KRAFTWERK
Stadio Armando Picchi, Livorno, 18 Luglio 2009
Testo
by Torre
Foto by Elisabeth Mantovani
Diciamoci
la verità: la presenza della storica band tedesca nel
programma del festival livornese ci aveva sorpreso alquanto.
Solitamente attenti nella scelta della location e del contesto
in cui suonare, sempre di altissimo lignaggio (teatri, scenari
suggestivi quali Villa Arconati, ecc.) e prediligendo un’atmosfera
raccolta a scapito degli ampi spazi dispersivi, stavolta hanno
accettato l’invito degli organizzatori dell’Italia Wave Love
Festival per esibirsi nello stadio Armando Picchi di Livorno,
peraltro subito dopo una manciata di gruppi poco conosciuti
(Auslander, My Toys like me, OfflagaDiscoPax), decisamente
molto distanti dalle tipiche sonorità kraftwerkiane,
e prima di Aphex Twin che ha di fatto chiuso la kermesse.
E, dobbiamo essere sinceri, tale scelta si è rivelata
indubbiamente penalizzante poiché, oltre ai pur numerosi
e (in gran parte) attempati ammiratori della “Centrale Elettrica”,
tra il pubblico presente moltissimi erano coloro che consideravano
il leggendario quartetto alla stregua di semplice supporter
band di Aphex Twin (sarebbe come dire: i maestri che fanno
da gruppo-spalla ad uno dei loro tanti allievi…); nelle zone
laterali del campo di gioco si è dovuta perfino sopportare
la sgradita presenza di alcuni gruppi di giovanissimi hip-hoppers
cannaioli che, abbandonate per alcuni istanti le bancarelle
dei venditori di chilum e sari indiani, si sono riversati
nei pressi del palco accompagnando la performance dei precursori
dell’elettronica abbandonandosi a cori del tipo “ma chi ca..o
siete” e “non ce ne frega un ca..o”… Beata (?!?) ignoranza.
Peccato,
perché il concerto di per sé è stato
uno spettacolo all’altezza della loro fama.
Coperto
da un telo bianco incessantemente gonfiato come la vela di
una caravella dal forte vento che soffiava da ponente, lo
stage ci viene improvvisamente svelato dalla caduta dello
stesso al primo accenno di note di “The Man Machine”. Ed eccoli
lì, proprio in mezzo al palco, i quattro paladini capitanati
da Ralf Hutter: in completa tutina nera da sommozzatori stazionano
immobili davanti ai loro inseparabili computer portatili Sony
VAIO e, proprio a causa di questo loro impatto scenico estremamente
minimale, delegano la parte visiva della performance ai video
proiettati nell’enorme schermo dietro alle loro spalle. Video
che, va detto, sono i medesimi proposti già nei loro
precedenti concerti italiani degli anni scorsi: alcuni sono
proprio gli originali videoclip che a suo tempo accompagnarono
l’uscita del brano (“Schaufensterpuppen”, “Music non stop”),
mentre altri sono stati creati appositamente per le esibizioni
live.
Dopo
il brano di apertura già menzionato, scorrono via via
“Computer love”, “Tour de France”, “Vitamin”, “Autobahn”,
“Elektrokardiogram”, per poi calare il poker d’assi finale
del main set con “The model”, “Schaufensterpuppen” (con Hutter
che, omaggiando il pubblico italiano, termina il brano col
ritornello << …siamo manichini… >> ), “Radioactivity”
e “Trans-Europe Express”, mandando il pubblico di aficionados
letteralmente in visibilio!
L’encore
inizia con un sorprendente coup de théâtre: dietro
ai computer, al posto dei musicisti ci sono i loro alter ego
meccanici, quattro automi che, a loro immagine e somiglianza,
accompagnano le note di “The robots” con movimenti a scatti
delle braccia e del busto. Poi il palco viene nuovamente ricoperto
dal telo e, una volta svelato, ricompaiono i Kraftwerk in
carne ed ossa che, nelle loro nuove tutine nere con in evidenza
figure geometriche di un verde fluorescente (ricordano molto
i costumi del film di fantascienza “Tron”), concludono la
performance con i brani “Numbers / Computer world”, “Aerodynamik”
e gran finale con “Music non stop” in cui, verso la fine del
pezzo, uno dopo l’altro i quattro abbandonano lo stage con
buon ultimo il leader Ralf Hutter che, va ricordato per dovere
di cronaca, fu il co-fondatore della band insieme a Florian
Schneider (che ha ufficialmente abbandonato il gruppo l’anno
scorso) nel lontano 1970.
Quasi
quarant’anni di storia della musica elettronica, insieme a
quelli che sono stati i suoi pionieri, meritavano però
un contesto decisamente più dignitoso rispetto a quello
cui abbiamo avuto modo di assistere in questa ventosa serata
livornese.