JUDGEMENT
DAY Festival
5
e 6 Maggio 2006, "Spielboden" Dornbirn (Austria),
Testo
e foto by SheLikesSkulls
Giunto
alla nona edizione il Judgement Day si riconferma un festival
importante a livello europeo per gli amanti di deathrock,
gothicrock, bastcave, new wave e post punk; con gruppi e djs
tra i più affermati e forte dell’esperienza organizzativa
della Strobelight Records questa manifestazione attira curiosi
da tutta Europa.
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La
prima serata si apre all’insegna dell’horrorrock e del divertimento
con Miguel and the Living Dead, i polacchi sono ormai
diventati un elemento fisso della maggioranza delle compilation
del genere a livello mondiale, una delle band europee più
conosciute ed apprezzate della scena odierna.
Dal primo all’ultimo pezzo il gruppo non ha lasciato un solo
momento di riposo al pubblico che si è a volte lanciato in
un pogo degno della musica suonata!
Come
da abitudine del cantante durante i concerti, il passaggio
del microfono tra i presenti ogni volta che c’era un coro
o un urlo era attesissimo soprattutto durante le cover di
Siekiera e Bronski Beat per poi terminare alla grande con
la colonna sonora del film “Ghostbusters”, cantata a squarciagola
dal pubblico.
Tutto ciò mescolato ai tipici tratti caratteristici del gruppo,
come l’inseparabile salopette di Miguel, il trucco da zombie,
lo scheletro di plastica attaccato alla chitarra del mitico
Nerve69, i fiumi di alcool che si sono portati da casa e hanno
diviso con parte del pubblico, ha reso il concerto un vero
spasso per tutti, dando così via al festival nella migliore
delle maniere.
La serata si è poi chiusa con il dj set di Mark Splatter (deathrock.com)
e Djane Darlin’ Grave (Dead and Buried/All Gone Dead).
Il
giorno seguente i primi a salire sul palco sono i francesi
Joy Disaster, un trio di Nancy con all’attivo un paio
di demo e una cover di “Decades” dei Joy Division. Formatisi
nel 2004, hanno suonato con varie bands tra cui i Vanishing.
La sequenza dei loro brani dal vivo però lascia a volte un
senso di smarrimento dovuto al continuo cambiamento di stile
e dai movimenti scattosi, quasi punk del cantante e chitarrista
Nicholas, in estremo contrasto con quelli del bassista Franz
molto più composti, facendo così risaltare meno la bellezza
delle loro canzoni, un rock molto influenzato dagli stessi
Joy Division (soprattutto per quanto riguarda la voce, accostabile
a quella di Ian Curtis e per il basso spesso in primo piano),
dalla new wave di fine anni ’70 inizi ’80 e dalle chitarre
gothicrock americane fino al post-punk più stretto. Hanno
riscosso comunque un discreto successo tra il pubblico con
la loro performance, sono ancora agli inizi ma sembrano promettere
davvero bene.
Subito
dopo arriva la seconda formazione francese del festival, gli
Eat Your Make-up. Spesso considerati una copia europea
(nemmeno molto ben riuscita addirittura secondo alcuni) degli
statunitensi Cinema Strange, ma già dalle prime note e dai
primi gorgheggi ed urla inquietanti della bellissima Isa si
denota la differenza tra le due band. A farsi notare immediatamente
è la teatralità dei due vocalists,
voci acute e spettrali, ammalianti, gesti e movimenti di sofferenza
lenta e costante, evocazioni nel buio della sala, passione
esaltata mano a mano in un crescendo di ritmi che portano
fino alla caduta in terra dei due e ad un faticoso trascinamento
per tornare al punto da cui erano partiti. Continue alternanze
tra divertita pazzia e malata disperazione, per un deathrock
per nulla cabarettistico, apertamente ispirato invece ai suoni
alienanti degli esponenti americani del genere di fine millennio
(non a caso avevano partecipato al festival tributo a Rozz
Williams a Piacenza nel 2004...). La potente chitarra di Mac
Gregor unita alla voce straziante ed il carisma di Plag hanno
ipnotizzato e fatto ballare anche durante i pezzi più corti,
cosa che non succede facilmente con molte band di oggi, regalando
una performance stupenda, completa di tutto ciò che ci si
può aspettare da un concerto.
