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THE STOOGES + SUICIDE
@ Apollo Hammersmith
Londra, 3 Maggio 2010

 

Testo by Gianmario - foto by Silvia

Ancora insieme gli Stooges. Questa volta per celebrare e autocelebrarsi con l’intera esecuzione di “Raw power”, terza fatica discografica degli americani, capace in questo 2010 di festeggiare le trentasette primavere.
La presenza sul palco degli Stooges non è di fatto scontata, dopo che la prematura morte di Ron Asheton aveva praticamente sciolto lo storico gruppo dell’iguana del rock.
Ma, tra le varie operazioni che potevano giustificare l’avventura Stooges su un palco vi era il ritorno di James Williamson: il chitarrista accreditato di “Raw power” (ricordiamo che “Ron Asheton suonò il basso nel seguito di “Fun house”) è proprio quell’elemento che rende credibili gli Stooges in questo 2010, allontanando (almeno in parte) il sospetto di un’operazione meramente commerciale.

La location è il prestigioso Hammersmith Apollo di Londra per un concerto in cui Iggy Pop e soci promettono l’intera esecuzione del sopraccitato “Raw power” (è curioso vedere come in cartellone compaia, per il giorno successivo, Vasco Rossi, al suo primo tour nel Regno Unito).
A rendere più succulento il piatto, gli organizzatori chiamano i Suicide di Alan Vega e Martin Rev quale gruppo di spalla, impegnati nell’intera riproposizione dell’album d’esordio, targato 1977 (che di anni ne fa solo trentaquattro!).
Alle 20.30, quando molti spettatori sono ancora intenti a bere birra presso il “Circle bar” del teatro, fanno l’ingresso in scena i Suicide.
Alan Vega, cappello in testa e sguardo da pazzo, si avvicina quasi barcollando al microfono, mentre Martin Rev (maglietta smanicata ed occhiali a led blu) è già davanti alle tastiere.
“Ghostrider è il grande cavallo di battaglia del duo e, con piacere, notiamo che le prime note del brano sono accolte da applausi generosi.
Nella migliore tradizione dei Suicide, il concerto che propongono è fatto di rumore, un po’ di sperimentazione e trasgressione (ovvero le basi della No Wave, di cui furono fautori). Vega canta parole praticamente incomprensibili, mentre in loop la sua voce si sovrappone a quella in presa diretta. Rev, per contro, si occupa di tutta la parte elettronica, pestando la tastiera come se fosse un nemico da schiacciare.
Più volte Vega saluta il pubblico con il classico gesto dell’ombrello, quasi a voler prendere le distanze, quasi a voler dire di non aver bisogno di arruffianarsi gli spettatori, come se non gli importi di nulla.
“Rocket U.S.A.”, “Johnny”, “I remember”, “Keep your dreams” e la bellissima “Frankie teardrop” sono i brani riproposti (ed un po’ stravolti). “Cheree cheree”, terza esecuzione della serata è decisamente il brano più dolce del primo album; ascoltandolo capiamo sempre di più come esso sia stato l’illuminazione al grande lentone dei Suicide, quel “Dream baby dream” che ispirò molti artisti (ricordiamo tra gli altri Bruce Springsteen che in un recente tour era solito finire il concerto con il brano tratto dal secondo album di Vega e Rev).
Quando finiscono le ultime note di “Frankie teardrop” Alan Vega abbandona il palco senza un gesto od un saluto, lasciando Martin Rev ad ultimare il suo assolo di puro rumore sonoro. Una performance che possiamo definire di genuino punk rock, ancorché squisitamente elettronico.

