” sono magia pura ed è bello ballare su
quelle note robotiche.
Ma la grande magia dei
Kraftwerk è quella di stare in bilico tra futuro,
fantascienza, o passato retrò. E’ questo che penso
mentre astronavi pare mi vogliano passare sopra la
testa o quando siamo coinvolti in viaggi
autostradali su maggioloni colorati.
Il loro è futuro, è
vero, ma è passato nello stesso tempo e non
nascondiamo quanto in questo limbo si stia
perfettamente comodi.
Quando parte “Tour de
France”, l’ovazione
dei
francesi è altissima e con “Radioactivity” (a
proposito viene menzionata anche Fukushima),
“Trans Europe express” e “ The Robots” il greatest
è al completo.
Un dubbio rimane, non
possiamo negarlo, “Ma stanno suonando davvero da
quei computerini?” Ma che importa in fin dei
conti, come recitano nell’epilogo “Music non
stop”, solo questo pare abbia significato.
Con passo felpato, mi
dirigo verso il palco principale, dove scopro
essermi perso appena un brano degli headliner, ma
in tempo per l’impareggiabile “From her to
eternity”.
Nonostante abbia un
mare di persone davanti a me, rispetto al recente
concerto all’arena di Verona non è difficile
notare un Nick Cave più a suo agio, potendosi
spalmare agevolmente con i suoi fan, quasi
fondendosi con essi.
Prima che parta “O
children”, chiacchiera con una ragazza in prima
fila, poi si avvicina al microfono e parte una
dedica: “This is for Annabelle”; beh credo che per
Annabelle ricevere una dedica da Nick Cave di
fronte a migliaia di persone rappresenti un giorno
indimenticabile.
L’australiano non
disdegna pause tra un brano e l’altro, momenti in
cui adora rendersi complice al suo pubblico,
mentre i maxischermo proiettano gli impeccabili
Bad Seeds assecondare il leader; tutti pronti a
stare dietro le sue mosse, alternando momenti più
riflessivi a episodi di puro furore rock.
Se si deve proprio
scegliere un paio di titoli che stasera hanno, più
di altri, fatto esaltare gli spettatori, citerei
una “Tupelo” furiosa e una “ Jubilee street” dai
continui cambi di ritmo.
Quando la fredda notte
parigina entra prepotentemente nelle ossa e buona
parte del pubblico inizia a lasciare il parco, i
Bad Seeds tornano in scena per un saluto finale,
in cui, neanche a dirlo, “Into my arms”, ne
rappresenta il più dolce commiato. |