A
seguire è il nuovo acquisto della Strobelight Records, gli
All Gone Dead, band superattesa da tutti i presenti,
dalla quale ci si aspettavano grandi cose, purtroppo almeno
per la sottoscritta, queste aspettative sono state un po’
deluse. Ascoltando le canzoni registrate l’effetto che se
ne ricava è decisamente entusiasmante, quindi la curiosità
di vederli dal vivo era molto forte, ma dal momento che sono
saliti sul palco si è sentita la mancanza di quel qualcosa
che rendeva la performance davvero coinvolgente, una scintilla,
un particolare mancante difficile da individuare; forse la
mancanza di un batterista che riempisse lo spazio vuoto dietro
di loro, forse la presenza di troppe chitarre e accorgimenti
nelle basi pre-registrate rispetto a quello che poteva fare
il terzetto suonando semplicemente o forse i movimenti di
Stich (il cantante) esagerati rispetto alla musica suonata.
E’ evidente che sono ancora agli inizi, nonostante la fama
li abbia preceduti, infatti Stich stesso e Djane Darlin’ Grave
(al basso) erano conosciuti già da prima della formazione
degli All Gone Dead, per aver fatto parte dei Tragic Black
lui e per l’infinità di djset lei. Entusiasta e scatenato
comunque il pubblico, che sembra non aver fatto caso a questi
particolari, ormai trascinato dall’evento e dall’adrenalina
dei concerti precedenti.
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I
Chants of Maldoror fanno il loro ingresso on stage
con grande classe, presentandosi sul palco composti ed elegantissimi,
in forte contrasto con gli anglo-americani che li hanno preceduti.
Dopo un breve sound-check, alternano brani dal primo album
come “Baptism (..until the angel..)” e “Cruel with us”, ed
altri del secondo come “Justine” e “Himmel Balsam”. La voce
inconfondibile di Adolphe si mescola al massimo dell’armonia
con i ritmi spesso spettrali, quasi claustrofobici, ritualeggianti,
resi grotteschi dall’ironia dei testi e dei suoi movimenti.
L’esibizione sembra emanare calore, intimità, c’è una fortissima
complicità sia tra i componenti che tra il gruppo ed il pubblico
che si lancia presto in divertenti apprezzamenti in italiano,
lasciandosi trasportare dalla musica in danze appassionate,
soprattutto durante le cover degli Ultravox! e dei Neon, entusiasmo
sempre al massimo fino alla fine, tra grandi applausi, quando
i nostri lasciano il palco agli headliners della serata, i
Nosferatu.
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Con
i suoi strafamosi occhiali da sole e un sorrisetto di apprezzamento
nei confronti degli spettatori, Luis DeWray, accompagnato
dai soli Damien DeVille alla chitarra e Chrys Colombine alla
tastiera, intona con la sua voce profonda buona parte delle
canzoni che li hanno maggiormente rappresentati nel corso
della loro carriera, tra cui “The hunting hour” e “Invocation”.
Interessante è vedere l’enorme quantità di persone presenti
e in particolare una prima fila tutta impegnata a cantare
ogni singola parola dei brani proposti chi con gli occhi chiusi,
chi con un trasporto tale da sembrare che la sua mente non
sia al concerto ma in un mondo proprio, non me l’aspettavo
davvero. La mancanza anche in questo caso di elementi del
gruppo è comunque subito nascosta dal fumo che con luci bianche
e rosse crea un muro dietro ai nostri, inoltre la musica e
la presenza scenica rendono piacevole l’esibizione, che in
tutto richiama quella matrice gothicrock degli artisti che
già prima dei Nosferatu hanno fatto la storia del genere.
Un successo, un bel concerto seguito da una lunga nottata
con i djs resident per concludere l’appuntamento di quest’anno,
per lasciarci con l’acquolina in bocca in attesa del prossimo
Judgement Day.