Alle 21.00 si spengono nuovamente le luci dell’Hammersmith Apollo e, contemporaneamente, entrano gli Stooges. Iggy Pop è una furia tarantolata; si dimena e scalcia sulle note di “Raw power”.
Il parterre non è da meno e crea una continua ondata verso il palco che costringe ad un superlavoro i ragazzi della security.
Poche note sono sufficienti al leader per rimanere a petto nudo con i blue jeans a vita bassa (molto bassa!): a sessant’anni suonati l’iguana del rock ha un fisico che fa invidia a moltissimi ragazzi palestrati.
“Search and destroy”, “Gimme danger” e “Your pretty face is going to hell” sono pezzi ruvidi e grezzi che identificano al meglio il sound degli Stooges.
Accanto a Iggy Pop ci sono Scott Asheton (batteria), Steve MacKay (sassofono armonica e tastiere), Mike Watt (basso) e James Williamson (chitarra). Tutti svolgo il proprio compito più che egregiamente; probabilmente sono Watt e MacKay gli Stooges che riescono ad elevarsi sugli altri, vivendo lo show con trasporto e fisicità. Fatta questa premessa, invero, occorre segnalare come la presenza di Iggy Pop sia talmente ingombrante ed egocentrica da offuscare chiunque sul palco londinese.
Dopo alcuni brani, Pop inizia a slacciarsi i pantaloni (proprio a fatica tollera i vestiti, evidentemente!) mostrando il suo lato “B” per gran parte del concerto. per la gioia di molte ragazze (ma, forse sarebbe più corretto parlare di signore attempate) il leader degli Stooges mette in bella mostra anche la parte più preziosa delle sue intimità, nascondendo, molto a fatica, il sesso.
Mentre le canzoni di “Raw Power” si susseguono in scaletta, si apre anche lo spazio per la consueta invasione sul palco delle prime file: una trentina di scalmanati on stage ad accerchiare i musicisti, rendendo un incubo la serata degli addetti alla sicurezza!
Quando torna un pochino di calma, arriva la miglior canzone di “Raw power”. Con “Penetration” il sound degli Stooges ritorna quello dei primi due album; a tratti più lento ed acido e decadente fino all’inverosimile, “Penetration” non sfigura neppure nella sua esecuzione dal vivo.
Iggy pop cerca anche di dialogare con il pubblico, anche se si rivolge agli spettatori con il suo classico “Motherfucker”, usato (da lui) praticamente come un saluto.
Mentre osserviamo l’esibizione degli Stooges, non possiamo non ripensare alle parole pronunciate dal cantante solo qualche settimana fa: “Mai più stage diving”. Il leader dopo un leggero infortunio in un recente concerto (pare non essere stato sostenuto dalla folla mentre si buttava giù dal palco …….., lo stage diving, appunto) avrebbe messo la parola fine a quella tipica pratica che inventò negli anni sessanta. Ebbene, sul palco dell’Hammersmith Apollo, Iggy Pop ci mostra almeno quattro o cinque lanci, decisi e intraprendenti che, oltre a farci godere lo spettacolo, ci fanno capire una volta di più come le sue parole debbano essere prese con le pinze!
Oltre ad essere bravi musicisti gli Stooges danno prova anche di essere ottimi slalomisti. Ne sa qualcosa Steve MacKay che in più di un’occasione, si trova a dover schivare l’asta del microfono, lanciata (senza mai guardare) nelle direzioni tra le più disparate.
Quando finisce il set di “Raw power”, per gli Stooges è davvero impossibile non riproporre alcune delle più celebri canzoni del proprio repertorio.
E, se stanno così le cose, la prima è proprio quella “I Wanna Be Your Dog” che rappresenta l’inno degli americani. Psichedelia, trasgressione, emarginazione sono tutti elementi che emergono insieme dal teatro. È vero, è un inno, ma è riproposto dagli Stooges con rinnovata vitalità e costante carica emotiva.
Prima della conclusione c’è lo spazio per “T.V. eye” e per “Fun house”, prima che la band esca dal palco tra rumorosissimi applausi.
Iggy Pop è l’ultimo ad andarsene e, quando lo fa, preferisce scegliere la sua maniera. Si sbottona i pantaloni e mostra ancora (e totalmente) il suo lato “B”: un saluto certo particolare, ma anche questo fa parte del suo personaggio.