Ancora
insieme gli Stooges. Questa volta per celebrare e autocelebrarsi
con l’intera esecuzione di “Raw power”, terza fatica discografica
degli americani, capace in questo 2010 di festeggiare le
trentasette primavere.
La
presenza sul palco degli Stooges non è di fatto scontata,
dopo che la prematura morte di Ron Asheton aveva praticamente
sciolto lo storico gruppo dell’iguana del rock.
Ma,
tra le varie operazioni che potevano giustificare l’avventura
Stooges su un palco vi era il ritorno di James Williamson:
il chitarrista accreditato di “Raw power” (ricordiamo che
“Ron Asheton suonò il basso nel seguito di “Fun house”)
è proprio quell’elemento che rende credibili gli
Stooges in questo 2010, allontanando (almeno in parte) il
sospetto di un’operazione meramente commerciale.
La
location è il prestigioso Hammersmith Apollo di Londra
per un concerto in cui Iggy Pop e soci promettono l’intera
esecuzione del sopraccitato “Raw power” (è curioso
vedere come in cartellone compaia, per il giorno successivo,
Vasco Rossi, al suo primo tour nel Regno Unito).
A
rendere più succulento il piatto, gli organizzatori
chiamano i Suicide di Alan Vega e Martin Rev quale gruppo
di spalla, impegnati nell’intera riproposizione dell’album
d’esordio, targato 1977 (che di anni ne fa solo trentaquattro!).
Alle
20.30, quando molti spettatori sono ancora intenti a bere
birra presso il “Circle bar” del teatro, fanno l’ingresso
in scena i Suicide.
Alan
Vega, cappello in testa e sguardo da pazzo, si avvicina
quasi barcollando al microfono, mentre Martin Rev (maglietta
smanicata ed occhiali a led blu) è già davanti
alle tastiere.
“Ghostrider
è il grande cavallo di battaglia del duo e, con piacere,
notiamo che le prime note del brano sono accolte da applausi
generosi.
Nella
migliore tradizione dei Suicide, il concerto che propongono
è fatto di rumore, un po’ di sperimentazione e trasgressione
(ovvero le basi della No Wave, di cui furono fautori). Vega
canta parole praticamente incomprensibili, mentre in loop
la sua voce si sovrappone a quella in presa diretta. Rev,
per contro, si occupa di tutta la parte elettronica, pestando
la tastiera come se fosse un nemico da schiacciare.
Più
volte Vega saluta il pubblico con il classico gesto dell’ombrello,
quasi a voler prendere le distanze, quasi a voler dire di
non aver bisogno di arruffianarsi gli spettatori, come se
non gli importi di nulla.
“Rocket
U.S.A.”, “Johnny”, “I remember”, “Keep your dreams” e la
bellissima “Frankie teardrop” sono i brani riproposti (ed
un po’ stravolti). “Cheree cheree”, terza esecuzione della
serata è decisamente il brano più dolce del
primo album; ascoltandolo capiamo sempre di più come
esso sia stato l’illuminazione al grande lentone dei Suicide,
quel “Dream baby dream” che ispirò molti artisti
(ricordiamo tra gli altri Bruce Springsteen che in un recente
tour era solito finire il concerto con il brano tratto dal
secondo album di Vega e Rev).
Quando
finiscono le ultime note di “Frankie teardrop” Alan Vega
abbandona il palco senza un gesto od un saluto, lasciando
Martin Rev ad ultimare il suo assolo di puro rumore sonoro.
Una performance che possiamo definire di genuino punk rock,
ancorché squisitamente elettronico.
Alle
21.00 si spengono nuovamente le luci dell’Hammersmith Apollo
e, contemporaneamente, entrano gli Stooges. Iggy Pop è
una furia tarantolata; si dimena e scalcia sulle note di
“Raw power”.
Il
parterre non è da meno e crea una continua ondata
verso il palco che costringe ad un superlavoro i ragazzi
della security.
Poche
note sono sufficienti al leader per rimanere a petto nudo
con i blue jeans a vita bassa (molto bassa!): a sessant’anni
suonati l’iguana del rock ha un fisico che fa invidia a
moltissimi ragazzi palestrati.
“Search
and destroy”, “Gimme danger” e “Your pretty face is going
to hell” sono pezzi ruvidi e grezzi che identificano al
meglio il sound degli Stooges.
Accanto
a Iggy Pop ci sono Scott
Asheton (batteria),
Steve
MacKay (sassofono
armonica e tastiere), Mike
Watt (basso) e James Williamson
(chitarra). Tutti svolgo il proprio compito più che
egregiamente; probabilmente sono Watt e MacKay gli Stooges
che riescono ad elevarsi sugli altri, vivendo lo show con
trasporto e fisicità. Fatta
questa premessa, invero, occorre segnalare come la presenza
di Iggy Pop sia talmente ingombrante ed egocentrica da offuscare
chiunque sul palco londinese.
Dopo
alcuni brani, Pop inizia a slacciarsi i pantaloni (proprio
a fatica tollera i vestiti, evidentemente!) mostrando il
suo lato “B” per gran parte del concerto. per la gioia di
molte ragazze (ma, forse sarebbe più corretto parlare
di signore attempate) il leader degli Stooges mette in bella
mostra anche la parte più preziosa delle sue intimità,
nascondendo, molto a fatica, il sesso.
Mentre
le canzoni di “Raw Power” si susseguono in scaletta, si
apre anche lo spazio per la consueta invasione sul palco
delle prime file: una trentina di scalmanati on stage ad
accerchiare i musicisti, rendendo un incubo la serata degli
addetti alla sicurezza!
Quando
torna un pochino di calma, arriva la miglior canzone di
“Raw power”. Con “Penetration” il sound degli Stooges ritorna
quello dei primi due album; a tratti più lento ed
acido e decadente fino all’inverosimile, “Penetration” non
sfigura neppure nella sua esecuzione dal vivo.
Iggy
pop cerca anche di dialogare con il pubblico, anche se si
rivolge agli spettatori con il suo classico “Motherfucker”,
usato (da lui) praticamente come un saluto.
Mentre
osserviamo l’esibizione degli Stooges, non possiamo non
ripensare alle parole pronunciate dal cantante solo qualche
settimana fa: “Mai più stage diving”. Il leader dopo
un leggero infortunio in un recente concerto (pare non essere
stato sostenuto dalla folla mentre si buttava giù
dal palco …….., lo stage diving, appunto) avrebbe messo
la parola fine a quella tipica pratica che inventò
negli anni sessanta. Ebbene, sul palco dell’Hammersmith
Apollo, Iggy Pop ci mostra almeno quattro o cinque lanci,
decisi e intraprendenti che, oltre a farci godere lo spettacolo,
ci fanno capire una volta di più come le sue parole
debbano essere prese con le pinze!
Oltre
ad essere bravi musicisti gli Stooges danno prova anche
di essere ottimi slalomisti. Ne sa qualcosa Steve
MacKay che in più di un’occasione,
si trova a dover schivare l’asta del microfono, lanciata
(senza mai guardare) nelle direzioni tra le più disparate.
Quando
finisce il set di “Raw power”, per gli Stooges è
davvero impossibile non riproporre alcune delle più
celebri canzoni del proprio repertorio.
E,
se stanno così le cose, la prima è proprio
quella “I Wanna Be Your Dog” che rappresenta l’inno degli
americani. Psichedelia, trasgressione, emarginazione sono
tutti elementi che emergono insieme dal teatro. È
vero, è un inno, ma è riproposto dagli Stooges
con rinnovata vitalità e costante carica emotiva.
Prima
della conclusione c’è lo spazio per “T.V. eye” e per “Fun
house”, prima che la band esca dal palco tra rumorosissimi
applausi.
Iggy
Pop è l’ultimo ad andarsene e, quando lo fa, preferisce
scegliere la sua maniera. Si sbottona i pantaloni e mostra
ancora (e totalmente) il suo lato “B”: un saluto certo particolare,
ma anche questo fa parte del suo personaggio.